Il Mattatoio Etno-Antropologico di Centuripe
Da 28 anni è sede di una interessante collezione di
Antropologia culturale: una eccezionale raccolta di oggetti e attrezzi della
tradizione popolare e della vita quotidiana legate al periodo preindustriale.
Dal marzo 2008 sull'area insiste un decreto di vincolo archeologico diretto e
sulla struttura dell'ex mattatoio un vincolo indiretto. Dal 2013, la collezione
costituisce bene culturale ai sensi del D. Lgs. N. 42 “ Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio” è quindi sottoposta alle disposizioni di tutela del
medesimo Codice.
Il nucleo principale della Collezione di
Antropologia Culturale si è costituito grazie all'attività, dal 1989, di un
progetto di lavori socialmente utili ex art. 23 L. 67/88, che prevedeva la
possibilità per il gestore di utilizzare parte dei fondi, messi a disposizione dall’Assessorato Lavoro
della Regione, per l’acquisto di alcuni reperti; buona parte della collezione
proviene invece da donazioni gratuite.
Dal 1996, in seguito a disposizioni
legislative regionali, subentra nella gestione del progetto il Comune di
Centuripe alla Cooperativa Co.di.la.; con l'attività del Museo, allora civico, si
è provveduto ad un riordino museografico; sono state privilegiate ricostruzioni
di contesti, con apparati didascalici integrate da immagini. Le opere di Giambecchina
e i quadri di Giuseppe Gagliano, pittore naïf
centuripino, hanno fornito un ottimo repertorio per agricoltura, vita nei
campi, e ambiente locale. La gran parte degli oggetti della collezione sono
abbastanza diffusi, ma è proprio l'allestimento, il filo conduttore del
discorso.
Il
percorso espositivo inizia dal carretto
siciliano; quello in esposizione è stato realizzato a Vittoria (Rg), dalla
ditta Russo Diego & figlio e decorato alla fine degli anni '50 del secolo
scorso probabilmente dall'artista Salafia Giuseppe. Il carro ha una struttura riconducibile
alla scuola catanese con le sponde rettangolari. Le pitture sono parecchio
danneggiate ma la tecnica si discosta da quella catanese con un tratto più
netto rispetto alle pennellate sfumate. Le dipinture rappresentate riguardano
eventi di diversi periodi storici.
L’itinerario quindi prosegue nelle sale del corpo centrale, qui le attenzioni sono dedicate al lavoro
agricolo e l'esposizione è articolata in diverse sezioni: l’agricoltura e il ciclo del
grano, la casa del contadino e altre coltivazioni o produzioni legate al
territorio.
Fra
le attività agricole il ciclo del grano riveste un ruolo preponderante, con gli
attrezzi per l’aratura, la semina, il trasporto, la cernitura, la misurazione. Sono esposte falci, ditali di canna
per la protezione delle dita del mietitore, zappe, aratri in legno ed in ferro,
erpici, ecc.; ma anche oggetti ormai difficili da trovare, come l’imballatrice di fine ottocento o il carro per i
trasporti pesanti.
A
Centuripe la festa per i Santi Patroni si integrava perfettamente al ciclo del
grano: con le pioggie d’autunno aveva inizio l’aratura e la preparazione del
terreno, da novembre a marzo si seminava, a giugno si mieteva, e infine la
trebbiatura completava il lavoro nei campi; le feste patronali portavano a
compimento la buona annata.
La casa del contadino era costituita
generalmente da un unico ambiente con una alcova che accoglieva il letto
matrimoniale. Esso era costituito solitamente da tavole sostenute da cavalletti
(trispiti) e i materassi venivano riempiti con una particolare erba essiccata
chiamata linieddu; su un muro ad angolo, a due anelli in ferro,
venivano fissate le cordicelle che sostenevano la naca (culla). Generalmente ai piedi del letto trovava posto u casciarizzu (cassapanca) dove si
riponeva la biancheria data in dote alla sposa.
La cucina era il luogo principale per la
famiglia; questo locale assumeva un’atmosfera particolare quando, durante le
stagioni fredde, la famiglia trascorreva qui buona parte della giornata. In
ogni angolo della casa erano disposte le immagini dei santi protettori contro i
malanni e le calamità, foglie di palme benedette ed anche ferri di cavallo
contro il malocchio e la iettatura. Qui sono esposti i tegami e altri contenitori in
terracotta dove si conservavano olive in salamoia, lardo, strutto, ed è stata ricostruita una tipica
cucina in muratura, in cui si utilizzava legno come combustibile.
Il
torchio in legno, alla genovese, domina la sala in cui sono esposti oggetti ed
attrezzi collegati alle produzioni territoriali. Il torchio proviene da un
trappeto centuripino dismesso di C/da Gelofia.
E’ costituito da due enormi
fianchi montanti (mascinnari), uniti
nella parte alta dalla chianca, una sorta di trave attraversata da un largo
foro scavato a elica (‘mpanatura)
nella quale scorre la vite del torchio (virmigghiuni
o fusu) ricavata, a sua volta, da un unico blocco di legno a sezione
quadrata. Alla estremità inferiore del virmigghiuni
è incastrata la riola (cunocchia),
costituita da due dischi in legno (timpagni)
distanziati da tasselli in legno e rinforzati all’esterno da cerchioni di
ferro.
La
cunocchia a sua volta è attaccata con
un perno al baiardo (ulunzola) una
spessa asse orizzontale di legno, le cui sporgenze laterali scorrevano nelle
guide scavate nelle facce interne dei mascinnari.
