martedì 30 gennaio 2018

In Vino Veritas

In Vino Veritas

1.     Il vaso dei misteri
Centuripe 1824. Presso un antico sepolcro di C/da Gelofia un contadino rinviene un vaso d’argilla; le pessime condizioni del vaso, lo destinano ad un ordinario uso domestico: con esso il figlio del contadino va a prendere l’acqua presso una delle sorgenti della medesima contrada.


Qualche anno dopo, per caso, lo nota un notabile del luogo che, dopo averlo acquistato, lo spedisce ad un suo amico a Palermo, tale barone Pisani; presso l’abitazione del barone, il vaso viene sottoposto alle attenzioni di un professore di lettere antiche, Giuseppe Crispi, il quale ritiene di darne notizia con una sua memoria, immediatamente pubblicata nel 1830.
Ad oggi sono sconosciute le vie che lo hanno poi condotto in Germania, al Museo di Karlsruhe, dove forse non è manco esposto al pubblico.


Si tratta di una Askòs, risalente a oltre 2500 anni fa, emisferica nella parte bassa e convessa nella parte superiore, li dove campeggia la più lunga iscrizione in lingua sicula fin qui ritrovata, sicuramente una delle fonti più importanti per la conoscenza del siculo. L’iscrizione è costituita da lettere senza spazi, in scriptio continua che sviluppano due righe circolari attorno al manico. Nel corso degli anni numerosissimi studiosi si sono prodigati a dare interpretazioni e ipotesi all’iscrizione.  Qualcuno di essi pur di dare conferma alla propria tesi, ha anche aggiunto o tolto qualche lettera a piacere dall’iscrizione, che invece è incisa con precisione.


Il vino, in decine di traduzioni, c’è sempre! Una vera e propria ubriacatura culturale. Una  interessante tesi (leggermente riveduta tra il 1999 e il 2003), del centuripino Enrico Caltagirone, accostando il testo al sanscrito, esclude però che nell’iscrizione  ci sia qualsiasi riferimento al vino.
Tra le interpretazioni che optano per il vino, l’interpretazione di Marcello Durante, sembra tra le più gradevoli: 
Nuno offre me, il vaso: sono cosa tua, è un dono o Nane; poiché un dono sono, tuo è il diritto di proprietà; non pongano gli eredi vino cotto qui (dentro)”.


La tipologia del vaso è parecchio diffusa; ne sono testimonianza la decina di Askòs anepigrafi ritrovate durante gli scavi delle tombe arcaiche di Piano Capitano, oggi esposte nelle vetrine del Museo Archeologico di Centuripe o in deposito nel medesimo.
L’askòs centuripina, oggi a Karlsruhe, è intrisa di parecchi contenuti: la lingua sicula, il vino (forse), le radici antiche della scrittura a Centuripe, e, purtroppo, la sottrazione dei beni, che hanno contraddistinto la nostra recente storia, con la irresponsabile onnipresente complicità degli indigeni.
Il vino è comunque, tra questi contenuti, l’elemento più incerto e quindi il più allegro. E’ indubbia l’importanza che il vino abbia avuto nell’antichità, prima ancora che nell’arte e nella letteratura. Scorrazzava, come l’olio, dentro le anfore su e giù per il mediterraneo, i contenitori una volta “svuotati” venivano anche riciclati e lasciavano importanti tracce archeologiche anche se in frammenti. 
Piace però pensare che la parola scritta “vino”, anche se portatrice sana di un diverso significato, abbia esordito proprio a Centuripe; a testimonianza di una cultura enologica millenaria. Forse è anche per questo che l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino, sezione  di Enna, recentemente, ha dedicato all’askos centuripina un premio annuale, che nelle passate edizioni è stato assegnato alle figure più rappresentative in campo enologico a livello regionale.

