venerdì 16 dicembre 2022

La collina e il federale

 

La collina e il federale


1 – La collina

La collina centuripina su cui sorge la chiesetta dedicata a San Nicola, rappresenta la parte terminale della città di Centuripe in direzione sud - ovest. Oggi si presenta in modo parecchio appariscente, per via della notevole struttura edilizia, sulla parte terminale, che nel corso dell’ultimo secolo  si è sviluppata accanto e tutt’intorno alla chiesetta, celando quest’ultima alla vista.

Filippo Ansaldi ci fa sapere che la parte terminale della collina, sulla sommità, ospitava  all’inizio dell’ottocento il camposanto, e che il quartiere era quindi stato nominato “del camposanto”. In un precedente post “La chiesa, le cripte e l’ospite illustre” abbiamo già avuto modo di vedere che Don Giovanni Luigi Moncada aveva fatto donazione al Comune di dieci salme di terre, tutt’attorno al monte su cui si innalza la chiesa di San Nicola. Aveva fatto costruire a proprie spese un Camposanto, contiguo a detta chiesa, del quale fu ordinata l'apertura il 1 ottobre 1817, e che quindi fu benedetto ed aperto il 15 marzo 1818; aveva fornito inoltre, per il funzionamento e la cura del camposanto, anche una rendita annuale. Nella planimetria redatta, qualche decennio più tardi dall’Architetto Bonaventura De Marco, per il catasto borbonico, si legge chiaramente dove si trova allocato a quei tempi il camposanto a Centuripe. Anche l’Ansaldi annota la posizione del camposanto nella sua bozza planimetrica dell’abitato centuripino allegato al testo del tomo secondo.

Arch. Bonaventura - Catasto borbonico

La planimetria catastale di fine ottocento, infine, riassume le strutture edilizie che erano state realizzate accanto alla chiesa di San Nicola e che nel tempo erano state utilizzate come camera mortuaria, alloggio per il custode o spazi comunque di asservimento per le attività cimiteriali e religiose. Ma, quando fu redatta questa mappa catastale, il camposanto lì non era più in uso, era stato realizzato ed era entrato in funzione l’attuale cimitero.

Panimetria catastale fine ottocento

L’aspetto e l’interesse archeologico di questa collina viene segnalato più volte dall’Ansaldi già nei testi delle sue ricerche: “Rimarchevoli son pure gli avanzi, che si osservano nelle terre censite del Camposanto, dalla parte d'oriente al­lorché furono verso il 1820, dissodate per piantarle a vigne, si rinven­nero avanzi di antiche fabbriche, che in parte tutt'ora si osservano, varii pezzi di musaico, e diverse reliquie di statue di marmo, e fra que­ste una testa e nove mani tutte sinistre, che furono vendute ad uno straniero.” Ed anche le ricerche archeologiche più recenti o i bisbiglii dei tombaroli hanno rivelato interessanti tracce sia di insediamenti antichi che di notevoli sepolcri nell’area di San Nicola o nelle pendici limitrofi e sottostanti.

                    

                            Vista pittorica di Centuripe (Royal Inniskilling Fusiliers) 

Le ultime tracce di eventi storici sulla collina appartengono alla seconda guerra mondiale. Questa collina denominata sulle carte militari “church 708” è stata una delle roccaforti centuripine del 3° Reggimento “Fallschirmjäger” tedesco, che, tra la fine di luglio e il 2 agosto ’43, ha tenuto sotto scacco, per giorni, l’area a sud della città e la rotabile che sale da Catenanuova, bloccando così l’avanzata di otto battaglioni della 38a brigata inglese; malgrado pochi giorni prima, il 28 e il 31 luglio, anche questa collina, come il resto della città, fosse stata letteralmente sbranata dai bombardamenti ad opera dei Martin a30 Baltimore della NATAF, devastando la città e prelevando un alto tributo di sangue innocente.


2 – Il federale

Pietrangelo Mammano nasce a Centuripe il 4 maggio 1906, è l’unico figlio del Cav. Salvatore e di Maria D’Amico; Salvatore in seguito sposerà, dopo la morte della prima moglie, la di lei sorella Anna.

