sabato 9 settembre 2017

Le Miniere, queste sconosciute

Viaggio nella memoria cancellata

G. Gagliano - La zolfara estrazione del grezzo,1971

Perché, oggi,  dovremmo perdere tempo con le ex miniere di zolfo, quando ormai sono improduttive e abbandonate da oltre mezzo secolo? O addirittura letteralmente cancellate e devastate come a Centuripe?
Forse per la curiosità della conoscenza, o forse per l’istinto di perseguire la memoria. La memoria di inferno vero,  nei cui labirinti, oscuri e mefitici, si aggiravano affaticati, sudati e spesso nudi, poveri diavoli e piccoli dannati di 8-10 anni, creature condannate al rachitismo e alla deformità per pochi spiccioli al giorno.

Incisione tratta da Illustrazione Italiana,1894

Le zolfare sono tutte chiuse, in Sicilia. Irreversibilmente. Questo breve contributo vuole solo essere testimonianza che “i dannati delle zolfare”, non sono stati dimenticati; le loro testimonianze, il loro sacrificio, il contributo reso alla dignità del lavoro e alle loro famiglie, ancora vive.

I – L’oro del diavolo

Il rapporto tra la Sicilia e lo zolfo risale addirittura all’età del bronzo. Da alcuni reperti epigrafici “Tegulae mancipum sulphuris” (tegole degli appaltatori di zolfo), si evince che alla fine del II-III secolo d. C., erano attive nell’agrigentino alcune miniere di zolfo imperiali, nelle quali lavoravano schiavi e delinquenti comuni.
Tegulae mancipum sulphuris