2.     Centuripe e il vino
Le colline assolate e ventilate del centuripino si sono prestate nel passato ad ospitare preziosi vigneti. La presenza colturale e l’espansione della vite nel centuripino è già attestata nell’antichità. Qui, un tempo, la viticoltura prosperava abbondantemente, favorita anche dalla particolare configurazione topografica del territorio, prevalentemente montuoso. E’ risaputo che la vite prospera bene su terreni collinari, magri e secchi, dove si ottengono dei buoni vini apprezzabili sia per le loro caratteristiche organolettiche che per la loro discreta gradazione alcolica. La sistemazione a terrazze delle colline, nel centuripino, avvenuta negli ultimi  tre secoli, ha favorito una più razionale coltivazione della vite.
La piantumazione più diffusa e adatta alle zone collinari è quella ad alberello, impostata su tre o cinque branche che si dipartono dal ceppo. Risulta, dal punto di vista tecnico, la più vantaggiosa; non necessita di particolari cure colturali ne di sostegni, le spese di impianto e di esercizio risultano abbastanza contenute. Tuttavia  presenta lo svantaggio di essere poco produttiva e antieconomica a causa della ingente manodopera.


La difficoltà di praticare la meccanizzazione, su terreno prevalentemente acclive, ha ridotto drasticamente la coltura della vite nel centuripino.  Resistono alcuni vigneti, sui pendii più morbidi di alcune contrade a sud-ovest dalla città; in alcuni casi si riscontra il sistema di allevamento a controspalliera, che risulta molto più produttivo di quello ad alberello.
Sul territorio centuripino sono anche presenti decine di strutture, che nel passato ricoprivano il ruolo di palmenti e che consentivano la produzione di mosto, direttamente nel medesimo luogo in cui l'uva veniva coltivata e raccolta.
Con la meccanizzazione del processo di trasformazione dell'uva, che ha consentito di ottenere anziché 60, anche 90 litri di mosto da 100 kg. di uva, i vecchi palmenti rurali hanno subito un drastico declassamento, che ha comportato lo smantellamento e l'abbandono, a volte delittuoso, degli antichi impianti. 
I vecchi palmenti, si riconoscono da alcuni elementi quali le vasche per la pigiatura dell’uva e le vasche di decantazione del mosto. In alcuni casi dalla sola presenza di frammenti di torchi, distrutti anch’essi dalla sete di modernità e dall’incoscienza. 
A parte qualche impianto dismesso, individuato presso le grandi masserie rurali di Sciarone del Duca e di Aragona, numerosi sono gli ex palmenti, anche di piccole dimensioni, che gravitavano nelle aree circostanti la città, segno che, fino al secolo scorso, le pendici centuripine erano ancora rigogliose di vigneti.

3.     Il palmento della memoria
Presso la contrada Crescinotto, miracolosamente, si conserva un palmento rurale che ha continuato ad essere produttivo, utilizzando le più antiche procedure per la produzione del vino. Fu acquistato nel 1964 dal signor Cocimano Antonino, classe 1931, che lo rilevò dal signor De Marco Vito, da allora è stato utilizzato per la produzione in proprio, in quanto la tenuta è completata da un vigneto di medie dimensioni.


Solitamente, fra la fine di settembre e gli inizi di ottobre il proprietario provvedeva  alla raccolta e alla trasformazione dell'uva prodotta nel proprio fondo.
In media venivano prodotti 2.000 litri circa di mosto all'anno; di tale quantità una buona parte era per il consumo familiare, il resto veniva venduto ad un costo che negli anni ha subito notevoli variazioni: dalle 150 lire del 1964, alle 1800 lire del 1992, etc... 


L'elemento determinante del palmento è sicuramente l’antico torchio, che fa parte di un insieme strumentale che comprende il pestatoio e le vasche di raccolta che servono nell'insieme per il processo di vinificazione.
Già nel I sec. d.C. in Italia erano diffusi due diversi tipi di torchi vinari: quello tradizionale a leva (catoniano - dall’agronomo Catone il Vecchio che ne descrisse il funzionamento), che sostituendo il precedente a verricello, con un contrappeso e una vite senza fine di sollevamento, consentiva un’azione di premitura maggiore e il Torchio descritto da Plinio con vite centrale e telaio a due colonne, oggi detto alla genovese. Queste due tipologie di torchio sono sopravvissute per due millenni.