Il nonno, Cav. Pietrangelo (1834-1911?), è un ricco proprietario terriero centuripino, molto religioso, benvoluto e affabile con tutti. Alla sua morte le immense sostanze saranno equamente divise tra tutti i suoi numerosi figli. Ma il nipote Pietrangelo classe 1906, a quanto pare, è l’unico nipote ed erede di questa ricca fortuna; infatti gli zii e le zie sono quasi tutti celibi o senza figli.

Iscritto sin dal 1922 al fascio, aveva poi percorso tutti i livelli di una irresistibile carriera all’interno del partito fascista. Prima come segretario del gruppo universitario fascista, in seguito segretario federale amministrativo; ma la sua personalità violenta e aggressiva si manifestò come massimo esponente del fascismo catanese tanto da essere definito “di gran lunga il peggiore di tutti i gerarchi” “l’implacabile custode dell’ortodossia littoria”. Particolarmente fiero della sua enorme testa pelata che lo faceva rassomigliare a Mussolini, aveva ricevuto l’incarico di segretario federale l’8 gennaio 1937 in sostituzione del precedente segretario Zangàra Vincenzo ed ebbe l’arroganza, addirittura, di prendere a calci l’ottantenne senatore Gesualdo Libertini. Il terrore della via Etnea, schiaffeggiava senza mezzi termini chi, al suo passaggio, non alzasse il braccio teso.

                                  Il segretario federale Pietrangelo Mammano, imitando gli 
                                  atteggiamenti del Duce, arringa i suoi camerati

Mai un gerarca locale fu tanto temuto ed odiato. Le sue interferenze in tutta la pubblica amministrazione creavano continui frizioni tra i vari organi della stessa ed erano intollerabili. Uomo violento, manesco e corrotto, il suo frequente ricorso a vie di fatto contro cittadini indifesi, l'esercizio di potere illimitato e senza regole, la distribuzione capricciosa di cariche, di favori e di prebende, lo rendevano inviso in tutti gli ambienti, compresi quelli dello stesso P.N.F. Nella stanza accanto a quella del suo ufficio, nel palazzo dei Chierici di piazza Duomo, dove aveva sede la federazione fascista, teneva un letto dal quale dovevano passare le mogli dei postulanti, se davvero questi volevano ottenere quello che chiedevano. Tutto ciò era ben noto in città, ma io avevo una fonte privilegiata di informazione: un mio amico e collega di università era impiegato amministrativo negli uffici della federazione fascista e tutte le sere mi aggiornava sulle turpi vicende che si svolgevano nella sede principale del P.N.F. catanese.” (Franco Pezzino - Per non dimenticare)

Burocrate in camicia nera, causò parecchi problemi alle istituzioni ecclesiastiche di Acireale soprattutto per due questioni: gli asili gestiti da religiose e il distintivo di Azione Cattolica. Dava con molta parsimonia l’ordine di cacciare via le suore, sostituendole con alcune signorine della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Come racconta padre Francesco Savia in una lettera indirizzata al vescovo:

“V. Ecc. non ha bisogno di miei consigli, però, creda, sarebbe buono avvisare il Santo Padre sul discorso anticlericale del federale a Linguaglossa che ha incrinato l'accordo tra lo Stato e il Vaticano per avvisare il duce, il quale son sicuro che se non lo manderà a riposo, gli darà una forte tirata di orecchi. Passare sopra l'operato del federale nella nostra diocesi, specialmente con la sostituzione delle suore negli asili di Linera e di Acicatena, come mi ha riferito il mio parroco, sarebbe farlo diventare più tracotante e nocivo alle nostre istituzioni cattoliche.”

 Riguardo all'Azione Cattolica, il vescovo raccontò che in alcune adunate il Segretario Federale, Pietrangelo Mammano, si era permesso di dire che essa era "un residuo del Partito Popolare", quindi bisognava "guardarsene e diffidarne": aggiunse poi che la sede di Azione cattolica era stata prese di mira e si adoperavano vari mezzi.

Un accanimento particolare lo subì lo studente di giurisprudenza Michele Pulvirenti, segretario della Giunta diocesana di Azione Cattolica, per un suo scritto sul periodico diocesano la buona novella,  che il federale aveva volutamente mal interpretato e che comporterà quasi la morte civile per il giovane (senza tessera di partito era compromessa la carriera universitaria e la partecipazione a pubblici concorsi). Chiaramente questo sopruso vendicativo del cinico federale Mammana, nei confronti del fucino Pulvirenti, era palesemente una violenza psicologica verso gli aderenti all'Azione Cattolica acese, diffidati a non prendere iniziative negative verso il regime.