 L’attività estrattiva era fiorente anche in epoca araba. In seguito, per secoli, nessuno si è più occupato di zolfo, finché l’invenzione e la diffusione della polvere da sparo non alimentò una produzione limitata.
All’inizio del Settecento nell’Isola erano attive appena sei miniere, alle quali se ne sarebbero aggiunte altre cinque verso la metà dello stesso secolo.  L'attività di estrazione, ancora alla fine del '700, era fatta con metodi empirici e le miniere venivano abbandonate non appena si esaurivano le vene affioranti dello zolfo. La produzione annua non superava le 2.500 tonn. ed i prezzi medi si aggiravano intorno alle 52 lire per tonnellata. Una data segnò il decollo dello zolfo siciliano: il 1791, anno in cui venne brevettato il metodo Leblanc, che consentiva di fabbricare la soda artificiale mediante la decomposizione del sale comune trattato con l’acido solforico per produrre solfato di sodio. Il famoso sapone di Marsiglia proprio lì veniva prodotto, perché alla soda sintetica, alle saline e al calcare si aggiungeva un buon porto, a cui attraccavano le navi provenienti dalla Sicilia.
 L’importante scoperta segnò la nascita della moderna industria chimica e, di conseguenza, anche della domanda internazionale di zolfo siciliano. Da quel momento lo zolfo siciliano entrò in quantità consistenti nei circuiti internazionali. Nel 1815 la produzione oscillava tra le 6.500 e le 9.000 tonn. ad un prezzo medio di 120 lire la tonnellata.
L’avvio di questa frenetica attività non fu semplice: bisognava attraversare le impervie e solitarie contrade della Sicilia interna, a malapena servite da vecchie trazzere, strette e disselciate, polverose d’estate e fangose nella brutta stagione. Ma questo non impedì un rapido decollo delle attività.
Nel 1808 l’abolizione dei diritti di monopolio regio sul sottosuolo diede impulso all’attività mineraria. Un roseo avvenire si schiuse allora per i proprietari terrieri e per quanti fiutarono l’odore dei soldi. A render possibili questi rapidi arricchimenti fu anche una legge borbonica del 1826, in forza della quale i proprietari terrieri potevano sfruttare le risorse del sottosuolo, previo pagamento di una modica tassa detta di aperiatur. Fiumi di denaro andarono così ad impinguare la rendita mineraria del baronaggio.
La legge proibiva la combustione del minerale vicino ai campi coltivali e a meno di tre miglia dai centri abitati, ma le fiamme azzurrognole sprigionavano gas fin dentro i paesi, accanto alle vigne e ai mandorleti, avvelenavano uomini, animali e piante. Le zolfare limitrofe ai centri abitati disponevano di forni che consentivano di fondere il minerale senza inquinare troppo l’ambiente. Ma la fusione comportava una spesa enorme. Gli industriali di conseguenza la scartavano e continuavano a bruciare i calcaroni. Poco importava insomma a quei signori se l’anidride solforica si faceva sentire nelle strade della Comune, nelle case e nelle campagne a seconda del soffio dei venti.
I soggetti più a rischio erano gli zolfatari. Quelli esterni erano i carcarunara che si occupavano del riempimento e dello svuotamento delle fornaci e gli orditura, addetti alla fusione del minerale e alla raccolta dello zolfo fuso. Gli zolfatari interni erano: i picconieri (pirriatura) che estraevano il materiale; gli spisalora, addetti alla manutenzione; gli acqualora, il cui lavoro consisteva nell’eliminare le acque d’infiltrazione; i carrittera, che trasportavano lo zolfo sui vagoncini fino alla discenteria e i carusi che, caricati come somari, portavano lo zolfo fuori dalla miniera.
I carusi venivano assunti con il sistema del «soccorso morto», ossia un cospicuo anticipo in denaro che il picconiere versava ai genitori di fanciulli di 8-10 anni costretti a restare alle sue dipendenze fino all’estinzione del debito. Passavano, insomma, gli anni migliori della loro vita in condizione servile, i carusi. E si dava anche il caso che fossero oggetto ludico delle insane voglie sessuali dei loro padroni. Subivano violenze d’ogni sorta e dovevano pure stare zitti, quando gliele faceva il loro picconiere.
La vita non era gioco per nessuno, in quelle bolge infernali. Frane, incendi, allagamenti, crolli di ponti e gallerie erano però eventi che non si potevano evitare. E gli zolfatari morivano, morivano e si parlava di disgrazia, di destino infame, di maledizione divina caduta tra capo e collo; nessuno denunciava la violazione delle norme di sicurezza del lavoro nelle zolfare.
  Lo zolfo durante il XIX secolo è la principale risorsa della zona centrale della Sicilia, che godeva del monopolio naturale (91% della produzione mondiale). L'industria chimica europea e quella americana e giapponese dipendevano esclusivamente dallo zolfo siciliano. Alla fine dell’800 in Sicilia erano attive circa 800 miniere; il 1901 fu in assoluto l’anno di massima produzione, con 540.000 tonnellate, ed occupazione, con circa 40.000 operai, delle zolfare siciliane. Le miniere cominciarono a chiudere una dopo l’altra verso la metà del Novecento, a causa dell’agguerrita concorrenza dello zolfo statunitense, prodotto a basso costo.
 “Ci ammazziamo a scavarlo (lo zolfo), poi lo trasportiamo giù alle marine, dove tanti vapori inglesi, americani, tedeschi, francesi, perfino greci, stanno pronti con le stive aperte come tante bocche ad ingoiarselo: ci tirano una bella fischiata e addio!...E la ricchezza nostra, intanto, quella che dovrebbe essere la ricchezza nostra, se ne va via così dalle vene delle nostre montagne sventrate, e noi rimaniamo qui, come tanti ciechi, come tanti allocchi, con le ossa rotte dalla fatica e le tasche vuote. Unico guadagno: le nostre campagne bruciate dal fumo”. (Pirandello, il Fumo)
II - Miniere Centuripine

Probabile che le ultime generazioni di centuripini sconoscano che qui vi siano state miniere di zolfo;  a meno che non abbiano avuto la fortuna di sentire da un parente, un racconto diretto, sulle proprie o altrui esperienze di zolfataio.
Le miniere di zolfo presenti, dalla prima metà dell’ottocento, nel territorio centuripino, delimitavano l’estremità est del filone zolfifero Siciliano.