Il torchio a leva, di questo palmento, ha le caratteristiche riconducibili ad un modello catoniano, anche se con leggere variazioni. È caratterizzato da una massiccia trave orizzontale in legno, lunga oltre 6 metri, cosiddetta capiforca, alla quale è fissata ad una delle sue estremità, una traversa di legno, la scrofula con filettatura a madrevite.


L’altra estremità, più sottile, sempre biforcuta, incastra il capiforca a una robusta asse verticale, fissata al muro, che fa da guida per lo scorrimento verticale. 


Attraverso la scrofula passa, in verticale, una grossa vite senza fine in legno, u virmigliuni, fissata mediante una lastra di ferro ad una grossa pietra tronco-conica, che funge da contrappeso; la pietra è alloggiata a sua volta in una profonda buca scavata nel pavimento. La vite senza fine viene azionata da una barra orizzontale in legno, che alza e abbassa u capiforca grazie alla scrofula  con madrevite. Alla distanza media del capiforca vi sono stipiti e fermi in legno che permettono di regolare l'altezza del capiforca dal pavimento sottostante, che funge da seconda piastra durante la pigiatura. È indubbia la sensazione, in questo luogo, di percorrere un affascinante viaggio a ritroso nel tempo; probabile che perfino duemila anni fa la location e molti altri elementi che corredavano il ciclo della vite, non dovevano essere molto diversi da tutto ciò.

4.     In Vino Veritas
L’Askòs centuripina di Karlsruhe la potremo ammirare solo in foto, così come qualcun’altro delle migliaia di altri preziosi reperti, che sono stati sottratti alla collettività e svenduti per arricchimenti personali. Qualcuno ne avrà beneficiato comprando un mulo o un pezzo di terra o un casetta; ma ne valeva la pena? Il mulo è ormai morto, il pezzo di terra abbandonato e la casa vuota. Dovevamo costringere il mondo a venire da noi, invece abbiamo disperso un patrimonio nel mondo e con esso molti dei nostri concittadini. Quanti soldi avrà messo in tasca il tizio che è riuscito a fare arrivare questo torso loricato fin su al nord?


O quell’altro che nottetempo ha sottratto questo ritratto marmoreo dall’Antiquarium?


Potremmo continuare all’infinito. La ricchezza del territorio è stata depauperata: ne valeva la pena? Tutte risorse sottratte alla collettività. Poi ci si lamenta delle istituzioni ed evitiamo di accorgerci che chi ci sta accanto depreda il futuro della città!  
I vasi centuripini più belli non sono a Centuripe. Però ci possiamo crogiolare all’idea che intanto un museo archeologico parallelo è disperso in centinaia di case centuripine. Benedetta ipocrisia.
Forse l’askòs con l’iscrizione sicula non è stata donata da Nuno a Nane per metterci dentro il vino durante il viaggio per l’oltretomba, vedremo. I vigneti purtroppo sono spariti a frotte dalle terrazze centuripine: troppo onerosi e difficili da gestire. Anche di questo possiamo farcene una ragione.
Ma stiamo pericolosamente inseguendo un futuro di chimere. La salvaguardia e le attenzioni per i beni culturali, che ancora potremmo salvare, svaniscono. Se non ci diamo una mossa, alla fine saremo sopraffatti dall’opera di intere generazioni di depauperatori del territorio, che intanto sono riusciti a fare schiere di proseliti, sostenuti da progenie di detrattori. 

Enzo Castiglione

Bibliografia:
-        G.B. Pellegrini, in « Kokalos », III, 1957, pag. 31 e seg.
-        Giacomo Manganaro, in « Arch. Class. », XIII, 1961, pag. 107, nota 7
-        Marcello Durante - Kokalos, X-II, 1964-65, pagg. 417-450.
-        Filippo Ansaldi, Memorie storiche di Centuripe, Ediprint Catania 1981
-        Enrico Caltagirone, Alla ricerca della grande madre, pagg. 59-60 e 122-125, Marna 1999
-        Enrico Caltagirone, La lingua dei Siculi, Pagg. 53-58, Marna 2005

martedì 2 gennaio 2018

Tra valli e colline

Tra valli e colline

Escursioni nel territorio centuripino



Il territorio centuripino, secondo lo statuto del comune di Centuripe, ha una superficie di 172,98 Kmq; in base ai nostri parametri è evidentemente parecchio esteso, ma in realtà è di poco inferiore a Brooklyn, 180 Kmq, uno dei cinque distretti newyorkesi.