Ma la vicenda relativa alla Banca Cattolica di Caltagirone supera qualunque immaginazione. Il Mammano e lo Zangàra furono attirati dagli eccellenti affari che grazie all’ammasso volontario gravitavano da quelle parti ed i tentativi, leciti ed illeciti, di metterci le mani sopra furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’obbiettivo dichiarato era quello di estirpare l’ultima radice di Don Luigi Sturzo da Caltagirone, l’effetto ottenuto invece fu quello di essere defenestrati dalle loro funzioni, in quanto avevano agito arbitrariamente e stupidamente, recando un grave danno non solo alla vecchia banca ma anche al regime. 

Mammano fu destituito dalla carica Il 19 dicembre del 1939, dopo il siluramento del segretario nazionale del P.N.F. Achille Starace. La caduta di Mammano fece tirare un sospiro di sollievo ai catanesi che della sua prepotenza proprio non ne potevano più. Il 25 gennaio 1940 gli veniva ritirata anche la tessera fascista, con la seguente motivazione: “Nell’esercizio delle sue funzioni che gli derivavano dalla sua carica politica, si rendeva immeritevole di militare nei ranghi del P.N.F.

Il 24 agosto 1942, Mammano rimase vittima di una disgrazia; durante un allarme aereo, si trovava nella sua autorimessa dove aveva accumulato riserve di benzina illegalmente accaparrata in violazione delle norme sul razionamento. L’accensione di un lume, a seguito degli oscuramenti, provocò un violento incendio che causò all’ex federale gravissimi ustioni. La morte lo colse qualche giorno dopo.

Il federale Mammano fu reso famoso, dopo la sua morte, dagli scritti di Vitaliano Brancati e principalmente dal racconto Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949, dove non è difficile cogliere nel federale Pietro Capàno  episodi di cui Pietrangelo Mammano  era stato protagonista. 


3 – L’ente morale

Sulla collina intanto gli angusti locali, adiacenti la chiesetta di San Nicola, dopo la dismissione del camposanto, erano stati utilizzati come aule scolastiche; nel 1932 diventano argomento di discussione per la creazione di un ospizio.

Negli anni precedenti, ai poveri e derelitti di Centuripe, aveva pensato mastro Luciano Cacia, un centuripino che della carità aveva fatto una propria missione di vita; egli aveva messo a loro disposizione gratuitamente un piccolo alloggio con un paio di stanze, di cui era proprietario. La missione civile di mastro Luciano aveva commosso e ispirato il Can. Antonino Mammana, che individuò, negli angusti locali del comune, presso la chiesa di San Nicola e nella fattibilità di fare gestire un ospizio per i poveri, alle suore bocconiste di Palermo, la possibilità di dare un aiuto significativo alle fatiche di mastro Luciano.

Ne parlò con il Podestà, Geom. Cav. Bonomo Giuseppe, che a sua volta, accogliendo la lodevole iniziativa, accettò di donare quei locali comunali e l’area dell’ex camposanto per la organizzazione di un ospizio di mendicità per i poveri. Era un primo piccolo ma significativo passo. Il 5 giugno 1932,  giunsero da Palermo quattro Suore Bocconiste, accompagnate dal Can. Mammana, che si insediarono nella modesta ed angusta casa; i primi poveri ad essere trasferiti a San Nicola e a  ricevere le loro cure furono proprio quelli di  mastro Luciano. Ad essi si aggiunsero presto altri mendicanti, uomini e donne. Gli anni immediatamente a seguire furono caratterizzati da mille difficoltà; gli spazi in quei locali erano insufficienti, il cibo e i mezzi di sussistenza scarseggiavano, mentre le richieste di assistenza e ricovero aumentavano.

La svolta sul futuro dell’umile ospizio arrivò subito dopo la fatidica data dell’agosto del ‘42. Un  tragico lutto, come abbiamo saputo, si era abbattuto sulla famiglia del cav. Salvatore Mammano. L'unico figlio, Pietrangelo, il federale, era morto tragicamente all'età di 36 anni. Tutta la famiglia Mammano era rimasta sconvolta dall'immatura scomparsa dell'unico erede d'immense sostanze. Si poneva il problema della successione delle proprietà e dei beni;  alla fine Prospero convinse i propri fratelli Salvatore, Antonino, e le proprie sorelle Rosaria, Antonietta e Graziella a donare tutti i loro beni all'Ospizio di S. Nicola in Centuripe.