Ed ai margini è rimasta Centuripe nell’ambito del  racconto bibliografico, imponente, sullo zolfo e sulle miniere in Sicilia. Eppure Centuripe è annoverata tra quei cinquanta comuni siciliani, dove la produzione zolfifera attrasse, all’inizio del novecento, un flusso di mano d’opera tale da determinare un raddoppio demografico; nel 1921 i residenti erano oltre 15.000, e non è difficile immaginare i precari equilibri igienico-sanitari e l’esponenziale aumento di criminalità diffusa.   
Da una interessante relazione del 1887, Mario Gatto, Topografo ed Aiutante Ingegnere delle miniere, illustra dettagliatamente la storia delle solfare di Sicilia. Al periodo tra il 1820 e il 1830 assegna ed  elenca anche le prime miniere sorte nel centuripino, nell’ordine: Muglia, Minnè e Marmora. Al periodo tra il 1830 e il 1838 sono collegate le miniere di Salinà, di Monte Policara e Monte Guazzarano; ad ampliamenti successivi devono la loro esistenza le miniere Marmora-Gualtieri e Marmora-Palmeri.

La mappa del territorio di Centorbi, redatta per il catasto borbonico dall’Arch. Bonaventura, all’incirca verso il 1850, registra una unica zolfara in attività sul territorio: quella di Muglia. Altre tre zolfare: Minnè, Marmora e Pietralunga non sono in attività.
La miniera di Muglia,  si trovava a sud del centro abitato, dove il sistema collinare scade a ridosso della piana  di Catania. Proprietario ne era il barone Spitaleri. 

Ancora oggi sopravvivono alcuni ruderi di calcheroni e forni, oltre all’imponente centro direzionale che continua incessantemente a implodere. 

Qualche anno fa e venuto giù con un colpo di vento anche il notevole camino che svettava sulla valle. 

Gli Spitaleri gestivano in economia la loro miniera, che era annoverata tra le 46 che superavano una produzione annua di 2.000 tonnellate; avevano avuto l’intelligenza, come pochi altri, di lasciare indivisi i campi minerari, per sfruttare scientificamente l’attività estrattiva. Alcuni giacimenti, in altri casi, erano stati frazionati in numerose concessioni; ciò aveva finito per frammentare i bacini minerari e aveva reso antieconomico lo sfruttamento. 
Elisee Reclùs

