giovedì 13 luglio 2017

Centuripe - Il museo disegnato

Centuripe - Il museo disegnato

La documentazione grafica, elaborata nell’ambito delle attività di un museo, è assolutamente indispensabile nel  quadro delle documentazioni scientifiche complessive.
Le professionalità, indispensabili per la sua realizzazione, non dovrebbero essere di qualità inferiori a quella di un restauratore o di un fotografo; difficile improvvisare senza che vi sia una preparazione tecnica di base.  In alcuni casi, si potrebbe ovviare solo con fotografie, ma rimarrebbero documentazioni insufficienti.


La documentazione grafica, dei materiali archeologici, consente di avere nel dettaglio le dimensioni effettive, anche in scala, dei reperti, con la particolarità che la rappresentazione deve comunicare anche gli spessori della ceramica; cioè elementi difficili da rivelare con una foto.
Inoltre, le decorazioni ceramiche potrebbero, con il disegno, essere attenzionate con dovizia di particolari, siano esse all’interno o all’esterno del manufatto, che potrebbe, in ultima analisi, essere rappresentato in forma estesa, aperta, o in 2D.


Il disegnatore-grafico, che non ha il compito di interpretare il reperto, infatti non si sostituisce all’archeologo, deve saper interpretare gli interessi dello studioso; deve in pratica illustrare nel modo più congeniale possibile l’oggetto.
Un oggetto esposto dentro una vetrina si osserva con una certa superficialità, non tutti gli aspetti plastici e decorativi vengono a volte percepiti; il disegno invece potrebbe aiutare anche ad entrare più nello specifico ed è un invito sottinteso ad apprezzare maggiormente l’antico manufatto anche se di scarso valore artistico.


Al Museo Archeologico di Centuripe mi sono occupato anni fa del rilievo grafico di un buon numero di oggetti, provenienti dalla ex collezione comunale, che rappresentano il periodo della città sicula; sono materiali di età arcaica e classica, interessanti per gli accostamenti tipologici che è possibile fare con altre aree e siti dell’isola.


La serie di reperti, di cui alle illustrazioni, non è esaustiva; infatti basti pensare al materiale proveniente dalle necropoli. La speranza è quella di invogliare le giovani generazioni, in una attività professionale che potrebbe diventare motivo di soddisfazioni personali e perché no, economiche.
Enzo Castiglione



sabato 8 luglio 2017

Prospero, Santo Martire senza fissa dimora

Prospero, Santo Martire senza fissa dimora

San Prospero part.  -  Chiesa del Crocefisso, Centuripe

Il culto, acquisito, dei centuripini per San Prospero Martire risale al 1698, ed è riconosciuto protettore della città con Santa Rosalia, in una sorta di uguaglianza di genere.
La festa per entrambi viene celebrata ogni anno, dal 16 al 19 settembre. Il contegno del volgo, nel celebrarne la festa,  non è stato sempre pio e nei limiti della decenza prescritti dalla religione.
Il 3 luglio del 1696, il cardinale Gaspare Carpegna, aveva concesso a Dominico Salvi una reliquia “estratta” dal corpo del Santo Martire Prospero. Tale reliquia fu consegnata al sacerdote e medico Pietro Gravina. In seguito don Pietro Gravina, si dice dopo eventi miracolosi certificati, consegnò la reliquia ai sacerdoti della Chiesa Madre di Centuripe don Pietro Ansaldo e  don Arcangelo Maccarrone, che ne avevano fatto richiesta. Il 3 aprile 1698 Andrea Riggio vescovo di Catania, ne permetteva l'esposizione e la venerazione.

Centuripe - festa di San Prospero - 18 settembre 1931

Nel 1747, a seguito dell'erezione di un collegio di canonici da parte del vescovo di Catania Pietro Galletti, la chiesa madre veniva elevata al rango di collegiata. Nel privilegio si ribadisce che la chiesa è intitolata all’Immacolata Concezione e a San Prospero Martire. Nel 1873 viene soppresso il Capitolo collegiale dalla Corte d’Appello di Catania. Non viene, chissà perché, più menzionata l’intitolazione a San Prospero Martire.