Il
delfino (lumera), infine, è il
raccoglitore circolare, ricavato da un monoblocco di pietra lavica, bordato per
evitare fuoriuscite dell’olio e dotato di beccuccio di scarico per il deflusso
dell’olio verso la vasca di decantazione. In situ sono rimasti la chianca
inferiore di legno (interrata) e il raccoglitore circolare originale in pietra
calcarea. Le olive una volta molite venivano messe dentro Fiscoli, sporti, (coffi) e poi pressate.
Lo
smielatore e altri oggetti collegati alla produzione del miele e del vino
completano il quadro espositivo della sala, dove trova posto anche il calesse
alla pistoiese, che svolgeva il proprio servizio nel catanese.
Un
ambiente, dell’ex mattatoio stretto e lungo, in origine destinato a stalla,
ospita una serie di ricostruzioni di botteghe e attività artigiane.
Gli
artigiani provvedevano alla realizzazione degli oggetti che servivano nelle
campagne e nella vita quotidiana. Le loro attività erano legate a doppio filo
alla vita dei contadini e alla produzione del grano.
L’attività
del fabbro richiedeva una certa esperienza e abilità; egli si avvaleva della “forgia” (fucina) per riscaldare il
ferro e di un’incudine e martello per lavorarlo e svolgeva pure il mestiere di
maniscalco. Notevole il mantice che fa parte della collezione,
uno strumento meccanico che serve a produrre un soffio
d'aria. Veniva usato per alimentare il fuoco della fucina. E’ composto da una sacca in pelle con
i contorni pieghettati in modo da facilitarne la compressione; l'aria spinta da
tale compressione viene emessa attraverso un ugello. A
Centuripe, i padroni del fuoco e maestri
del ferro erano presenti in numero esiguo; ciò gli permetteva di
condurre una vita più agiata rispetto alla altre categorie di maestranze.
Diffuso l’allevamento di ovini e bovini
che garantiva la produzione di latte e prodotti caseari oltre alla produzione
di lana; le fiscelle, le forme per il formaggio ed anche cesti e sporte venivano realizzati manualmente
utilizzando canna intrecciata a rami di ulivo selvatico o di melograno oppure
paglia.
Nel passato l’arte dell’intreccio non
era una vera e propria attività artigianale in quanto era un’abilità comune a
molti contadini che l’apprendevano nell’adolescenza in un ambito strettamente
familiare. Non era quindi un vero e proprio mestiere ma un’attività a cui si
dedicavano i contadini nei momenti di pausa e di riposo. Tra costoro si trovava
sempre qualcuno particolarmente bravo che costruiva i cesti per sé e per gli
altri. Nell’economia contadina difficilmente si sviluppava una consistente
vendita di questi manufatti. Oggi diventati elementi d’arredo e di collezione.
La
bottega del calzolaio era posta solitamente presso l’abitazione del titolare e
l’esercizio di tale mestiere, motivato da una necessità e da una richiesta che
non mancavano mai, assicurava alla famiglia dell’artigiano un'esistenza
dignitosa. Molti calzolai centuripini erano
anche musicisti in quanto essendo quello del calzolaio un lavoro in proprio era
facile chiudere la bottega per qualche ora e dedicarsi alla musica.
Un'altra
caratteristica della bottega era quella di essere un luogo di ritrovo per la
società maschile, in cui molti, non solo se avevano scarpe da riparare, ma
soprattutto nelle giornate di pioggia, si riunivano raccontando i fatti del
paese ed organizzando varie attività.
Per
poter realizzare le scarpe bisognava avere a disposizione il materiale; il
rifornimento si poteva fare ogni mese o per periodi più lunghi, ciò in base al
lavoro da fare e alle disponibilità economiche del calzolaio.
A
Centuripe il periodo più attivo era quello che andava da luglio a settembre perchè
i contadini ritornando dalle campagne, con in tasca i soldi del raccolto, si
premunivano sia per le feste patronali che per tutto l'anno.
La
tradizione della panificazione è ancora oggi relativamente diffusa, tuttavia le
tecniche sono rimaste uguali nel tempo e sono fondate su una precisa conoscenza
dei tempi di lievitazione della pasta e di preparazione del forno.
Anticamente il pane veniva fatto in casa dalle donne, con la frequenza di una,
due volte la settimana, oppure una volta ogni dieci giorni a seconda la
necessità della famiglia e del numero dei suoi componenti. In ogni quartiere di Centuripe vi
erano circa tre o quattro forni che lavoravano a pieno regime tutta la
settimana.
Qualche
anno fa, sono stati progettati ed elaborati i manichini delle foto precedenti, che una volta
installati presso le relative postazioni nelle botteghe, hanno reso più
dinamica l’esposizione.
La concessione, da parte del comune (con molta nonchalance), di importanti ambienti
dell’ex mattatoio ad alcune associazioni, ha di fatto reso impossibile l’ampliamento
espositivo con altre attività, legate agli aspetti antropologici della comunità.
Pertanto: la
bottega del falegname, un affresco sulle zolfare centuripine e il ciclo dello
zolfo, le strutture produttive tradizionali del territorio e altro, dovranno
aspettare tempi migliori, opportune sensibilità nei confronti del lavoro fatto
sin qui, piuttosto che verso il perdurare di situazioni da vero e proprio
mattatoio.
Enzo Castiglione
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