È comunque un territorio ricco e variegato che ben si presta a brevi escursioni che possono essere rivelatrici di mille sorprese.
Dal punto di vista geologico l’abitato domina la parte più orientale di una dorsale argilloso-sabbiosa ed arenacea plio-quaternaria, formazione ai margini del bacino di Caltanissetta che si estende in direzione O-E dall’area di Leonforte alla vallata del Simeto.  
Studio Geologico del Dott. Domenico Pontillo
per la Provincia Regionale di Enna

Gli strati rocciosi hanno un sovrastato geologico costituito da una alternanza di Arenarie e Sabbie gialle che si sono prestate nel corso dei secoli ad essere modellate dalle acque reflue, fino ad assumere il profilo polilobato che distingue e caratterizza le colline su cui sorge la città. Il territorio è costituito da depositi alluvionali antichi (2), dalla presenza di vulcaniti etnee (3), da argille azzurre (4), conglomerati grigi (5), da trubi (8), da formazioni gessose-solfifere (11) e marne argillose grigio-azzurre (12), da argille brune e nerastre (22) e marne grigio-verdi (25).  
Indubbiamente la composizione geologica, così variegata del territorio, si riflette  in una molteplicità di sfumature e di colori che, assieme alle varietà colturali, rendono il paesaggio un unicum gradevole e rende interessante qualunque percorso si decida di intraprendere su di esso.
I primi tracciati sul territorio risalgono agli insediamenti primordiali, di cui si ha conoscenza. L’itinerarium antonini (III sec. d. C.) e la tabula peutingeriana registrano solo qualcuno di questi percorsi, utilizzati durante il periodo imperiale e nei secoli successivi.
La viabilità storica, di attraversamento del territorio, era marcata dai percorsi delle antiche trazzere che tagliavano in tutte le direzioni  e che hanno lasciato la loro traccia sulle mappe catastali.


Su un documento topografico, facente parte dell’archivio Mortillaro di Villarena, redatto alla metà del XIX secolo dall’architetto centuripino Bonaventura Di Marco, vengono utilizzate le strade-trazzere più importanti per determinare i settori  nella quale viene suddiviso e descritto il territorio. 

Pianta del territorio di Centorbi
 Una sessantina di strade comunali, in buona parte interessate da interventi manutentivi in questi ultimi trent’anni, completano la viabilità territoriale. Di seguito l’elenco parziale delle strade, da nord a sud, il cui nome ricorre e deriva dalle medesime contrade servite ed attraversate. 


 Queste strade, oltre ad alcuni torrenti e fiumiciattoli, che attraversano i profondi valloni, contornano e marcano anche le 87 mappe catastali in cui è suddiviso il territorio centuripino. Qualcuna di esse purtroppo è sparita dietro un cancello privato o a seguito di profonde e pilotate “arature”. 


Per “viaggiare” sul territorio bisogna conoscere e utilizzare anche le strade provinciali, statali e le ex strade di bonifica che l’attraversano; non tutte si presentano nelle migliori condizioni manutentive; in alcuni casi qualcuna di esse è sparita in seguito ai dilavamenti alluvionali delle pendici: ad esempio un pezzo della S.P. n° 50 che attraversa il territorio calanchivo a sud-ovest o tratti della S.P. n° 106 verso Regalbuto. E’ Importante quindi utilizzare sempre la massima cautela. 
Fonte: Provincia Regionale di Enna

Alcune mappe, che individuano i beni culturali presenti sul territorio, sono state redatte in questi ultimi decenni da diverse personalità e competenze; le prime furono redatte nel marzo 1988 dall’architetto palermitano Maurizio Brancato,  su incarico dell’amministrazione comunale. Un’altra utile mappa, che individuava le frequentazioni sul nostro territorio nei vari periodi storici,  è stata redatta dall’archeologo centuripino Giacomo Biondi; in seguito la mappa fu tradotta in pannello divulgativo per il locale museo archeologico.



