sabato 22 giugno 2024

Alla ricerca del Teatro perduto

 

Alla ricerca del Teatro perduto


1.    
Curve di livello

Uno dei temi relativi all’antica Kentòripa, che da sempre suscita interesse, curiosità ed interrogativi, tra gli addetti ai lavori e non, è il teatro greco della Centuripe ellenistica. Questo piccolo contributo (chi scrive non si gioca alcuna carriera accademica), serve solo  a stimolare eventuali ricerche che, applicando metodologie scientifiche, potrebbero raggiungere risultati certi, utilizzando anche le moderne tecnologie non invasive.

Ad oggi nessuno storico, nessun viaggiatore del Grand Tour, nessun conoscitore dei luoghi e della città, ha mai citato, seppur brevemente, la presenza di una pur minima traccia, sui versanti delle colline, su cui è adagiata la moderna Centuripe, di elementi di un teatro greco o romano. Jean Houel addirittura sosteneva ironizzando che mai e poi mai in una piccola città collinare come Centuripe, poteva insistere una costruzione di tale portata. Ma se ci pensiamo un attimo, proprio quella tesi non ha ragion d’essere; infatti i numerosi declivi, che circondano ancora la città, avevano le caratteristiche e le variabili adatte (alcuni  meno scoscesi di altri) ad ospitare tali antiche strutture. 

Nelle città di una certa magnificenza, e Centuripe lo era certamente, non poteva mancare quello spazio pubblico, utile per le rappresentazioni teatrali e anche per le assemblee pubbliche. La passione degli antichi centuripini per il teatro la stanno a testimoniare anche le maschere teatrali policrome in terracotta, rinvenute a Centuripe, la cui copiosità è seconda solo a Lipari e costituisce altro argomento appassionante, di cui si sono occupati numerosi studiosi.

Girovagando scherzosamente sulla moderna cartografia sono stati individuati parecchi siti che, dal punto di vista morfologico, per la pendenza del terreno e per le caratteristiche curve di livello a ferro di cavallo, avrebbero potuto ospitare sui loro declivi un bel teatro, rendendo  così felici l’ideatore, il progettista, il costruttore e i fruitori.

L’aerofotogrammetria offre curve di livello coinvolgenti ed affascinanti, che disegnano un territorio a volte aspro, a volte sinuoso e morbido, ripido o con larghi terrazzamenti; curve armoniose che celano chissà quali altri eccezionali ritrovamenti da svelare.

Tracce dell’antica città ellenistica si trovano in tutte le vallate che circondano Centuripe; quartieri, terrazzamenti, insediamenti tutti supportati da altrettante necropoli. Tali tracce hanno fatto intuire, agli studiosi, che la città ellenistica doveva estendersi parecchio e quindi contare numerosi abitanti che, probabilmente, non erano costretti, come accade oggi, a recarsi altrove per assistere ad un dramma o ad una commedia.

Ci si convince che, se un monumento di tale ampiezza non ha lasciato alcuna traccia di se, ciò non deriva solo dal fatto che il dilavamento della pendice ospitante lo abbia in parte ricoperto o distrutto, ma, molto più probabile,  che nuove costruzioni sorte su di esso e su tutta l’area lo abbiano definitivamente occultato. Se consideriamo inoltre la massiccia presenza di scavatori clandestini indigeni e di importazione, che per oltre due secoli hanno devastato le pendici centuripine con le loro “appassionanti ricerche” e mai nessuno di essi ha segnalato gradoni curvilinei nelle loro buche, si rafforza la tesi del probabile occultamento, involontario, attribuibile agli insediamenti dal XV secolo in poi.


2.     Occultati e riscoperti

Con la fine dell’impero romano, è ormai risaputo, parecchie strutture, che erano nate precedentemente ad esso o erano state costruite per magnificare  la potenza dell’impero, sono state abbandonate per la cessazione di sanguinari usi e costumi. Ad esempio, parecchi anfiteatri sono stati riutilizzati dall’uomo per altri scopi; è il caso degli anfiteatri di Firenze, Lucca, Assisi, Pollenzo, Venafro,  tutti individuabili dall’alto; occultati oggi in negozi, abitazioni, depositi, stalle ecc.. Alcuni, addirittura, sono stati comprati e  “smontati”, nel corso dei secoli, per costruire chiese, palazzi o chissà cosa.

Anfiteatri occultati

Il ritrovamento fortuito ed eccezionale del cosiddetto “anfiteatro che non c’era” di Volterra, rappresenta una singolarità; costruito all’interno di una valle è stato occultato dal fango dei dilavamenti e da madre natura. Oggi è in corso di definitiva escavazione.