Le disposizioni testamentarie dei fratelli Mammano furono nella sostanza identiche; lasciarono la nuda proprietà dei loro beni immobili all'Ospizio di San Nicola, riservandosi per sé e per i propri congiunti, fino alla morte, l'usufrutto. Lo scopo di queste generose donazioni fu l'istituzione a San Nicola di una Pia Opera, intitolata  allo sfortunato federale:« Fondazione Pietrangelo Mammano - D'Amico ».

Il clero e la nuova classe politica improntata alla fede cristiana che, da quel federale, tante bastonate avevano ricevuto, a fronte del pesante fardello di disperazione dei congiunti del Mammano e soprattutto dei loro denari, avevano accettano subdolamente di tenersi a ricordo perenne proprio quel personaggio i cui comportamenti estremi furono non solo causa di danni morali, umiliazioni, dolore e disperazione per un numero infinito di uomini e donne, ma motivo perfino di una defenestrazione da quella organizzazione che lo aveva reso per anni potente e intoccabile. La nemesi della storia capovolta dalla nemesi del denaro.

Secondo i testamenti, le finalità della Fondazione dovevano essere l’ampliamento e gestione immediata e perpetua dell'attuale Ospizio di mendicità di Centuripe, la costruzione di un orfanotrofio, di un ospedale medico-chirurgico e di un asilo per incurabili deformi e deficienti di mente, in Centuripe.

La  Fondazione inoltre veniva affidata al Pio Ordine religioso, Serve dei Poveri, e Prospero Mammano veniva designato Presidente a vita dell'Amministrazione e Direttore tecnico per la costruzione dell'Orfanotrofio ed altro da eseguirsi dalla Fondazione.

Il Prefetto di Enna, allo scopo di rendere la Fondazione partecipe dei benefici assistenziali previsti dalla legge, nominò provvidenzialmente Commissario prefettizio, il 18 febbraio del 1946, il medesimo comm. geom. Prospero Mammano; fu realizzata la prima ala ad est del complesso edilizio e furono costruiti tre grandi saloni-dormitorio.

Catastale anni '60 - Ala est del complesso

Con decreto del 27 settembre 1950, n. 171, il Presidente della Regione, Franco Restivo, elevava ad Ente Morale la « Fondazione Pietrangelo Mammano - D’Amico », rinfrancando, in questo modo, anche il nome del federale di quell’integrità morale che esso non aveva coltivato in vita.

Negli anni a seguire, altre donazioni di aree, da parte del Comune, consentirono la edificazione degli altri locali ad ovest e a sud della terrazza, fino all’ottenimento del notevole  complesso edilizio che è possibile ammirare oggi. Paradossalmente le donazioni  del Principe di Paternò Giovanni Luigi Moncada al comune di Centuripe, perfino la sua tumulazione dentro la chiesetta di San Nicola, sono ormai svaniti. Però al comune rimane il compiacimento di due posti di minoranza nel consiglio di amministrazione della Fondazione.

L’ente morale, intanto, può darsi che continui a perseguire gli scopi prefissati dal lascito testamentario; ma dentro non ci sono più i poveri, non ci sono gli orfanelli, non c’è l’ospedale medico-chirurgico, non c’è mai stato; forse il federale, a sua insaputa, anche questa volta ha fatto una vittima.  

Enzo Castiglione


Breve Bibliografia di riferimento:

-       -   Ansaldi Filippo – Memorie storiche di Centuripe – Edigraf, 1981

-          -    Libertini Guido - Centuripe  - Città aperta,1926

-          -    Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.8 1940

-          -    Annali del fascismo – febbraio 1940

-          -    Vitaliano Brancati - Il bell’Antonio - Bompiani, 1949

-          -    Chilanti Felice  - Ma chi è questo Milazzo? – Parenti editore,1959

-          -    Mammana Salvatore – Cenni storici sulla Pia Opera, 1965

-          -    Gallo Concetto memorie 1974

-          -    Nicolosi Pietro - 50 anni di cronaca siciliana  - Flaccovio, 1975

