venerdì 7 luglio 2017

Il Mattatoio Etno-Antropologico di Centuripe


Il Mattatoio Etno-Antropologico di Centuripe

La struttura dell'ex macello comunale, ancora oggi in buono stato conservativo, è stata inaugurata verso la metà degli anni venti del secolo scorso; in seguito, per difficoltà oggettive, derivanti dalla impossibilità di adeguarla alle prescrizioni legislative (depuratore), sono state dismesse le attività di macellazione. 


Da 28 anni è  sede di una interessante collezione di Antropologia culturale: una eccezionale raccolta di oggetti e attrezzi della tradizione popolare e della vita quotidiana legate al periodo preindustriale. Dal marzo 2008 sull'area insiste un decreto di vincolo archeologico diretto e sulla struttura dell'ex mattatoio un vincolo indiretto. Dal 2013, la collezione costituisce bene culturale ai sensi del D. Lgs. N. 42 “ Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” è quindi sottoposta alle disposizioni di tutela del medesimo Codice.
Il nucleo principale della Collezione di Antropologia Culturale si è costituito grazie all'attività, dal 1989, di un progetto di lavori socialmente utili ex art. 23 L. 67/88, che prevedeva la possibilità per il gestore di utilizzare parte dei  fondi, messi a disposizione dall’Assessorato Lavoro della Regione, per l’acquisto di alcuni reperti; buona parte della collezione proviene invece da donazioni gratuite. 


Dal 1996, in seguito a disposizioni legislative regionali, subentra nella gestione del progetto il Comune di Centuripe alla Cooperativa Co.di.la.; con l'attività del Museo, allora civico, si è provveduto ad un riordino museografico; sono state privilegiate ricostruzioni di contesti, con apparati didascalici integrate da immagini. Le opere di Giambecchina e i quadri di Giuseppe Gagliano, pittore naïf centuripino, hanno fornito un ottimo repertorio per agricoltura, vita nei campi, e ambiente locale. La gran parte degli oggetti della collezione sono abbastanza diffusi, ma è proprio l'allestimento, il filo conduttore del discorso. 

Il percorso espositivo inizia dal carretto siciliano; quello in esposizione è stato realizzato a Vittoria (Rg), dalla ditta Russo Diego & figlio e decorato alla fine degli anni '50 del secolo scorso probabilmente dall'artista Salafia Giuseppe. Il carro ha una struttura riconducibile alla scuola catanese con le sponde rettangolari. Le pitture sono parecchio danneggiate ma la tecnica si discosta da quella catanese con un tratto più netto rispetto alle pennellate sfumate. Le dipinture rappresentate riguardano eventi di diversi periodi storici.





L’itinerario quindi prosegue nelle sale del corpo centrale, qui le attenzioni sono dedicate al lavoro agricolo e l'esposizione è articolata in diverse sezioni: l’agricoltura e il ciclo del grano, la casa del contadino e altre coltivazioni o produzioni legate al territorio.
Fra le attività agricole il ciclo del grano riveste un ruolo preponderante, con gli attrezzi per l’aratura, la semina, il trasporto, la cernitura, la misurazione. Sono esposte falci, ditali di canna per la protezione delle dita del mietitore, zappe, aratri in legno ed in ferro, erpici,  ecc.; ma anche oggetti ormai difficili da trovare, come l’imballatrice di fine ottocento o il carro per i trasporti pesanti. 







A Centuripe la festa per i Santi Patroni si integrava perfettamente al ciclo del grano: con le pioggie d’autunno aveva inizio l’aratura e la preparazione del terreno, da novembre a marzo si seminava, a giugno si mieteva, e infine la trebbiatura completava il lavoro nei campi; le feste patronali portavano a compimento la buona annata. 


La casa del contadino era costituita generalmente da un unico ambiente con una alcova che accoglieva il letto matrimoniale. Esso era costituito solitamente da tavole sostenute da cavalletti (trispiti) e i materassi venivano riempiti con una particolare erba essiccata chiamata linieddu;  su un muro ad angolo, a due anelli in ferro, venivano fissate le cordicelle che sostenevano la naca (culla). Generalmente ai piedi del letto trovava posto u casciarizzu (cassapanca) dove si riponeva la biancheria data in dote alla sposa.




La cucina era il luogo principale per la famiglia; questo locale assumeva un’atmosfera particolare quando, durante le stagioni fredde, la famiglia trascorreva qui buona parte della giornata. In ogni angolo della casa erano disposte le immagini dei santi protettori contro i malanni e le calamità, foglie di palme benedette ed anche ferri di cavallo contro il malocchio e la iettatura. Qui sono esposti i tegami e altri contenitori in terracotta dove si conservavano olive in salamoia, lardo, strutto, ed è stata ricostruita una tipica cucina in muratura, in cui si utilizzava legno come  combustibile. 