La miniera fu visitata nel 1865 da Elisee Reclùs, geografo  francese, che dopo un breve tour in città, raggiunge il complesso minerario e, accompagnato, si inoltra dentro le gallerie dall'atmosfera soffocante e dall' aria irrespirabile. All'interno nota le volte basse, tagliate in modo irregolare e i pesanti pilastri digrossati dal piccone che sostengono il soffitto; “vaghi luccichii che compaiono e scompaiono al riflesso vacillante delle lampade che sorgono qua e là dalla profondità delle ombre; un momento s' intravvedono dei corridoi che sembrano infiniti, poi queste lunghe prospettive svaniscono in un batter d' occhio e lo sguardo cerca invano di scandagliare le tenebre: si sentono rumori strani, singulti, sospiri provenienti dal ripercuotersi degli echi lontani.  Vi sono gallerie piene di acqua sulfurea che vanno drenate, per evitare che allaghino tutto, con pompe di prosciugamento. Attualmente tutta questa sovrabbondanza di liquido, che altrove sarebbe una sì grande ricchezza, è per la cava di Centorbi il danno principale, poiché se le pompe di prosciugamento non funzionassero continuamente, l'acqua finirebbe ben presto per sommergere l'immenso labirinto delle gallerie. Quattro poveri operai, coperti soltanto da un grembiale come gli isolani dell'Oceania, e tuttavia bagnati di sudore, girano incessantemente le manovelle delle pompe. Durante otto lunghe ore, questi uomini, ai quali ogni intelligenza, ogni sforzo vitale si porta necessariamente verso le braccia, non sono altra cosa che le appendici muscolari dell' implacabile macchina. Questa gira, gira senza posa, e senza mai fermarsi solleva le acque che risuonano nei tubi di metallo: essa solo sembra vivere, e gli atleti che si succedono di otto in otto ore non sono che semplici meccanismi: lungi dal dominare la macchina che mettono in moto, son essi i suoi schiavi. La proporzione del solfo contenuto nelle vene della cava di Centorbi è di circa il sei per cento. La solfatara mette in commercio venticinque mila quintali circa all' anno,- cioè quasi la cinquantesima parte del prodotto annuale di tutta la Sicilia”.
 Nel 1881, l’istantaneo allagamento della solfara, per pioggia torrenziale, determinò la morte di 9 operai. Il 30 marzo 1882 il barone Spitaleri, firma un contratto d'obbligo di due anni con l'ing. Francese Antonio Calamel, inventore di forni di raffineria di zolfo. Il 22 maggio 1882, il francese inizia la sua attività alla miniera di Muglia quale direttore ed amministratore. In una nota, del 23 marzo 1883, il Calamel notifica che le prescrizioni dei lavori per la sicurezza in miniera prescritte dal Genio Minerario sono state attuate e che soprattutto tutti i ragazzi sotto i dieci anni sono stati esclusi dai lavori sotterranei della miniera. Il 1 gennaio 1888 cessa l'incarico della direzione presso la miniera Muglia.
Nel maggio 1898 l'ingegner Angelo Baraffael, del Distretto Minerario di Caltanissetta, in una delle sue visite a Muglia,  aveva notato numerosi casi di una malattia, spesso letale, che i medici del posto non riuscivano ad identificare. In seguito, nel giugno 1898, fu confermata l'esistenza di una epidemia di Anchilostomiasi (anemia dei minatori causata da un verme parassita dell’intestino tenue) e furono individuati quaranta casi gravi, la maggior parte tra giovani minatori e bambini, e cinque morti. Un'inchiesta concluse che gli anchilostomi erano stati introdotti dai lavoratori di un'altra miniera, con la quale avvenivano di frequente scambi di personale. Ma dalla relazione dell’Ing. Baraffael, emergevano altri aspetti di quella realtà mineraria. Le misere condizioni economiche in cui vivevano quei lavoranti, sfruttati in modo incredibile, erano peggiori di tutte le altre miniere della Provincia. La miseria più squallida nella quale vivevano gli operai, era correlazionata anche con le loro malattie.  Le paghe di poco inferiori a quelle delle altre miniere del territorio, non venivano riscosse mai direttamente e in danaro. Sotto l'amministrazione Spitaleri si regolavano i conti con ritardi talvolta di 6 o 8 mesi, in seguito con l’amministrazione del cav. Scuderi - Alessi si regolavano mensilmente, ma i risultati erano i medesimi; durante il mese di lavoro, gli operai, si indebitavano per i rifornimenti di generi dalla bottega o cedevano le marche agli usurai del paese. I conti alla fine del mese venivano liquidati, qualche volta, pagando gli operai con generi della bottega: i denari erano riservati agli usurai che avevano molti riguardi  per  l'amm.ne della miniera. Il proprietario della miniera, barone Spitaleri, aveva appaltato anche la bottega, al direttore sig. Sagine e all'amministratore sig. Alessi (lontano parente dell'esercente); essi vi anticipavano il capitale occorrente e per compenso, percepivano ciascuno un quarto degli utili, mentre l'altra metà veniva incassata dal barone. L'amministrazione non era assicurata presso nessuna Società: per ferimenti o malattie venivano erogati sussidi ridicoli. Le famiglie dei morti ed i malati di anchilostomiasi addirittura non venivano neppure sussidiate; i malati, inabili al lavoro erano sprovvisti di qualsiasi mezzo di sussistenza; in quelle condizioni la malattia inesorabilmente continuava a propagarsi.
Tra l’altro quella malattia, era da tempo conosciuta dall'esercente e da tutto il personale della miniera. I medici locali, entrambi stipendiati dalla miniera Muglia, conoscevano perfettamente la gravità della malattia avendone riferito all'Amm.ne; anche il delegato di P.S. era stato informato attraverso un reclamo, ma non aveva mosso un dito, tutto era stato messo a tacere dall'Amministratore della miniera.