-          -    Pezzino Franco - Per non dimenticare  - C.U.E.C.M., 1992

-          -     Saporita Felice – Eia, eia, eia, alalà! : Acireale nel ventennio fascista - Acireale : Accademia degli zelanti e dei dafnici, 2010

-          -    Milazzo Nino – Acireale nel ventennio fascista, 2010

-          -    Pagano Maria Chiara – Il fascio e la croce. Clero e classi dirigenti ad Acireale fra le due guerre – Lulu, 2012


domenica 9 ottobre 2022

Sei pittori per Centuripe

 

Sei pittori per Centuripe

Premessa

 Nel settembre 1996 si concludeva, finalmente, un lungo percorso tecnico e burocratico per la realizzazione di una interessante mostra di pittura a Centuripe. L’idea era nata qualche anno prima dall’iniziativa di un gruppo di artisti siciliani, tra di loro amici:  D’Inessa, Italia, Sciacca, Sciavarrello, Tantillo, Urzì, che avevano scoperto la città di Centuripe, se ne erano innamorati e avevano quindi pensato di esternare questo sentimento; l’amministrazione comunale di allora ne accolse prontamente l’idea e avviò l’iter di quello che sarebbe diventato un evento unico. Ognuno dei sei pittori era presente con tre opere su un unico tema: Centuripe. Diciotto opere legate da un filo unico suddiviso in sei diversi capitoli; un vero e proprio omaggio a questa terra. 

Purtroppo l’assenza all’epoca dei social, che così tanto riescono a veicolare oggi, la durata della mostra (solo due settimane) e la scarsezza di fondi e mezzi a disposizione, resero quell’interessante avvenimento, solo una appendice alle festività patronali di quell’anno, relegato solo alla comunità centuripina che lo ospitava e, di essa, a pochi interessati fruitori.

 La location che ospitò l’avvenimento non fu scelta per caso; la suggestiva Chiesa del Purgatorio era stata appena restaurata e si voleva mettere davanti agli occhi di tutti il risultato dei recenti lavori di restauro.

Qualcosa, comunque, è rimasto oltre al ricordo dell’avvenimento. Sei di quelle diciotto opere, acquistate dal comune, sono rimaste a Centuripe, una per ogni artista. Da ventisei anni fanno bella mostra di se nelle stanze di rappresentanza del Sindaco al comune. L’idea del Sindaco, originale, profondamente innovativa e condivisa, era quella di dotare il comune di Centuripe, nel tempo, di una vera e propria pinacoteca, cioè una collezione di opere d’arte esposte permanentemente in un idoneo ambiente del Comune.

Questo piccolo contributo, memore dell’avvenimento, vuole rendere omaggio agli artisti protagonisti, alla memoria di chi tra loro purtroppo e venuto a mancare e al contributo critico del Prof. Paolo Giansiracusa, che resero speciale quell’avvenimento, turbato solo da piccole incomprensioni e dalla presenza ingombrante di collaboratori, sulla cui complessità e leggendaria lentezza burocratica è meglio stendere un velo pietoso.

 Con i fondi elargiti dalla regione, a finanziare l’evento, furono fatti stampare, oltre alle locandine e agli inviti, un migliaio di copie del prezioso catalogo, ancora oggi testimone dell’evento. I testi che seguono, a corredo delle immagini dei dipinti e che supportano l’opera degli artisti nel modo più appropriato, sono tratti proprio dal catalogo delle opere e rappresentano il prestigioso contributo del Prof. Paolo Giansiracusa.                                                                                                                                                                                      Enzo Castiglione




    Calanchi centuripini - olio su tela - 70x90 (Proprietà Comune di Centuripe)

                    Il vulcano Etna - olio su tela - 100x120

    Sul greto del Salso - acquarello - 20x17


    L'Etna visto da Centuripe - pastello - 64x44

    Spazio barocco - pastello - 66x45,5 (Proprietà Comune di Centuripe)

                     Chiesa Madre, memoria dell'antico - pastello - 62x46


                          Palma e colonna corinzia - tecnica mista - 43,5x51,5

    Monte Calvario - tecnica mista - 43,5x51,5

    La Panneria - tecnica mista - 43,5x51,5 (Proprietà Comune di Centuripe)