La chiesetta (in rosso) nel catastale storico

La piccola chiesetta ottagonale dedicata al Martire San Prospero, presso il quartiere "Tribona", è rimasta in piedi un paio di secoli. Fu costruita subito dopo il 1759, anno in cui  un certo Savuto da Paternò era stato il protagonista di un’avvenimento che sarebbe poi diventato leggenda.  Savuto, che aveva deciso di donare presunte reliquie del Santo Martire ai centuripini,  salì a Centuripe sul dorso di una mula; la mula, che trasportava anche le reliquie, giunta all'ingresso della città, considerata la fatica che aveva affrontato per superare il notevole dislivello, si sarebbe rifiutata di proseguire oltre. I rappresentanti della Collegiata furono costretti a raggiungere, loro malgrado, la mula in sciopero, per ricevere in consegna le reliquie del santo. Ovviamente si ritenne quello un segno, che il Santo Martire, proprio in quel sito, volesse dedicato un tributo. E lì gli fu costruito un tempietto.

Fotomontaggio



Nei primissimi anni ’60 del secolo scorso, la chiesetta fu demolita per fare spazio alle moderne esigenze della viabilità centuripina. Ancora non c’era la provinciale 41 (quella che oggi percorriamo per Paternò),  e la strada che collegava Centuripe a Catania, costruita nel 1832, era la 24a che scende al bivio di Regalbuto. La corriera,  per transitare in quel tratto urbano, doveva compiere manovre complicatissime e risicatissime per non uscirne danneggiata.  Da lì la decisione politica di sfrattare sia l’atto di devozione, che il Santo Patrono correlato.
Quando fu buttata giù, mia nonna Concetta, donna religiosissima che abitava nei pressi, era disperata per quanto stava accadendo.

Il Simulacro del XIX secolo

Il simulacro, oggi in uso nelle processioni, risale alla metà del XIX secolo ed è opera del maestro centuripino Giacomo Di Lorenzo. Il Santo è raffigurato in abiti principeschi da condottiero,  cesellati in argento, quasi fosse anche lui un prodotto della “casata dei Moncada”. Siamo molto lontani dal periodo storico in cui il Martire visse e dagli abiti che probabilmente lo contraddistinguevano.

Chiesa di San Giuseppe - Chiesa del SS Crocefisso

In una pala d’altare presso la Chiesa del SS. Crocefisso, è raffigurata l’effige del Santo, gli abiti che distinguono il Santo, sono quelli di un soldato romano. Un'altra pala d'altare, presso la Chiesa di San Giuseppe, raffigura San Vito (inginocchiato). I due santi, che vissero nella stessa epoca,  trovarono la morte per mano di Diocleziano tra il 403 e il 404 d.C.. I costumi che indossano sono, in entrambi i casi, molto più credibili. Comunque, in queste poche righe, abbiamo constatato,  come fu che il Santo Patrono Prospero, espropriato dalla titolazione della madre chiesa e sfrattato, con tutta la sua chiesetta, dal quartiere Tribona,  divenne a Centuripe un Santo Martire senza fissa dimora. 
Enzo Castiglione


venerdì 7 luglio 2017

Il Mattatoio Etno-Antropologico di Centuripe


Il Mattatoio Etno-Antropologico di Centuripe

La struttura dell'ex macello comunale, ancora oggi in buono stato conservativo, è stata inaugurata verso la metà degli anni venti del secolo scorso; in seguito, per difficoltà oggettive, derivanti dalla impossibilità di adeguarla alle prescrizioni legislative (depuratore), sono state dismesse le attività di macellazione. 


Da 28 anni è  sede di una interessante collezione di Antropologia culturale: una eccezionale raccolta di oggetti e attrezzi della tradizione popolare e della vita quotidiana legate al periodo preindustriale. Dal marzo 2008 sull'area insiste un decreto di vincolo archeologico diretto e sulla struttura dell'ex mattatoio un vincolo indiretto. Dal 2013, la collezione costituisce bene culturale ai sensi del D. Lgs. N. 42 “ Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” è quindi sottoposta alle disposizioni di tutela del medesimo Codice.
Il nucleo principale della Collezione di Antropologia Culturale si è costituito grazie all'attività, dal 1989, di un progetto di lavori socialmente utili ex art. 23 L. 67/88, che prevedeva la possibilità per il gestore di utilizzare parte dei  fondi, messi a disposizione dall’Assessorato Lavoro della Regione, per l’acquisto di alcuni reperti; buona parte della collezione proviene invece da donazioni gratuite. 