La miniera di zolfo Minnè, ampia circa 30 ettari, si trovava al margine est, dell’area mineraria centuripina. Notizie su questa miniera emergono da alcuni documenti pubblici. Il 18 maggio 1888 con atto stipulato tra il sindaco di Centuripe, Giovanni Testai, e l'ing. Antonio Calamel, ex direttore della miniera di Muglia, veniva conferito a quest'ultimo il ruolo di gabellotto ed esercente le zolfare Marmora-Palmeri e Minnè, di proprietà “ab antico” del comune; la direzione dei lavori delle miniere veniva affidata invece all'ing. minerario conte Vittorio Castagneti de Chateauneuf. Nella medesima nota si evidenziava come quelle miniere, malridotte e sfruttate, fossero da parecchi anni, quasi abbandonate, sebbene il Comune volesse concederle a condizioni più che vantaggiose. Grazie all'intraprendenza ed ai capitali investiti dai due ingegneri francesi si sarebbero potute trasformare in una vera “sorgiva di ricchezza”. Ma da lì a qualche anno non si sarebbe sentito più parlare della miniera di Minnè; dalle testimonianze raccolte un quarto di secolo fa, si riscontrò come fosse addirittura sconosciuta ai minatori centuripini di inizio novecento. Sui luoghi, fino a qualche anno fa, erano visibili i resti di qualche fornace sepolta tra la vegetazione. Probabilmente, durante il breve periodo in cui fu in attività, lo zolfo si portava a spalla e mai quella collina vide mezzi meccanici per l’estrazione.

La miniera Marmora-San Giovanni, estesa 16 ettari, occupava, nell’ambito dell’alveo zolfifero della contrada Marmora, la parte più alta a sud-ovest dove il pendio si inerpica in direzione Piano Pozzi. Secondo alcune testimonianze, era, agli inizi, il bacino più ricco e aveva lo zolfo di migliore qualità.  Ha avuto una doppia vita, molto produttiva con la gestione Castro - Nicoletti, prima della seconda guerra mondiale e dal 1946, con la gestione Tobia, utilizzata solo per ulteriori ricerche.

La miniera Marmora-Palmeri, ampia 24 ettari, occupava l’area a sud della contrada denominata Marmora. La prima mappa della miniera, del 30 giugno 1834,  registra uno sconfinamento sotterraneo delle gallerie verso la contrada Chieffi.


La particolarità di questa miniera era relativa al giacimento che superava i 60° di inclinazione ed era rovesciato. L'8 marzo 1891 il sindaco di Centuripe rinnovava il contratto all'ing. Calamel per la conduzione della miniera Marmora-Palmeri. Il 24 aprile dello stesso anno l'ing. Calamel chiedeva al sottoprefetto di Nicosia di poter usare nella miniera Marmora-Palmeri le mine al posto del piccone, causa la durezza del minerale. Infine, il 9 settembre 1893, dopo l'improvvisa morte in miniera dell'ing. Calamel, conduttore delle solfare comunali, il consiglio comunale di Centuripe affidava il ruolo di gabelloto all’Ing. Vittorio Castagneti.

Cartolina postale - 1931

Una cartolina postale del 1931, con i lavoratori in posa statica, probabilmente doveva veicolare un messaggio da reclame; mostra una miniera in buona salute, quasi da azienda privata che deve trovare gli spazi commerciali per il proprio prodotto, ma lo zolfo statunitense non concedeva tregua e il destino, anche per queste realtà da cartolina, era già segnato.

La miniera Marmora-Gualtieri, ampia circa 19 ettari, occupava l’area a ridosso della Regia trazzera Centuripe-Biancavilla, oggi S.P.n°41. Fu l’Ing. Vittorio Castaneti de Chateauneuf, ad intuire e individuare lo zolfo della Gualtieri. La miniera apparteneva alla famiglia Avarna dei duchi di Gualtieri, ed era gestita, così come il patrimonio di famiglia, dal senatore Nicolò Avarna. 

Sen. Nicolò Avarna Duca di Gualtieri

Il fratello, senatore Giuseppe era un diplomatico; nella sua qualità di Ambasciatore italiano a Vienna, fu lui a consegnare la dichiarazione di guerra dell'Italia, all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915. Giuseppe morì l’anno successivo. Nicolò morì nel 1920 ma non lasciò il patrimonio e le miniere a Carlo,  figlio del fratello Giuseppe, bensì al figlio di Carlo che all’epoca aveva solo quattro anni; infatti Carlo Avarna era stato ripudiato dalla famiglia perché aveva abbandonato la moglie e i figli, per accasarsi con una ballerina. Vi è al riguardo tutta una “curatela testamentaria dell’eredità del duca di Gualtieri”. Paradossalmente anche il piccolo erede Giuseppe, una volta maturo seguì le orme del padre, abbandonando a sua volta moglie e tre figli per una hostess americana. Ma questa è un’altra storia.
Le testimonianze, numerose, che sono arrivate ai giorni nostri, provengono da esperienze maturate proprio in quella miniera. Era una miniera pericolosa, gli scoppi di grisou erano continui; gli incidenti, anche mortali, erano all’ordine del giorno. 
Nel 1933, anno di maggior produzione, la miniera contava almeno 300 operai, molti provenienti da Enna, Caltanissetta e Villarosa. I forestieri con le loro famiglie, alloggiavano nelle casette; c’era anche un locale adibito a scuola, adiacente la cabina elettrica. Il villaggio minerario, aveva una grande vasca circolare per l’acqua potabile e, dal 1927, uno chalet in legno per l’amministrazione.