    Centuripe: "Contrade inesplorate" - olio su tela - 70x70

    Centuripe: "La valle e la collina" - olio su tela - 60x50

    Centuripe: "Il verde dei monti" - olio su tela - 60x50  (Proprietà Comune di Centuripe)


    Primavera a Centuripe - tempera - 60x40

    Omaggio a Centuripe - tempera - 60x40

    Paesaggio - tempera - 68x48 (Proprietà Comune di Centuripe)


                           L'isola del sud - olio su tela - 60x100 (Proprietà Comune di Centuripe)

    Oltre i confini del cielo - olio su tela - 70x90

    La luce della speranza - olio su tela - 80x70




Note di rif.:
Del. G.M. n° 361   06/06/1994
Del. G.M. n° 850   28/12/1994
Del. G.M. n° 62     14/02/1995
Del. G.M. n° 824   29/12/1995
Del. G.M. n° 673   19/12/1996


















domenica 25 settembre 2022

Crocus Centuripensis

 

Crocus  Centuripensis

Oro rosso di Sicilia


Scritti antichi danno notizia della coltivazione dello zafferano in Sicilia già in età greco-romana.  Particolarmente rinomato era quello di  Centuripe, impiegato tanto nel campo medico che della profumeria.  I Romani lo importavano infatti da lì, oltre che dalla Licia e dalla Cilicia.

Per calmare congiuntivite e infezioni oculari di vario genere, venivano utilizzati colliri a base di olio di zafferano, mentre tra i profumi più raffinati e costosi  vi era il “krocinon”. Il filosofo e botanico greco antico Teofrasto riferisce che il “krocinon” si otteneva, come quello di giglio, dai fiori lasciati in macerazione nell’olio. Si trattava di una fragranza intensa, impiegata sia come profumo per la persona (ovviamente chi poteva sostenerne il costo), sia mescolato a olio di mirra nei banchetti. Il delicato profumo, rilasciato dai due oli, rendeva ancora più gradevole l’atmosfera del simposio.

Lo zafferano, spezia preziosa e ricercata, è ottenuto dall’essicazione dei pistilli del croco, un minuscolo fiore diffuso in diverse terre che si affacciano sul Mediterraneo. Lo chiamano ancora l’oro rosso e il costo elevato del prodotto, così come il prezioso metallo, è dovuto ai tempi ed ai costi di raccolta e produzione. L’utilizzo costante potrebbe rappresentare un investimento per la salute; è infatti un antiossidante, un antitumorale e antidepressivo.


Una scheda della pianta del croco viene tramandata da Plinio il Vecchio che, nella sua  Naturalis Historia, scrive quanto segue:

Tra i tipi di zafferano, quello selvatico è il migliore….. Il primo posto per rinomanza spetta a quello della Cilicia, e lì in particolare a quello del monte Corico, poi a quello licio del monte Olimpo, poi a quello di Centuripe in Sicilia.

Una preziosa testimonianza, sulla coltura del croco e dello zafferano a Centuripe, la troviamo nella pubblicazione del 1777,  ad opera di Domenico Sestini, “Descrizione di  vari prodotti dell’isola di Sicilia..”. Sestini, già protagonista e descrittore di una sua visita a Centuripe nel 1776, a quanto pare era interessato nei suoi viaggi non solo agli aspetti archeologici e numismatici degli antichi luoghi, ma anche agli aspetti botanici del territorio.

Alla coltivazione del croco e dello zafferano, con particolare riguardo per quello centuripino, Sestini dedica l’intero capitolo XIV della pubblicazione citata, con dovizia di particolari sulle fasi della coltivazione e alcune disinteressate proposte, al fine di incentivarne la produzione.






La coltivazione dello zafferano rappresenta quindi una antica tradizione in Sicilia. Ultimamente uno studio del 2007, dell’Università di Catania, sulla reintroduzione della coltivazione della spezia, ha innescato in Sicilia una numerosa serie di iniziative imprenditoriali, sia di singoli produttori che cooperative.

La coltivazione che si adatta a terreni sciolti e poveri, le limitate esigenze nutrizionali, la fioritura autunnale, rendono lo zafferano adatto ad una valida alternativa colturale nelle aree della collina interna siciliana, dove è difficile reperire anche l’acqua per l’irrigazione.