Sono parecchi i percorsi, anche tematici, che è possibile intraprendere; alcuni potrebbero fare riferimento a precedenti post:


1. 
Un itinerario potrebbe iniziare dal Ponte dei Saraceni, che collega i territori di Centuripe e Adrano (37°42’03.32”N-14°48’00.40”E)



L’area è raggiungibile dalla S.P. n° 94, che dal bivio di Adrano sale verso Bronte. Il ponte, costruito utilizzando in prevalenza pietra lavica, è costituito da quattro arcate diseguali che risalgono a periodi diversi;





l’arcata più grande e quella immediatamente adiacente, probabilmente le più antiche, hanno un profilo a sesto acuto ed alternano corsi di pietre nere e filari di calcare giallo. È stato più volte ripreso e restaurato, negli ultimi quattro secoli, ma non ha perso il suo fascino, tanto da essere celebrato tra i quaranta migliori ponti d’Italia; risalirebbe, secondo gli esperti, più al trecento che non al periodo islamico. 

In quel tratto il fiume Simeto ha scavato incredibili ed affascinanti profonde gole nella roccia basaltica, le cosiddette “forre laviche“; a circa 250 metri a nord dal ponte, si trova il leggendario “salto del pecoraio”( 37°42’11.23”N-14°47’56.37”E) a seconda delle versioni picciotto innamorato o fuggitivo. 



Verso sud la vallata dello Sciarone del Duca (37°41’19.84”N-14°47’53.00”E) si manifesta con la sua meravigliosa macchia mediterranea che esalta il paesaggio del territorio centuripino. Immerse in un'oasi di verde mediterraneo, tra le gole del Simeto e la massa di Castelluzzo, le strutture lì esistenti, pulsano ancora di antichi splendori.
L'azienda, appartenuta alla famiglia Paternò Castello, si estende per 18 ettari circa ed è votata all'agrumicoltura e olivicoltura.




La masseria, a cortile aperto, con disposizione a ferro di cavallo, ha un'impostazione simmetrica del prospetto principale, valorizzato dalla collocazione a posteriori della cappellina, realizzata per un'ex voto.
  


Attraversato il ponte Maccarone sul Simeto (37°39’21.70”N-14°47’37.40”E), che è il primo ponte rotabile in questa area, iniziato nell'estate del 1829 e portato a compimento nel 1831, ci dirigiamo verso Troina, per raggiungere a qualche chilometro di distanza il borgo di Carcaci (37°39’55.00”N-14°46’55.00”E). Lungo la strada è da notare l’acquedotto Biscari.


Quello di Carcaci è uno dei territori più fertili del territorio centuripino. La nascita dell'urbanizzazione di Carcaci risale alla venuta dei Normanni in Sicilia che, nel 1061 si accamparono nella vallata, ai margini del fiume dove ora sorge il borgo. Chi acquistò per primo il fondo, intorno al 1200, fu Giovanni de Raynero alla cui famiglia rimase fino al 1408, numerosi i successivi passaggi di proprietà. Da baronia a borgo, da Ducato a Comune e poi frazione di Centuripe, dal 1061 ad oggi, Carcaci ha vissuto alterne vicende di splendore e decadenza, fino al quasi totale abbandono.


Il borgo ha un rigoroso impianto planimetrico; lo slargo iniziale, dove c’è il bevaio, testimonia l’ambizioso progetto di espansione nel territorio, con uno schema a croce. La chiesetta, eretta verso il 1730 a cura del Duca di Carcaci, è di ottima fattura architettonica e viene attribuita all'architetto Francesco Battaglia. A pianta ottagonale, è dedicata a San Nicolò; ha tre altari di marmi policromi e oggi si presenta disadorna anche se staticamente in buone condizioni. La facciata è caratterizzata dal gioco cromatico di fasce di basalto e calcarenite tenera.

Poco a sud, sulla statale 121 presso il ponte sul fiume Salso, si trova la masseria Aragona (37°39’01.22”N-14°46’51.00”E); occupa un'area ad economia estensiva di agrumicoltura. 