Il villaggio minerario.

La miniera Gualtieri era l’unica dotata di un doppio binario nel piano inclinato; ciò consentiva di tirare fuori il materiale con maggiore intensità. A differenza della San Giovanni e della Palmeri che contavano su sei forni ciascuna, la Gualtieri aveva a disposizione oltre diciotto forni Gill e un calcarone. 

Le fornaci, i depositi e la sala motori.

 La sovrapproduzione di zolfo, del 1933, costrinse a realizzare un piano inclinato sussidiario, per portare il materiale al gruppo di forni della miniera di San Giovanni. Gandolfi, che dirigeva il complesso, aveva istituito anche un allarme a rintocchi; gli infermieri erano sempre presenti.
Dal 1942 il numero degli operai, dell’intero gruppo di miniere Gualtieri Palmeri e San Giovanni, si riduce a 200 unità. L’ospedale, fatto costruire dal distretto minerario di Caltanissetta, non fu mai utilizzato, la crisi arrivò prima.
Probabilmente la Gualtieri è l’ultima miniera produttiva che chiuse i battenti nel centuripino; all’inizio degli anni ‘50, quando il mercato ormai era chiuso allo zolfo siciliano, si cercò disperatamente di risollevarne le sorti rilevandola con una cooperativa sociale, ma era solo il canto del cigno, il destino era ormai segnato. 
Area della miniera spianata e ruderi delle casette - 1990

I ruderi, dei forni della miniera, erano visibili fino alla metà degli anni ’70, in seguito l’area è stata spianata con mezzi meccanici. Oggi è occupata, in parte, dai capannoni della zona artigianale.
Giuseppe Gagliano, raffinato e stimato pittore naif centuripino, da caruso aveva vissuto la realtà mineraria sulla propria pelle. Poi la vita gli riservò per fortuna un diverso cammino professionale. Dedicò alle attività della miniera, due bellissimi dipinti che ritraevano le attività della miniera Marmora-Gualtieri all’esterno (1970) e l’estrazione dello zolfo all’interno dei cunicoli (1971). 

G. Gagliano - La zolfara - 1970

Il primo dipinto è molto più di un quadro o di una testimonianza: è un vero e proprio libro aperto sull’ambiente minerario racchiuso dentro il paesaggio centuripino. L’amore per il proprio paese, trascende il reale, ricolora gli sterri e il colore giallastro di  un ambiente bruciato dai fumi della combustione dello zolfo.
Ogni pennellata porta con sé un indizio importante, niente è lasciato al caso; il ricordo, nei pensieri di Gagliano è ancora vivo quasi immortale. Basterebbe osservare i due dipinti accostati, per sviluppare un’idea generale sulle miniere di zolfo.

Antonino Amore, catanese di nascita,  a Centuripe nel luglio del 1950, visita le miniere con il suo blocco da schizzi e le matite, per  il desiderio di vivere l'esperienza dei minatori.  

A. Amore - Minatore, schizzo su carta -  1950

Disegna e bagna di sudore i fogli del blocco; il dramma e  la fatica dei minatori, con i quali condivide quella esperienza, emerge dai suoi tratti veloci e curiosi.  

Salvatore Calì, poeta e scrittore centuripino, vive dalla più tenera età l’esperienza drammatica del lavoro in miniera. Nei suoi racconti e in alcune poesie, descrive la fatica e la sofferenza della sua esperienza.   