Dal 1996, in seguito a disposizioni legislative regionali, subentra nella gestione del progetto il Comune di Centuripe alla Cooperativa Co.di.la.; con l'attività del Museo, allora civico, si è provveduto ad un riordino museografico; sono state privilegiate ricostruzioni di contesti, con apparati didascalici integrate da immagini. Le opere di Giambecchina e i quadri di Giuseppe Gagliano, pittore naïf centuripino, hanno fornito un ottimo repertorio per agricoltura, vita nei campi, e ambiente locale. La gran parte degli oggetti della collezione sono abbastanza diffusi, ma è proprio l'allestimento, il filo conduttore del discorso. 

Il percorso espositivo inizia dal carretto siciliano; quello in esposizione è stato realizzato a Vittoria (Rg), dalla ditta Russo Diego & figlio e decorato alla fine degli anni '50 del secolo scorso probabilmente dall'artista Salafia Giuseppe. Il carro ha una struttura riconducibile alla scuola catanese con le sponde rettangolari. Le pitture sono parecchio danneggiate ma la tecnica si discosta da quella catanese con un tratto più netto rispetto alle pennellate sfumate. Le dipinture rappresentate riguardano eventi di diversi periodi storici.





L’itinerario quindi prosegue nelle sale del corpo centrale, qui le attenzioni sono dedicate al lavoro agricolo e l'esposizione è articolata in diverse sezioni: l’agricoltura e il ciclo del grano, la casa del contadino e altre coltivazioni o produzioni legate al territorio.
Fra le attività agricole il ciclo del grano riveste un ruolo preponderante, con gli attrezzi per l’aratura, la semina, il trasporto, la cernitura, la misurazione. Sono esposte falci, ditali di canna per la protezione delle dita del mietitore, zappe, aratri in legno ed in ferro, erpici,  ecc.; ma anche oggetti ormai difficili da trovare, come l’imballatrice di fine ottocento o il carro per i trasporti pesanti. 







A Centuripe la festa per i Santi Patroni si integrava perfettamente al ciclo del grano: con le pioggie d’autunno aveva inizio l’aratura e la preparazione del terreno, da novembre a marzo si seminava, a giugno si mieteva, e infine la trebbiatura completava il lavoro nei campi; le feste patronali portavano a compimento la buona annata. 


La casa del contadino era costituita generalmente da un unico ambiente con una alcova che accoglieva il letto matrimoniale. Esso era costituito solitamente da tavole sostenute da cavalletti (trispiti) e i materassi venivano riempiti con una particolare erba essiccata chiamata linieddu;  su un muro ad angolo, a due anelli in ferro, venivano fissate le cordicelle che sostenevano la naca (culla). Generalmente ai piedi del letto trovava posto u casciarizzu (cassapanca) dove si riponeva la biancheria data in dote alla sposa.




La cucina era il luogo principale per la famiglia; questo locale assumeva un’atmosfera particolare quando, durante le stagioni fredde, la famiglia trascorreva qui buona parte della giornata. In ogni angolo della casa erano disposte le immagini dei santi protettori contro i malanni e le calamità, foglie di palme benedette ed anche ferri di cavallo contro il malocchio e la iettatura. Qui sono esposti i tegami e altri contenitori in terracotta dove si conservavano olive in salamoia, lardo, strutto, ed è stata ricostruita una tipica cucina in muratura, in cui si utilizzava legno come  combustibile. 


