I Centuripini e Gaio Licinio Verre
1.
Gli avvenimenti
Nel 70 a.C. si tenne a Roma un processo molto
importante. L'accusato era Gaio Licinio Verre: vorace e corrotto rappresentante
dell'élite romana. Aveva ricoperto numerose cariche pubbliche e, tra il 73 e il 71 a.C., quella di Governatore
della Sicilia; le sue malversazioni in Sicilia gli avevano consentito di
arricchirsi enormemente, rubando tutto quello che c'era da rubare; in più,
aveva corrotto o intimidito chi cercava di opporsi ai suoi metodi. È proprio a
causa dei suoi misfatti che sessantaquattro città siciliane, saccheggiate e stremate dall’avidità dell’ex governatore, decisero di adire al Foro
Romano per intentare contro di lui una causa per corruzione e concussione, scegliendo
come proprio avvocato Cicerone, che avendo già ricoperto cariche pubbliche
nell'isola, era conosciuto dai siciliani.
Le orazioni che Marco Tullio Cicerone, in veste di
accusatore, scrisse e in parte pronunciò, nel processo contro Gaio Licinio Verre,
sono le cosiddette “Verrine”.
Prima dell’inizio del processo, Cicerone percorse
seicento chilometri all’interno della Sicilia, per raccogliere personalmente le
prove in almeno quarantotto città, tra cui Centuripe.
Verre, dal canto suo, non ebbe nessun problema a
permettersi il migliore avvocato sulla piazza il quale, come prima cosa, puntò su tattiche
dilatorie cercando di fare slittare il processo oltre l’autunno del 70, in modo
da poter contare su giudici di nuova nomina e più facilmente influenzabili. Ma
purtroppo per Verre ebbero la meglio la solerzia e le capacità di Cicerone che spiazzò
completamente la difesa perché il 5 agosto, anziché esporre l'accusa, chiamò
immediatamente a deporre i testimoni e riuscì a far iscrivere a ruolo la causa
prima dell’interruzione estiva, evitando così che fossero gli amici
dell’eccellente imputato a giudicarlo. Per 8 giorni i testimoni si
avvicendarono davanti al tribunale. Le testimonianze risultarono schiaccianti, tant’è
che Verre si diede ammalato e rinunciò ad assistere alle sedute. Ortensio ,
l’avvocato difensore, decise di tacere e di rinviare il suo intervento. La
speranza di Verre di un rinvio del processo all'anno seguente svanì.
Alla metà di settembre, prima della ripresa del
processo, Verre lasciò Roma e si imbarcò per Marsiglia in volontario esilio
dove rimarrà fino alla morte circondato dalle ricchezze trafugate prima della
condanna.
Paradossalmente accusatore ed accusato, per motivi
diversi, saranno inseriti alla fine del 43 a.C. nelle liste di proscrizione di
Marco Antonio e moriranno entrambi a pochi giorni uno dall’altro, coerenti con
se stessi. La colpa di Marco Tullio Cicerone fu la disperata difesa di un
ideale e l'aver combattuto per la repubblica romana; venne decapitato nella sua
villa di Formia. La colpa di Gaio Licinio Verre fu la sua manìa di
collezionista d’arte e l'aver rifiutato di consegnare a Marco Antonio dei
preziosi vasi di Corinto, che avevano attirato l'attenzione del triumviro. Poco
prima di morire, Verre gioì per la soddisfazione che il suo accusatore, qualche
giorno prima, era stato selvaggiamente assassinato.
2.
Ispirazioni
Gli avvenimenti e i personaggi, citati nelle verrine, oltre ad offrire
una notevole quantità di notizie anche sull’antica Centuripe, hanno ispirato, negli anni, varie
manifestazioni artistiche, oltre che essere di spunto e paragone in alcuni casi giudiziari.
Una
interessante opera a fumetti, ispirata dal processo a Verre, è stata pubblicata
nel febbraio 2016 dalla Sergio Bonelli editore. Atto d’accusa, n° 41 della serie “Le Storie”, con soggetto e
sceneggiatura di Giuseppe De Nardo, disegni di Giuliano Piccininno e copertina di
Aldo Di Gennaro, riepiloga tutta la vicenda storica che ruota attorno al caso;
dagli avvenimenti scandalosi che determinano il ricorso alla giustizia, alla
prima parte del processo.
Il
sacerdote centuripino Salvatore Mammana pubblicò nel 1953, a cura delle edizioni
Paoline, Verre tiranno di Sicilia, ,
un romanzo storico dedicato ai centuripini e ambientato nella Centuripe del 71
a.C.. Lo scritto, che aveva anche le aspettative di sceneggiatura
cinematografica, racconta le vicende di due giovani innamorati, Falargo e
Lucilla e tutta la fantastica vicenda è intrisa di avvenimenti storici citati
nelle verrine.
Il giovane Falargo è il figlio di Filargo, di antichissima e
nobilissima famiglia greca. Filargo che era stato da giovane un valoroso
capitano navale della flotta centuripina e che carico d'allori si era poi
ritirato nella sua città, qui viene nominato senatore e poi primo magistrato. Verre
si presenta in città, accompagnato dai propri scagnozzi e da truppe di
legionari, per depredarla. Apronio, il suo pericoloso braccio destro, si
invaghisce però della giovane Lucilla…
Il Cavaliere Tommaso De Vivo (1790 – 1884),
incisore e disegnatore, diede alle stampe nel 1835 l'opera "Storia
figurata del Regno delle Due Sicilie".