Il torchio in legno, alla genovese, domina la sala in cui sono esposti oggetti ed attrezzi collegati alle produzioni territoriali. Il torchio proviene da un trappeto centuripino dismesso di C/da Gelofia. 
E’ costituito da due enormi fianchi montanti (mascinnari), uniti nella parte alta dalla chianca, una sorta di trave attraversata da un largo foro scavato a elica (‘mpanatura) nella quale scorre la vite del torchio (virmigghiuni o fusu) ricavata, a sua volta, da un unico blocco di legno a sezione quadrata. Alla estremità inferiore del virmigghiuni è incastrata la riola (cunocchia), costituita da due dischi in legno (timpagni) distanziati da tasselli in legno e rinforzati all’esterno da cerchioni di ferro.
La cunocchia a sua volta è attaccata con un perno al baiardo (ulunzola) una spessa asse orizzontale di legno, le cui sporgenze laterali scorrevano nelle guide scavate nelle facce interne dei mascinnari


Il delfino (lumera), infine, è il raccoglitore circolare, ricavato da un monoblocco di pietra lavica, bordato per evitare fuoriuscite dell’olio e dotato di beccuccio di scarico per il deflusso dell’olio verso la vasca di decantazione. In situ sono rimasti la chianca inferiore di legno (interrata) e il raccoglitore circolare originale in pietra calcarea. Le olive una volta molite venivano messe dentro Fiscoli, sporti, (coffi) e poi pressate. 



Lo smielatore e altri oggetti collegati alla produzione del miele e del vino completano il quadro espositivo della sala, dove trova posto anche il calesse alla pistoiese, che svolgeva il proprio servizio nel catanese. 



Un ambiente, dell’ex mattatoio stretto e lungo, in origine destinato a stalla, ospita una serie di ricostruzioni di botteghe e attività artigiane.
Gli artigiani provvedevano alla realizzazione degli oggetti che servivano nelle campagne e nella vita quotidiana. Le loro attività erano legate a doppio filo alla vita dei contadini e alla produzione del grano. 
L’attività del fabbro richiedeva una certa esperienza e abilità; egli si avvaleva della “forgia” (fucina) per riscaldare il ferro e di un’incudine e martello per lavorarlo e svolgeva pure il mestiere di maniscalco. Notevole il mantice che fa parte della collezione, uno strumento meccanico che serve a produrre un soffio d'aria. Veniva usato per alimentare il fuoco della  fucina. E’ composto da una sacca in pelle con i contorni pieghettati in modo da facilitarne la compressione; l'aria spinta da tale compressione viene emessa attraverso un ugello. A Centuripe,  i padroni del fuoco e maestri del ferro erano presenti in numero esiguo; ciò gli permetteva di condurre una vita più agiata rispetto alla altre categorie di maestranze.

Diffuso l’allevamento di ovini e bovini che garantiva la produzione di latte e prodotti caseari oltre alla produzione di lana; le fiscelle, le forme per il formaggio ed anche cesti  e sporte venivano realizzati manualmente utilizzando canna intrecciata a rami di ulivo selvatico o di melograno oppure paglia.

Nel passato l’arte dell’intreccio non era una vera e propria attività artigianale in quanto era un’abilità comune a molti contadini che l’apprendevano nell’adolescenza in un ambito strettamente familiare. Non era quindi un vero e proprio mestiere ma un’attività a cui si dedicavano i contadini nei momenti di pausa e di riposo. Tra costoro si trovava sempre qualcuno particolarmente bravo che costruiva i cesti per sé e per gli altri. Nell’economia contadina difficilmente si sviluppava una consistente vendita di questi manufatti. Oggi diventati elementi d’arredo e di collezione.

La bottega del calzolaio era posta solitamente presso l’abitazione del titolare e l’esercizio di tale mestiere, motivato da una necessità e da una richiesta che non mancavano mai, assicurava alla famiglia dell’artigiano un'esistenza dignitosa. Molti calzolai centuripini erano anche musicisti in quanto essendo quello del calzolaio un lavoro in proprio era facile chiudere la bottega per qualche ora e dedicarsi alla musica.
Un'altra caratteristica della bottega era quella di essere un luogo di ritrovo per la società maschile, in cui molti, non solo se avevano scarpe da riparare, ma soprattutto nelle giornate di pioggia, si riunivano raccontando i fatti del paese ed organizzando varie attività.
Per poter realizzare le scarpe bisognava avere a disposizione il materiale; il rifornimento si poteva fare ogni mese o per periodi più lunghi, ciò in base al lavoro da fare e alle disponibilità economiche del calzolaio.
A Centuripe il periodo più attivo era quello che andava da luglio a settembre perchè i contadini ritornando dalle campagne, con in tasca i soldi del raccolto, si premunivano sia per le feste patronali che per tutto l'anno.

La tradizione della panificazione è ancora oggi relativamente diffusa, tuttavia le tecniche sono rimaste uguali nel tempo e sono fondate su una precisa conoscenza dei tempi di lievitazione della pasta e di preparazione del forno. Anticamente il pane veniva fatto in casa dalle donne, con la frequenza di una, due volte la settimana, oppure una volta ogni dieci giorni a seconda la necessità della famiglia e del numero dei suoi componenti. In ogni quartiere di Centuripe vi erano circa tre o quattro forni che lavoravano a pieno regime tutta la settimana.

Qualche anno fa, sono stati progettati ed elaborati i manichini delle foto precedenti, che una volta installati presso le relative postazioni nelle botteghe, hanno reso più dinamica l’esposizione.  

  


La concessione, da parte del comune (con molta nonchalance), di importanti ambienti dell’ex mattatoio ad alcune associazioni, ha di fatto reso impossibile l’ampliamento espositivo con altre attività, legate agli aspetti antropologici della comunità.
 Pertanto: la bottega del falegname, un affresco sulle zolfare centuripine e il ciclo dello zolfo, le strutture produttive tradizionali del territorio e altro, dovranno aspettare tempi migliori, opportune sensibilità nei confronti del lavoro fatto sin qui, piuttosto che verso il perdurare di situazioni da vero e proprio mattatoio.
Enzo Castiglione



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