Il torchio in legno, alla genovese, domina la sala in cui sono esposti oggetti ed attrezzi collegati alle produzioni territoriali. Il torchio proviene da un trappeto centuripino dismesso di C/da Gelofia. 
E’ costituito da due enormi fianchi montanti (mascinnari), uniti nella parte alta dalla chianca, una sorta di trave attraversata da un largo foro scavato a elica (‘mpanatura) nella quale scorre la vite del torchio (virmigghiuni o fusu) ricavata, a sua volta, da un unico blocco di legno a sezione quadrata. Alla estremità inferiore del virmigghiuni è incastrata la riola (cunocchia), costituita da due dischi in legno (timpagni) distanziati da tasselli in legno e rinforzati all’esterno da cerchioni di ferro.
La cunocchia a sua volta è attaccata con un perno al baiardo (ulunzola) una spessa asse orizzontale di legno, le cui sporgenze laterali scorrevano nelle guide scavate nelle facce interne dei mascinnari


Il delfino (lumera), infine, è il raccoglitore circolare, ricavato da un monoblocco di pietra lavica, bordato per evitare fuoriuscite dell’olio e dotato di beccuccio di scarico per il deflusso dell’olio verso la vasca di decantazione. In situ sono rimasti la chianca inferiore di legno (interrata) e il raccoglitore circolare originale in pietra calcarea. Le olive una volta molite venivano messe dentro Fiscoli, sporti, (coffi) e poi pressate. 



Lo smielatore e altri oggetti collegati alla produzione del miele e del vino completano il quadro espositivo della sala, dove trova posto anche il calesse alla pistoiese, che svolgeva il proprio servizio nel catanese. 



Un ambiente, dell’ex mattatoio stretto e lungo, in origine destinato a stalla, ospita una serie di ricostruzioni di botteghe e attività artigiane.
Gli artigiani provvedevano alla realizzazione degli oggetti che servivano nelle campagne e nella vita quotidiana. Le loro attività erano legate a doppio filo alla vita dei contadini e alla produzione del grano. 
L’attività del fabbro richiedeva una certa esperienza e abilità; egli si avvaleva della “forgia” (fucina) per riscaldare il ferro e di un’incudine e martello per lavorarlo e svolgeva pure il mestiere di maniscalco. Notevole il mantice che fa parte della collezione, uno strumento meccanico che serve a produrre un soffio d'aria. Veniva usato per alimentare il fuoco della  fucina. E’ composto da una sacca in pelle con i contorni pieghettati in modo da facilitarne la compressione; l'aria spinta da tale compressione viene emessa attraverso un ugello. A Centuripe,  i padroni del fuoco e maestri del ferro erano presenti in numero esiguo; ciò gli permetteva di condurre una vita più agiata rispetto alla altre categorie di maestranze.

Diffuso l’allevamento di ovini e bovini che garantiva la produzione di latte e prodotti caseari oltre alla produzione di lana; le fiscelle, le forme per il formaggio ed anche cesti  e sporte venivano realizzati manualmente utilizzando canna intrecciata a rami di ulivo selvatico o di melograno oppure paglia.

Nel passato l’arte dell’intreccio non era una vera e propria attività artigianale in quanto era un’abilità comune a molti contadini che l’apprendevano nell’adolescenza in un ambito strettamente familiare. Non era quindi un vero e proprio mestiere ma un’attività a cui si dedicavano i contadini nei momenti di pausa e di riposo. Tra costoro si trovava sempre qualcuno particolarmente bravo che costruiva i cesti per sé e per gli altri. Nell’economia contadina difficilmente si sviluppava una consistente vendita di questi manufatti. Oggi diventati elementi d’arredo e di collezione.

La bottega del calzolaio era posta solitamente presso l’abitazione del titolare e l’esercizio di tale mestiere, motivato da una necessità e da una richiesta che non mancavano mai, assicurava alla famiglia dell’artigiano un'esistenza dignitosa. Molti calzolai centuripini erano anche musicisti in quanto essendo quello del calzolaio un lavoro in proprio era facile chiudere la bottega per qualche ora e dedicarsi alla musica.
Un'altra caratteristica della bottega era quella di essere un luogo di ritrovo per la società maschile, in cui molti, non solo se avevano scarpe da riparare, ma soprattutto nelle giornate di pioggia, si riunivano raccontando i fatti del paese ed organizzando varie attività.
Per poter realizzare le scarpe bisognava avere a disposizione il materiale; il rifornimento si poteva fare ogni mese o per periodi più lunghi, ciò in base al lavoro da fare e alle disponibilità economiche del calzolaio.
A Centuripe il periodo più attivo era quello che andava da luglio a settembre perchè i contadini ritornando dalle campagne, con in tasca i soldi del raccolto, si premunivano sia per le feste patronali che per tutto l'anno.