Uno dei soggetti illustrati trae spunto e ispirazione dalle “Verrine”: La statua di Verre per decreto del Senato della
città di Centoripi viene rovesciata (incisione cm 43x50 su foglio in carta
forte di cm 52x70).
Cicerone da Verr.
actio II, libro II, 161 e seg.
“ Mentre io ero in Sicilia,
nessuna statua fu abbattuta: dopo che me ne fui andato, state a sentire che
cosa accadde. A Centùripe, per decreto del senato e decisione del popolo si
stabilì che i questori della città appaltassero la demolizione delle statue esistenti
di Verre, di suo padre e di suo figlio, e che non meno di trenta membri del
senato assistessero all'intera opera di demolizione. Considerate quanto sia
stato serio e dignitoso il comportamento di questa città. I Centuripini non
vollero che nella loro città rimanessero le statue che avevano offerto loro
malgrado, costretti da un sopruso e da un abuso di autorità, non vollero che
rimanessero le statue di un uomo contro il quale essi avevano inviato a Roma,
cosa che prima non si era mai verificata, una delegazione ufficialmente
incaricata di portare una testimonianza gravissima; e ritennero più serio che
ciò risultasse esser stato fatto in seguito a una deliberazione ufficiale
piuttosto che a furor di popolo. In seguito a questa deliberazione, i Centuripini
avevano rimosso ufficialmente le statue: Metello lo viene a sapere; ne è
vivamente contrariato; convoca presso di sé il magistrato di Centùripe e i
dieci primi cittadini; li minaccia di gravi punizioni se le statue non fossero
state rimesse al loro posto. Essi riferiscono la cosa al loro senato: le
statue, che non sarebbero state di alcun vantaggio per la causa di costui,
vengono rimesse in piedi; ma i decreti votati dai Centuripini sulle statue non
vengono annullati… …Considerate, giudici, quanto profondo e vivo sia il
risentimento che i soprusi di costui hanno indelebilmente stampato nell'animo
dei nostri alleati e amici: la popolazione di Centùripe, un'alleata tra le più
affezionate e fedeli, legata al popolo romano da rapporti così amichevoli che sempre
ha avuto caro non solo il nostro stato, ma il nome romano stesso, chiunque
fosse l'uomo, anche un semplice privato, che lo portava, ebbene, questa popolazione
ha deciso con una deliberazione pubblica e ufficiale che nella sua città non
dovessero esservi statue di Gaio Verre…. …ricorderei che sono diecimila i cittadini di
Centùripe, alleati valentissimi e fedelissimi; e che tutti all'unanimità hanno
deciso che nella loro città non dovesse sorgere nessun monumento di costui..” (traduz.
Laura Fiocchi – Dionigi Vottero)
L’abbattimento
delle statue di Verre a Centuripe, quindi non solo fu decretato dal Senato
della città ma fu anche dato in appalto. Metello, successore e amico di Verre,
infastidito dalla decisione del Senato centuripino, impose la restaurazione
delle statue; ma i decreti votati dai centuripini non vennero annullati e il
suo semplice anno di carica non impedì ai centuripini di fare comunque tabula rasa delle statue di Verre.
3.
Il frammento
Un reperto in marmo, proveniente da un ritrovamento fortuito, è rimasto
per oltre mezzo secolo tra i frammenti archeologici che circondano l’antica
colonna, reinnalzata nel cortile del municipio di Centuripe. Dal 2010, per
disposizione della Soprintendenza, si trova nei magazzini del museo archeologico
regionale di Centuripe.
Il reperto che misura cm. 105x47x25, ha le dimensioni
di un potenziale elemento architettonico (architrave), ma la inverosimile
modanatura segue una logica perversa e obbliqua all’allineamento dei lati del
manufatto.
La parte residua modellata,
che è possibile leggere sul notevole frammento di marmo, potrebbe ricondurre al
panneggio verticale che costituisce solitamente il lato posteriore sinistro di
alcune statue virili. Un raffronto diretto, in questo caso, è stato possibile
con una statua virile togata tronca (ka786), esposta al museo di Centuripe.
Ciò riconduce all’industria del recupero, che in
età antica era già attiva. Ma solitamente nell’antichità quando si voleva
modificare o aggiornare una statua, gli si sostituiva il volto e la testa si
piazzava nell’apposito alloggiamento; nei fatti, molte statue antiche hanno
sostenuto questo “gioco di scambio”. La distruzione assoluta delle statue,
però, potrebbe anche essere legata alle proscrizioni o, se non altro, alla volontà di cancellare
definitivamente il ricordo del personaggio rappresentato dalla statua medesima.
Ma se una statua deve sparire “per ordini superiori”, e viene sezionata accuratamente
e scientemente, potrebbe significare che chi ne ha ricevuto l'incarico vorrebbe
ricavarne il maggior profitto, trasformandola
in elementi architettonici da rivendere e piazzare sul mercato. E a
Centuripe, come sappiamo, la distruzione delle statue di Verre e famiglia fu
data addirittura in appalto.
Enzo Castiglione
Bibliografia
breve:
- Atto d’accusa, N° 41 Le Storie Bonelli Editore –
febbraio 2016
- Fezzi Luca , Il corrotto - Un'inchiesta di Marco
Tullio Cicerone, ed. Laterza 2016
- Verrine M.T.Cicerone a cura di Angela Cerinotti,
Acquarelli Demetra srl 1993
- Cicerone - Il processo a Verre, Rizzoli libri
1992 BUR
- M. Tullio Cicerone – Il processo a Verre, Edizioni
Remo Sandron 1936
- Tommaso De Vivo - Storia figurata del Regno
delle Due Sicilie, Roma 1835