 In questi ultimi anni la coltivazione del croco è ripresa anche a Centuripe, grazie a coraggiosi imprenditori. L’augurio è che, parimenti alle attività imprenditoriali, il prodotto possa riconquistare il ruolo che aveva acquisito nei tempi antichi.

                                                                                                            Enzo Castiglione 


Breve bibliografia:

- Teofrasto da Ereso, Sugli odori – IV-III sec. A.C.;

- Plinio il Vecchio, Naturalis Historia – I sec.d.C.;

- Domenico Sestini, Descrizione di  vari prodotti dell’isola di Sicilia etc…, 1777;

- Sebastiano Interlandi -  Aspetti agronomici innovativi dello zafferano in Sicilia – Tesi di laurea;

- Giuseppe Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, 2015;












sabato 12 marzo 2022

Un'antica struttura da decifrare

 

Un’antica struttura da decifrare

1 – La scoperta

Nell’agosto del 1996 a Centuripe presso un cantiere per la costruzione di un edificio per civile abitazione in via M. Rapisardi, lo sbancamento dell’area fu interessato da una frana causata da un acquazzone estivo e dal successivo dilavamento della pendice soprastante il cantiere.

Nell’immediato sopralluogo congiunto che ne seguì, del comune e dei proprietari, si poté constatare che i resti affioranti erano sicuramente elementi strutturali di notevole interesse archeologico.  Ad una decina di metri di alzato, dalla quota stradale antistante, si distinguevano chiaramente due archi in mattoni che si aprivano nella roccia. Il  notevole dislivello e la distanza, dal punto di osservazione, non ne consentirono, però, una immediata ispezione ravvicinata. Ovviamente, finché l’edificio in  costruzione non salì di quota non fu possibile avvicinarsi, si tenne però in debita considerazione il costante monitoraggio dell’area. Nei primi di dicembre del medesimo anno, finalmente si erano create le condizioni per esaminare da vicino la struttura. La Soprintendenza di Enna era stata, sin da agosto, avvisata e coinvolta negli avvenimenti legati alla rivelazione fortuita del manufatto. Infine, l’intervento della Sezione Beni Archeologici della Soprintendenza, supportata dal comune in un sopralluogo congiunto, il  successivo 23 dicembre, permise finalmente una osservazione ravvicinata della struttura che si attestava sicuramente in età ellenistico-romana. 

2 – Breve descrizione

 L’arco in mattoni a sinistra, per chi osservava, celava la presenza di un forno la cui apertura di circa 45 cm. sul fronte esterno, consentiva di scrutarne la camera interna. Il piano d’appoggio, all’interno del forno, aveva un diametro di circa un metro e sessanta e si presentava in condizioni ottimali con la base perfettamente liscia, livellata ed integra, così come tutta la struttura nel suo insieme.  La calotta sferica del forno era alta al centro circa un metro; al centro della sommità e, in basso, sulla parete verticale erano ben visibili bocchettoni in terracotta che, attraversando lo spessore dei muri, consentivano al calore prodotto, quando il forno era in uso, di sfiatare, di irradiarsi o di essere ventilato da quelle parti.

Schizzo Planimetrico

Nell’area immediatamente antistante, a quota inferiore di circa 90 cm rispetto al piano del forno, sopravviveva la striscia di un pavimento e su di esso si trovavano accumulati frammenti di intonaci di vari colori.

Frammenti intonaci

L’arco in mattoni a destra, leggermente più stretto, occludeva una galleria di servizio, larga circa mt. 1,20, di cui non si riusciva a scrutare l’intero sviluppo; il tratto visibile, sulla parete a sinistra ed a una quota più alta  rispetto al piano di calpestio della medesima galleria, era percorso da un alveo largo circa mezzo metro nella quale erano alloggiati in sequenza enormi tegoloni, lunghi 86 cm. e larghi cm. 0,41/0,31, nella quale doveva in origine scorrere acqua; sulla medesima parete era visibile il bocchettone che si dipartiva dal forno adiacente.

Schizzo Sezione

3 – Ipotesi e congetture

Quindi un impianto per produrre calore, accostato ad una galleria per la presa dell’acqua scavata in perpendicolare nella collina retrostante, ed una condotta per addomesticare le acque.  Queste notevoli e interessanti strutture, che risultano posizionate, come in un gioco ad incastro, tra ambienti posti alle  quote più diverse, si prestano però a diverse ipotesi di destinazione d’uso: una fornace da vasaio? Un impianto di riscaldamento appartenente ad una ricca dimora o ad un modesto edificio termale? O semplicemente un forno da panificio accessoriato?