Elemento caratterizzante è l'impianto a corte centrale,  con uno spazio quadrangolare chiuso su tutti i lati da edifici, che vi sono disposti secondo una planimetria regolare ed un organico piano costruttivo. 


Il corpo principale del casamento, risale al XIV secolo; è costituito al piano terreno da magazzini e depositi, e, al piano superiore, dalla casa signorile.  I corpi contigui al primo, risalenti alla fine del XVII e all'inizio del XVIII secolo, ospitano l'abitazione del fattore, la ribetteria, i magazzini, i depositi, il granaio, le stalle, l'officina e la legnaia che occupa l'ambiente, oggi dismesso, che fu palmento e frantoio fin dalla fine degli anni '50.


  Presso l'ingresso principale della corte vi è la cappella, fino al 1955  con diritto di messa, che accentuava il carattere di polo di convergenza e di supremazia che il centro aziendale doveva esercitare sul territorio circostante.



La masseria Russo (37°37’14.00”N-14°48’30.00”E) domina scenograficamente la vallata di Piano Mandarano. Una piccola epigrafe del 24 giugno 1964, collocata nella cappella, ricorda i  proprietari che si occuparono della struttura fino agli anni ’70. Oggi, in stato di abbandono, versa in pessime condizioni.


2.
Sul territorio centuripino sono ancora visibili le tracce di almeno 17 dei 52 km del percorso ferroviario Motta-Regalbuto. 


Il percorso, da Schettino a Regalbuto, fu inaugurato solo nel 1952 e fu utilizzato soprattutto per il trasporto degli agrumi; in seguito la concorrenza del trasporto sui mezzi gommati determinò la chiusura del tratto nel 1987. In alcuni tratti binari e traversine sono state fagocitate dai soliti miserabili, come vermi su cadaveri; ma le opere in muratura quali ponti, gallerie, stazioni e caselli, anche se in stato di abbandono, sono ancora sentinelle di un territorio che è stato percorso nel secolo scorso, da est a nord-ovest, anche dai  veicoli su rotaie.
Da qualche anno l’ex tratta ferroviaria, fa parte di alcune proposte progettuali di riconversione e riuso dei tracciati, le cosiddette Greenways, intese a valorizzare l’aspetto naturalistico, paesaggistico e rurale del territorio. Il percorso, potrebbe essere facilmente fruibile da pedoni e ciclisti, poiché presenta una pendenza estremamente ridotta, che difficilmente supera il 10-12 per mille.
Sul territorio centuripino insistono tre stazioni, sette caselli, quattro gallerie e almeno sei ponti ferroviari. Quattro ponti sono notevoli per le loro caratteristiche costruttive ed ingegneristiche. La loro costruzione si potrebbe attestare tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta del secolo scorso.


L’imponente ponte in curva sul Simeto (37°36’13.90”N-14°49’42.80”E) collega i territori di Centuripe e Biancavilla; composto da dieci arcate, è lungo 270 mt. ed è alto circa 24 metri. Malgrado l’assoluta assenza di interventi manutentivi, è ancora in ottime condizioni.


Il ponte subito dopo la stazione Mandarano-Centuripe (37°37’26.30”N-14°48’21.20”E), attraversa una ridente vallata ed è lungo 115 metri; è composto da cinque grandi archi a tutto sesto ed è alto circa 15 metri. È l’unica opera su cui si legge l’anno di realizzazione: 1933.


Il ponte sul fiume Salso (37°38’18.40”N-14°47’07.70”E) supera un dislivello considerevole di circa 40 metri d’altezza, è lungo 140 mt ed è composto da cinque eleganti arcate a tutto sesto dal diametro di circa 20 metri. Quattro vani circolari orizzontali di almeno tre metri di diametro, posti sui piloni, alleggeriscono il carico verticale e la resistenza ai venti.

Il ponte sul fiume di sotto di Troina (37°40’30.50”N-14°43’39.50”E) collega i territori di Centuripe e Regalbuto; è composto da sei grandi archi a sesto ribassato, la cui corda è di circa 20 metri, è  lungo 140 metri e alto circa tredici metri. Caratterizza il ponte il rivestimento dei timpani con pietrame esagonale.