La tradizione della panificazione è ancora oggi relativamente diffusa, tuttavia le tecniche sono rimaste uguali nel tempo e sono fondate su una precisa conoscenza dei tempi di lievitazione della pasta e di preparazione del forno. Anticamente il pane veniva fatto in casa dalle donne, con la frequenza di una, due volte la settimana, oppure una volta ogni dieci giorni a seconda la necessità della famiglia e del numero dei suoi componenti. In ogni quartiere di Centuripe vi erano circa tre o quattro forni che lavoravano a pieno regime tutta la settimana.

Qualche anno fa, sono stati progettati ed elaborati i manichini delle foto precedenti, che una volta installati presso le relative postazioni nelle botteghe, hanno reso più dinamica l’esposizione.  

  


La concessione, da parte del comune (con molta nonchalance), di importanti ambienti dell’ex mattatoio ad alcune associazioni, ha di fatto reso impossibile l’ampliamento espositivo con altre attività, legate agli aspetti antropologici della comunità.
 Pertanto: la bottega del falegname, un affresco sulle zolfare centuripine e il ciclo dello zolfo, le strutture produttive tradizionali del territorio e altro, dovranno aspettare tempi migliori, opportune sensibilità nei confronti del lavoro fatto sin qui, piuttosto che verso il perdurare di situazioni da vero e proprio mattatoio.
Enzo Castiglione



lunedì 3 luglio 2017

Centuripe: Un passato per un futuro

Premessa:
Questo Post ha solo una funzione propedeutica ad alcune attività, che potrebbero vedere protagoniste le scuole centuripine. E’ uno schema di progetto, che potrebbe essere rivisto e migliorato, utile a formare la conoscenza e le sensibilità delle nostre generazioni future. Fatene quello che volete, nessuno ne pretenderà i diritti.

Centuripe: Un passato per un futuro

1 – Caratteristiche e finalità dell’iniziativa

a – Realtà locale – analisi
La cittadina di Centuripe (EN) è pittorescamente arroccata su un sistema montuoso (m 733 s.l.m.),  che si erge maestoso a metà strada tra Catania ed Enna. La realtà economica locale, a carattere prevalentemente agricolo, è piuttosto depressa e si auspica in un decollo del settore turistico incentrato sulle bellezze paesaggistiche locali e soprattutto sulla valorizzazione dei numerosi siti archeologici, distribuiti sia all’interno che all’esterno dell’abitato, nonché del locale Museo Archeologico inaugurato nel 2000.

Nel territorio sono distribuiti insediamenti preistorici e abitati rurali di età ellenistica ed imperiale. Di particolare rilievo sono le pitture rupestri in ocra rossa di un insediamento neolitico presso il fiume Simeto (V millennio a.C.). Lungo il corso dello stesso fiume si conservano i resti di un imponente ponte di età imperiale (I-III sec. d.C.) già segnalato dai viaggiatori del ‘700. Al margine della cittadina si trovano le necropoli di età arcaica ed ellenistica (VIII-I sec. a.C.), molto estese e in gran parte saccheggiate da scavatori di frodo, l’attività dei quali era molto fiorente fino a qualche anno addietro. I reperti che provengono da scavi regolari sono invece esposti nel locale Museo Archeologico. All’interno dell’abitato si conservano i resti di una villa ellenistica riccamente decorata e quelli, possenti, di numerosi monumenti di età imperiale (I-III sec. d.C.): due mausolei, almeno due edifici termali, una grande cisterna in muratura, muraglioni di terrazzamento, una struttura (“La Panneria”) di cui non si conosce l’esatta destinazione, un complesso in cui veniva  celebrato il culto di Augusto con una stanza mosaicata e numerose statue ora esposte nel vicino Museo.