E poi ci sono i teatri greci e romani, abbandonati, dismessi, distrutti ed occultati all’interno dei quartieri delle città. Queste strutture oggi molto apprezzate, laddove individuate e liberate, vivono una seconda vita e costituiscono, a volte, quanto di più prezioso possa celarsi nel moderno tessuto urbano.

Uno degli esempi più interessanti è il teatro antico di Catania, che solo un secolo fa era ancora occupato da un intero quartiere. La gran parte della cavea è stata riportata in luce durante gli anni cinquanta  del secolo scorso, quando vennero compiuti, sotto la direzione di Guido Libertini, impegnativi lavori di sbancamento.

Il teatro antico di Catania negli anni '30 e durante lo scavo degli anni '50

A Cartagena, in Spagna, un quartiere bizantino aveva occupato l’area del teatro antico. Alla fine del secolo scorso sono stati avviati gli scavi per restituirlo alla collettività. Oggi rappresenta per la città un vero e proprio gioiello.  

Il teatro romano di Cartagena

A Terracina, nel Lazio, il teatro romano, costruito però alla greca su una pendice,  è venuto in luce durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale; era ricoperto da stratificazioni medievali e moderne che sono state rimosse in questi ultimi anni. Alla fine del  2023 è stato reinaugurato.

Il teatro romano di Terracina

In altre località il teatro lo cercano da anni; a Messina, in particolare, tra la collina di Montepiselli e la collina del Cristo Re.


3.       Una botta di teatro

Tucidide e Diodoro citano Centuripe sempre in occasione di eventi bellici. Per almeno un secolo antagonista di Siracusa, Centuripe si schiera sempre con i greci, infine sottomessa da Timoleonte, nel 338 a.C., viene rifondata con nuovi coloni; alla morte di Timoleonte, qualche anno dopo, la città cerca di riconquistare la propria indipendenza da Siracusa appoggiando gli avversari di Agatocle, forse riuscendoci. Con Gerone II, durante il III sec. a.C., i centuripini rivestono infine il ruolo di alleati di Siracusa.

Questa pillola di storia serve a capire, oltre al rapporto concorrenziale tra le due città, perché sarà utilizzato a modello, nella ricerca del teatro di Centuripe, il teatro greco di Siracusa. Non è accettabile che un antagonista abbia il teatro più grande!

La cavea del teatro di Siracusa, uno dei più grandi del mondo greco,  aveva un diametro di 138,60 metri ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori da scalinate. A metà altezza correva una precinzione, il diazoma che la divideva in due settori.  Le file superiori di gradini, oggi scomparse, erano costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di contenimento. L’inclinazione complessiva della cavea registrava una pendenza di circa 20 gradi.

L’attuale forma semicircolare, del teatro di Siracusa, ricorda le importanti modifiche operate dai romani nel periodo augusteo.

Nel caso centuripino, tra le diverse opzioni suggerite dalla morfologia del territorio,  per collocazione urbanistica, pendenza dell’area, acustica, esposizione e accessibilità, una in particolare, oltre a convincere più di altre, potrebbe intrinsecamente dimostrare come sia possibile fare sparire un teatro greco.

L’elemento che, più di altri, ha  favorito questa tesi è lo studio delle sezioni del declivio, che,  al netto di case e muri di terrazzamento moderni, si attesta attorno ai 20 gradi di pendenza; guarda caso la medesima del teatro greco di Siracusa.

Se è vero che da qualche parte bisognava pur cominciare, quale scelta migliore, se non il quartiere centuripino recante nomi di poeti, letterati, drammaturghi, scrittori e filosofi…

L’area della città tra la via Dante e il viale Leopardi, con dentro le vie Manzoni, Parini, Rapisardi, Pascoli,  Alfieri, Mamiani, Macchiavelli, Moncada e vico Metastasio, ha un assetto urbanistico curvilineo che, apparentemente, sembra disegnato da naturali geometrie concentriche. Tutta la vallata che da via Dante scende giù per il declivio fin oltre il Viale Leopardi, al netto delle moderne costruzioni, dà piuttosto l’impressione  di essere stata livellata e modellata per ottenere una cavea con il massimo della resa acustica e della capienza. Comunque è solo un’ipotesi.

Centuripe, che ha già tanto da offrire, e i centuripini, potrebbero perseguire la certezza che ci fosse anche qui, da qualche parte, il teatro antico, se non altro per confermare l’importanza della città nell’antichità e per pacificare gli animi di chi cerca ancora risposte.                                                        

                                                                                                    Enzo Castiglione


domenica 5 marzo 2023

Damnatio memoriae Druso!