La miniera Salinà, a sud-ovest da Centuripe, era gestita da Sportaro, vi era in zona anche una miniera di salgemma, gestita da Gallone. Entrambe non hanno avuto fortuna.
La miniera Policara, 1,5 km. a sud della Contrada Marmora, era una piccola miniera senza velleità; il materiale, una volta tirato fuori, si portava a spalla fino a una terziglia di forni, i cui ruderi sono ancora visibili.


Nell’area dove insisteva il piano inclinato hanno collocato, alla fine degli anni ’80, la nuova discarica comunale.
Nella seduta del Senato della Repubblica n° 563 di mercoledì 25 settembre 1957, il senatore Antonio Romano, nel suo lungo intervento su discipline sindacali e del lavoro citava: “Nel luglio scorso in una miniera di zolfo nei pressi di Centuripe sono rimasti sepolti vivi alcuni operai ed il Direttore Ingegnere Giuseppe Cimigna”.

Ing. Cimigna Giuseppe

I corpi delle vittime furono tirati fuori dopo parecchi anni. Cimigna era il cugino che non conobbi mai.
Enzo Castiglione

Bibliografia breve:
-   G.U.R.I. N°151 del 21 giugno 1966 – Decreto Presidente della Repubblica 31 maggio 1965, n. 1713.
    “Elenco delle miniere, cave e torbiere esistenti nel territorio della Sicilia”.
- R. Turco: Raccolta di leggi, decreti, regolamenti, ordinanze e circolari vigenti in Sicilia per le miniere, Caltanissetta, Tip.Petrantoni, 1912, pp.600;
- F. Squarzina: Produzione e commercio dello zolfo in Sicilia nel sec. XIX, Torino, I.L.T.E., 1963, pp. 200;
- AA.VV. : "L'industria mineraria zolfifera Siciliana" (Torino, 1925)
- C. Coco: " Cenni storici sulle miniere di zolfo" (Catania, 1905)
- L. Parod: "Sull'estrazione dello zolfo in Sicilia e sugli usi industriali del medesimo" (Firenze, 1873)
- R. Travaglia: " I Giacimenti di zolfo in Sicilia e la loro lavorazione" (Padova, 1889)
- V. Amico: " Dizionario topografico della Sicilia"
- Pagano: " Per la storia delle miniere di zolfo in Sicilia" All'interno di " Rivista mineraria Siciliana" (Ottobre 1953)
- Sebastiano Addamo: Zolfare di Sicilia, Saggi di G. Barone ed M. Cassetti, Palermo, Sellerio, 1989
- La sanità pubblica italiana negli anni a cavallo della 1a guerra mondiale di Donelli, Di Carlo – Armando Editore, 2016
- Le vie dello zolfo in Sicilia – AA.VV. – Officina Edizioni, 1991
- Eliseo Reclùs – La Sicilia e l’eruzione dell’Etna nel 1865, Brancato Editore, 2000
- Baraffael A. - Rapporto sulla visita eseguita alla miniera Muglia giugno 1898 – Caltanissetta giugno 1898
- Mario Gatto: Cenni sulla storia delle solfare di Sicilia, 1887;
Racconti
Rosso Malpelo – Giovanni Verga, raccolta Vita dei campi 1879
Ciàula scopre la luna – Luigi Pirandello, Novelle per un anno 1907
Un filo di fumo  - Andrea Camilleri, Sellerio 1980

Film
La discesa di Aclà a Floristella di Aurelio Grimaldi, 1992

2 commenti:

  1. So, dai racconti di mia nonna Maccarrone Sebastiana di Centuripe, che mio nonno Prospero Trovato, nato a Centuripe all'inizio del 900, è morto giovanissimo per aver contratto una malattia dentro le miniere di zolfo. Quando leggo qualche notizia sulle miniere di zolfo di Centuripe o vedo qualche foto di quei luoghi ne vengo molto colpita e mi immedesimo sulle loro pietose condizioni. Mia nonna non parlava molto del marito, dal quale ha avuto due figli, mio padre ed una mia zia, perchè le avevano fatto sposare un fratello, con il quale non andava molto d'accordo, ma teneva la foto del primo marito in alto, sulla parete della camera principale, e diceva sempre che la buon'anima era molto buono e l'ha lasciata giovanissima con due figli piccoli. Nonno Prospero aveva gli occhi chiari e dicono che erano identici ai miei. Grazie per il vostro servizio sulle miniere

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