Ipotesi 1- La fornace di un ceramista, ha caratteristiche costruttive molto diverse, rispetto a questa tipologia di forno. La fornace del vasaio, oltre ad essere considerevolmente più grande, deve necessariamente avere la camera di combustione in basso, ed il piano di posa è una vera e propria griglia che permette alle elevate temperature di essere permanentemente quasi a contatto con i manufatti in argilla da cuocere.  

Ricostruzione di una fornace  verticale - A. Cagnana

A Centuripe l’alto numero di fornaci ellenistiche ha contribuito alla fama delle terracotte centuripine. Le fornaci dei vasai erano inoltre dislocate ai margini dell’abitato, raggruppate in veri e propri quartieri artigianali.

Ipotesi 2 - Il praefurnium era un grande forno in cui si produceva aria calda ad altissima temperatura e serviva a riscaldare l'ipocausto; inventato dai greci ma perfezionato dai romani, era un sistema di riscaldamento ad irradiazione che consisteva nel fare circolare aria calda nelle intercapedini dei pavimenti e delle pareti degli ambienti da riscaldare. Solitamente l’ipocausto era a diretto contatto e quasi sempre alla medesima quota del praefurnium

In questo nostro caso sono presenti solo due  bocchettoni in terracotta, dal diametro di circa una decina di centimetri. L’unico bocchettone al centro della volta  difficilmente avrebbe potuto soddisfare un ipocausto di qualche ambiente soprastante il forno. Altrettanto difficilmente un solo bocchettone avrebbe potuto scaldare l’acqua, che scorreva nella condotta retrostante e che era direzionata verso gli altri ambienti individuati alle quote sottostanti.

Una eventuale variante a questa ipotesi, ma non c’è alcun elemento per convalidarla, potrebbe essere la presenza nella parte posteriore o nascosta della struttura, di una riserva d’acqua che consentiva all’acqua di sedimentare e, a contatto con il forno, di essere scaldata prima di scaturire nell’edificio sottostante. Un vero e proprio boiler.

Ipotesi 3 - Forse l’ipotesi più plausibile, per queste strutture a prima vista enigmatiche,  è quella di un forno domestico o pubblico per la produzione di pane e l’approvvigionamento, a fini privati o pubblici, di acqua, attraverso una sorgente d'acqua captata nella roccia.

In questo caso i due soli bocchettoni visibili nel forno sarebbero serviti, in basso, a ventilare la fiamma ed, in alto, a consentire la fuoriuscita dei fumi durante la combustione del legno e la cottura del pane.

4 – Indagini ulteriori

Il dislivello tra il viale Marconi e il sottostante viale Leopardi sfiora i quaranta metri; diventa pressoché impossibile indagare quel che resta del pendio soprastante gli archi, data la pendenza pericolosa e gli spazi angusti in cui operare. Per avere una qualche ulteriore risposta, le indagini, oltre che indagare la presente struttura in modo più approfondito, potrebbero essere allargate all'area limitrofa a sud, dove sono stati individuati resti di abitato antico, tra cui un tratto di pavimento in cocciopesto, spesso complessivamente oltre 30 cm., ed un antico muro, già visibili nel taglio dello sbancamento dell’area edificata. Questo versante, immediatamente ad ovest della città, era costituito da un pendio con larghe terrazze, come si evince dalle foto panoramiche ed aeree del secolo scorso, che sono poi state sconvolte dagli sbancamenti per la costruzione di nuovi alloggi residenziali; ma, prima di questo importante ritrovamento, era difficile ipotizzare che, a parte la risaputa galleria di attraversamento della città, anche su questo versante della Centuripe ellenistico-romana insistesse una qualche forma di organizzazione urbanistica ed antichi edifici a terrazze. Ulteriori indagini potrebbero concretamente rivelare la destinazione d’uso delle strutture affiorate e le caratteristiche degli edifici antichi presenti su quell’area; una ottima occasione per aggiungere qualche altra tessera alla storia ed alle caratteristiche dell’antica Centuripe. 

                                                                                                                Enzo Castiglione