 

Damnatio memoriae Druso!


      1 -  Reperto ka792

Tra le sculture marmoree della ex collezione comunale del museo di Centuripe, con numero d’inventario ka792, fa mostra di sé un busto marmoreo che,  a differenza di altri ritratti, quasi tutti provenienti dall’area degli augustali, è sempre rimasto a casa, a Centuripe. Gli altri ritratti, vuoi per l’intraprendenza di alcuni centuripini, vuoi per l’intraprendenza delle autorità, si sono dispersi in molteplici direzioni. Qualcuno di essi ogni tanto ritorna, ma poi se ne parte di nuovo.

  Questo ritratto, le cui dimensioni sono H:mt.0,39; L:mt.0,20; volto H:mt.0,25, invece è ormai da un secolo visionabile a Centuripe, forse perché parecchio rovinato e quindi non all’altezza(!) degli interessi più vari; infatti  risulta difficile l’attribuzione certa ad un particolare personaggio.  Ma siccome il presente testo non ha la pretesa di essere un contributo scientifico, cercheremo liberamente di formulare qualche ipotesi e capire se siamo di fronte ad un unicum.

Le descrizioni degli studiosi, che sin qui si sono occupati del ritratto,  accennano alle notevoli scheggiature e alle abrasioni che lo caratterizzano, ma mai è stata mossa una ipotesi sul perché della loro presenza.

Senza girarci troppo intorno, quelle inferte sul ritratto marmoreo sembrano delle vere e proprie martellate; un vero e proprio accanimento, su quel volto, a furor di pesanti martellate. Non si spiega altrimenti la sparizione del naso, della bocca, delle orecchie, del mento, dello zigomo sinistro, delle arcate sopraccigliari e infine la sbozzatura della massa dei capelli; quasi per rendere, da un lato, irriconoscibile quel volto e, dall’altro, perché no, favorirne il riutilizzo in qualche nuova opera muraria. La parte posteriore del ritratto, infatti, conserva indelebile una ampia traccia di legante o malta, a testimonianza di quale sia stato l’utilizzo ultimo del manufatto, così rimodulato e rabberciato.

 Queste operazioni sembrano, di fatto, il risultato conseguente a una “Damnatio memoriae”, di cui sia andata perfino persa la traccia storica dagli annali.

Damnatio memoriae significa letteralmente "condanna della memoria", ed era nel diritto romano una pena, riservata soprattutto ai traditori del Senato, consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se essa non fosse mai esistita. Molto in voga durante il periodo imperiale; i beneficiari sono stati innumerevoli.  Resta da capire chi fosse questo personaggio e di cosa si sia reso colpevole per suscitare così tanto risentimento,  odio e accanimento?

2 -  Una gioiosa dinastia imperiale

I primi cinque imperatori romani provengono tutti dalla dinastia Giulio-Claudia: Ottaviano Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone. Ma nel gioco delle successioni, come in un risiko, rientrano una molteplice quantità di parenti e di “potenti”, che a una prima lettura possono essere motivo di ubriacatura anagrafica; poi infine diventa tutto romanzo d’appendice, color rosso sangue.

Incastrati nella vicenda vi sono i tre Drusi: Druso Maggiore fratello di Tiberio, Druso Minore figlio legittimo di Tiberio e Druso Terzo, secondo figlio maschio di Germanico, a sua volta figlio di Druso Maggiore. 

Ma andiamo con ordine. Il 4 d.C. Germanico, ormai da tredici anni orfano del padre Druso Maggiore, viene adottato, su disposizione di Augusto, da Tiberio, diventando così il più serio candidato alla successione imperiale. Lo stesso anno vede inoltre l’unione tra Germanico e Agrippina Maggiore, unione da cui sarebbero nati nove figli, due deceduti appena nati, un altro deceduto da infante, e gli altri: Nerone Cesare, Druso Terzo, Gaio Cesare conosciuto anche come Caligola, Giulia Agrippina, Giulia Livilla e Giulia Drusilla.