La popolazione locale, spesso anche quella acculturata, ha una conoscenza molto vaga della storia dell’antica città e delle emergenze monumentali sopra elencate e, di conseguenza, non è consapevole del valore storico - culturale di queste, anche se ne percepisce il valore di potenziale elemento di attrazione turistica. A disposizione di chi volesse approfondire le proprie conoscenze archeologiche ci sono alcuni volumi.


Gli scavatori di frodo, tra l’altro, sono visti quasi come rispettabili cultori della materia, operanti più o meno lecitamente nel settore, al punto che nel quotidiano “La Sicilia” dell’11/6/2005 uno di questi, che avrebbe distrutto monete antiche utilizzandole come base di conio per monete false, è definito “uno dei tombaroli più affermati dell’area archeologica centuripina” (sic!).
Si è assistito nel corso degli ultimi due secoli al depauperamento del territorio; intere generazioni di centuripini sono purtroppo cresciute, si sono formate e a volte hanno condiviso la cultura predominante a difesa del tombarolo - archeologo,  autoinsignito di laurea alla "Facoltà della picozza feroce".
     Il Museo di Centuripe è stato inaugurato solo nell’anno 2000: “fatto il museo di Centuripe, però, bisognerebbe adesso fare  i centuripini”, o per meglio dire, bisogna formare e informare, continuare a sollecitare e sperare che ogni cittadino della comunità accresca la sensibilità  nei confronti del proprio patrimonio storico  - culturale, ci sia maggiore attenzione nei confronti della tutela  della cosa pubblica, insomma, una diversa predisposizione nei confronti di ciò che in effetti appartiene un po’ a tutti.
Questa è una buona ragione per portare l’archeologia nelle scuole.
È di fondamentale importanza la formazione di una coscienza negli adolescenti: essa è indispensabile per una piena e consapevole partecipazione alla tutela, conservazione, qualificazione, dei beni della città in cui si risiede, per evitare che queste parole siano vuote, esercizi retorici, esibizionismi intellettuali, strumenti di propaganda elettorale.
Occorre, quindi, che la coscienza dei ragazzi si formi attraverso nozioni  ed attività che organizzino anche la conoscenza, ed entro le quali si colloca e si contestualizza l’esperienza sociale e culturale a partire dall’infanzia.
Non si può affidare la costruzione di ciò a processi formativi spontanei o alla casualità dell’esperienza quotidiana.
L’archeologia, con la sua sperimentalità, può aiutare.
Con il termine sperimentare si intende genericamente provare personalmente, fare esperienza di qualcosa. Il concetto di "giocare con l’archeologia", fino a qualche tempo fa poteva suggerire un’immagine d’irriverenza nei confronti di una disciplina così complessa.


 Ma è ormai pienamente dimostrato che l’incontro tra archeologia/momento ludico/scuola non solo sia possibile, ma soprattutto stimolante e fertile, perchè "giocare con l’archeologia" rende anche la struttura museale un organismo vivo, in cui poter effettuare una serie di divertenti momenti didattici teorico/pratici, utili alla comprensione e al relativo approfondimento di fondamentali concetti scientifici, altrimenti poco apprezzabili attraverso passive "lezioni frontali", di tipo accademico, o semplici visite guidate. Ricercare, scoprire, imparare, sono processi mentali continui, per i quali non esiste limite d’età; l’archeologia è una scienza che segue una metodologia in continua sperimentazione, pertanto, dato che offre contenuti che facilitano la ricerca, può essere un utile strumento pedagogico.



b – definizione obiettivi percorso formativo
Il progetto, applicato alla storia ed all'archeologia, ha l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione locale di svilupparne il senso di appartenenza, l’interesse, il rispetto, la consapevolezza e di innescare un processo di valorizzazione del ricco patrimonio archeologico locale.
Promuovere la tutela, la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali a fini didattici; coniugando teoria e pratica, avvicinare i giovani scolari all’archeologia moderna, e quindi agli strumenti, alle nuove tecniche di indagine ed alle nuove figure professionali che questa offre.

c – modalità di verifica e valutazione dei risultati
Una massima dice: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. Una delle modalità di verifica sarà effettuata tramite un modulo - questionario illustrato, che ponendosi come momento di gioco didattico, conterrà una serie di domande di verifica sugli argomenti trattati. Inoltre le verifiche potranno essere fatte in itinere tramite relazioni scritte ed orali da parte dei destinatari del progetto su singoli argomenti, le più complete e chiare costituiranno, dopo la revisione dell’esperto esterno, il testo di una guida, sintetica ed accessibile a tutti, ai principali monumenti.