3.
Il territorio centuripino che si protende verso sud-est è in buona parte (1600 Ha) caratterizzato da calanche. 


Sono terreni argillosi, fortemente inclinati, formatisi da erosione accelerata. L’assoluta mancanza di vegetazione li rende scenari fantastici.


Ricordano  paesaggi già visti in qualche pellicola western. Ad essere fortunati, con la giusta luce del tramonto, si potrebbe rimanere affascinati da viste mozzafiato.

Un altro sito dalle caratteristiche uniche si trova a ridosso dell’autostrada Catania-Palermo. 

Pietraperciata (37°32’52.00”N-14°44’27.00”E)  è una roccia arenaria che si estende per circa 400 metri; l’acqua e soprattutto il vento ne hanno fatto un’opera d’arte unica che si staglia sulle colline limitrofe.


L'Archeologo Giacomo Biondi e il Geologo Antonio Pagana

Pietraperciata (cima più alta) 18 giugno 2008

       Il sito ha anche restituito tracce di insediamenti addirittura del bronzo antico, 2200-1400 a.C., infatti tra le cavità naturali si celano probabili piccole tombe a grotticella ormai degradate. Dal 21 settembre 2020, con D.D.G. 2876, l'area è dichiarata di interesse archeologico particolarmente importante e quindi sottoposta a vincolo.

Una tipologia di costruzione, ormai declassata, è il fondaco. Nel nostro territorio, un unico  esempio di fondaco, si trova in contrada Cuba, a pochissima distanza da Pietraperciata (37°33’11.50”N-14°42’31.80”E).


Stazione di sosta lungo la regia trazzera Catania-Palermo, lì i viandanti potevano passare la notte e rifocillarsi. Al piano inferiore vi erano le mangiatoie per gli animali e le giucchene, rialzi ricoperti di paglia, per il riposo degli uomini; nel piano superiore le camere per i viaggiatori benestanti. 



  L'edificio apparteneva già nel 1693 a Ignazio Paternò principe di Biscari, il quale dopo il terremoto di quell'anno lo fece restaurare.  Nell'ottobre 1713 vi pernottò il re di Sicilia Vittorio Amedeo II di Savoia con la regina Anna Maria e la sua corte.  Lo scrittore tedesco Goethe vi pernottò, insieme alla sua comitiva, la notte del 30 aprile 1787. Nel 1935 il fondaco, acquisito dal Comm. Mammano Prospero, fu nuovamente restaurato e acquisì una diversa funzione, determinata anche dai 16 ettari di fondo agricolo che completavano il podere.



Dal portale in pietra calcarea, a est dell’edificio, si accede alla corte interna che disimpegna i locali del piano terra, tra cui la stalla. Dalla scaletta esterna si accede ai vani del primo piano. Malgrado sia stato attenzionato dal vincolo storico-etno antropologico D.D.G. 7257 del 31 agosto 2005, il tempo, i vandali e l’assoluta sinecura, ne stanno decretando la definitiva decadenza. Urge nell’immediato un minimo di attenzione. 
Enzo Castiglione

Buon divertimento...e non fidatevi troppo dei cartelli stradali! 



Bibliografia di riferimento:
-         Centuripe. Indagini su un territorio della Sicilia centro-orientale - Giacomo Biondi
-         Caratteri geologici dell’area a sud di Centuripe - Antonino Pagana Tesi di Laurea 91-92.
-         Evoluzione tettono-sedimentaria pliocenica nell’area di Centuripe -  Roberto Spina Tesi di Laurea 97-98.
-         Alcune considerazioni su territorio, economia e viabilità di  Centuripe - Dario Barbera
-         Alessandro Lo faro - Carcaci, il feudo ambito dalla nobiltà, in Centuripe,supplemento al n. 4 di Kalòs,  Palermo 2002
-         Antichi Ponti di Sicilia – Ferdinando Maurici, Melo Minnella. Palermo: L’Epos, 2006;