2 – Indicazioni dei destinatari del Progetto
Il progetto, proprio perché deve agire sulla coscienza di varie generazioni di Centuripini, è rivolto agli alunni ed ai genitori, ma potrebbe prevedere, durante le visite guidate, una libera partecipazione di cittadini interessati alla tematica.

3 -  Metodologia dei lavori

3.1 momenti didattici teorici
Lezioni frontali dinamiche e interattive in aula e presso i siti archeologici e il Museo di Centuripe.

3.2 momenti didattici laboratoriali
La simulazione di scavo, ormai un “classico” del laboratorio sperimentale di archeologia, dà la possibilità di conoscere e realizzare tutte le fasi di una ricerca archeologica.
Per la sua realizzazione viene utilizzata una semplice vasca, di circa un metro e mezzo per lato e profonda mezzo metro, in cui sono riprodotte sequenze stratigrafiche che si possono incontrare nel corso di un' indagine archeologica.


  





La simulazione consentirà ai ragazzi di mettere in pratica le nozioni acquisite nelle lezioni frontali e di effettuare, con gli strumenti adeguati (cazzuola, scopetta, paletta, macchina fotografica, cartellini, lavagnetta, spazzolino, smalto trasparente, pennino e china,  scotch di carta, carta millimetrata, metro ecc...), tutte le principali operazioni normalmente svolte dagli archeologi sul campo: lo scavo, il rilievo grafico, la documentazione fotografica, la compilazione di schede di Unità Stratigrafica, il lavaggio, la siglatura, il restauro e il disegno dei reperti.
L’uso dei veri strumenti del mestiere utilizzati durante le varie fasi del lavoro renderanno molto appassionante l’esperienza e stimoleranno sempre domande, che servono a chiarire non solo l’aspetto tecnico-metodologico del lavoro dell’archeologo, ma anche quello della ricerca, dell’interpretazione funzionale e cronologica dei dati, la ricostruzione storica di un eventuale sito archeologico. Importante è anche  insegnare loro che l’archeologo non si lascia sfuggire piccoli elementi, tracce utili a ricostruire le attività umane ivi accadute. Con il paragone vincente, che l’archeologo è il detective della storia. Anche la fase del restauro e del disegno infine, sarà molto stimolante perché è qui che si affrontano i problemi di documentazione, valorizzazione, analisi del reperto e del relativo problema di studio tipologico, funzionale, nonché della sua musealizzazione.
Visite guidate alle principali emergenze archeologiche di Centuripe, ed al  Museo Archeologico di Centuripe, visita ad un sito in corso di scavo per la verifica dell’apprendimento delle nozioni basilari delle metodologie di scavo archeologico, nel corso del quale saranno reillustrate le diverse fasi di uno scavo, dal reperimento del sito da indagare allo scavo e alla sua documentazione, dallo studio dei materiali alla pubblicazione dei risultati.
Rilievo fotografico dei principali monumenti.

3.3 coinvolgimento della popolazione
Il coinvolgimento della popolazione in concrete opere di tutela, valorizzazione e fruizione consapevoli, dovrà avvenire contestualmente all’avvio del progetto. Nella conferenza, in cui sarà presentato il progetto, sarà proposto un concorso fotografico che selezioni le immagini dei monumenti centuripini per un opuscolo a stampa.

3.4 verifica ed elaborazione dei risultati conseguiti e divulgazione:

Le relazioni scritte dai partecipanti, le foto dei monumenti di cui al concorso fotografico del punto precedente, confluiranno in un volume a stampa che costituisca memoria per le generazioni centuripine future oltre a gratificare tutti i partecipanti al progetto.