Il 14 d.C. muore Augusto e Tiberio, che ha già 56 anni, diventa il nuovo imperatore di Roma. Il 19 d.C. Germanico, che si trovava ad Antiochia, si ammala e muore, non prima di aver confessato ad Agrippina Maggiore, la fedele moglie che lo seguiva sempre nelle campagne al fronte, la propria convinzione che era stato fatto avvelenare da Tiberio; probabilmente per favorire il figlio legittimo Druso Minore nella successione al trono. Intanto, nel gioco politico delle successioni, avanza la propria candidatura il potente prefetto Seiano, amico e consigliere di Tiberio, che decide intanto di colpire il successore diretto Druso Minore corteggiandone la moglie Livilla fino a portarla all’adulterio e corrompendo Ligdo lo schiavo fedele di Druso Minore che somministra al suo padrone un lento veleno che lo porta infine alla morte nel 23 d.C.. L’imperatore Tiberio si trova quindi costretto a cercare il proprio successore tra i figli di Germanico, ma Seiano, assetato di potere, è ancora li pronto a colpire il prossimo erede.

  Infatti dal 26 d.C. tutta la famiglia di Germanico inizia ad essere perseguitata da Seiano con la complicità del mandante Tiberio. Nel 27 d.C. Agrippina Maggiore e Nerone Cesare (non il futuro imperatore), suo primogenito, sono accusati di tramare contro Tiberio. Il prefetto Seiano riesce anche a convincere anche il secondo figlio di Agrippina Maggiore, Druso Terzo, istigando la sua invidia verso il fratello Nerone, favorito della madre Agrippina, a rivoltarsi contro di essi.  

Nel 29 Nerone e sua madre Agrippina Maggiore furono processati, imprigionati ed esiliati. Nei primi mesi del 31 Nerone Cesare muore, forse  suicidato da Seiano. Tiberio, nomina quindi Druso Terzo suo erede, ma  ciò non basta a salvare il giovane dalla furia omicida del ministro, deciso a eliminare con ogni mezzo tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei suoi progetti. Seiano usa ancora una volta l'arma della corruzione, e la sua nuova vittima è Emilia Lepida la moglie di Druso Terzo. Emilia, cedendo alle lusinghe di Seiano, accusa il marito d'ogni misfatto e nefandezza, compreso un tentativo di sommossa armata. Druso viene arrestato e condannato sotto pesanti imputazioni, raccolte da alcune spie che avevano avuto l'incarico di seguire i suoi movimenti, di ascoltare i suoi discorsi e di registrarli in un apposito diario. C'erano in quel diario tutte le sue imprecazioni contro Tiberio, le accuse feroci e l'invocazione agli dèi perché facessero pagare al mostro (Tiberio) tutti i suoi delitti. Druso Terzo, nel 33, ancora imprigionato, nelle cantine  del palazzo imperiale sul Palatino, viene lasciato senza cibo. Al nono giorno di digiuno, dopo aver tentato di sopravvivere divorando perfino il crine del pagliericcio, la sua fibra cede e non scampa alla morte. Dopo la sua morte Tiberio fa esporre il suo corpo in pubblico e infierisce senza alcuna pietà contro il defunto, presentandolo come un depravato sessuale, carico d'odio verso i suoi e pericoloso nemico dello stato. Non si ha certezza della pronuncia di damnatio memoriae in quella drammatica circostanza, ma la violenza e la cattiveria del gesto compiuto da Tiberio suscitano qualche sospetto in proposito. Basti sapere, come racconta Svetonio, che i resti del giovane furono talmente dispersi, che sarà un’impresa, in seguito, poterli raccogliere. Bisogna considerare inoltre che qualche resoconto, da parte degli storici, contemporanei alla vicenda, è andato perduto.

Sarà solo l’intervento illuminato e coraggioso di Antonia Minore, vedova di Druso Maggiore e nonna di Druso Terzo, che riuscirà nell’arduo compito di fare rinsavire il crudele sanguinario e ormai rimbambito imperatore Tiberio, fare perseguire e condannare il disonesto e corrotto prefetto Seiano, e salvare così l’ultimo figlio di Germanico, Caligola, da quella insensata carneficina.

3 – Damnatio memoriae, Drusus!

Il busto ka792, che è attualmente esposto presso il museo di Centuripe, potrebbe essere un ritratto di Druso Terzo, il figlio di Germanico, ucciso a soli 25 anni, con crudeltà e disprezzo da Tiberio, e di cui è difficile trovare confronti e riscontri. 

Nella ritrattistica romana Druso Maggiore è molto presente e ne conosciamo l’acconciatura e le caratteristiche somatiche. Dei tre figli maschi di Germanico, Nerone Cesare, Druso III e Caligola, sappiamo quasi tutto; ma solo Caligola vanta un repertorio molto numeroso di ritratti scultorei. Difatti fu il terzo imperatore, succedette a Tiberio, quindi i suoi ritratti sono ovviamente numerosi. Degli altri due figli di Germanico, considerata anche la sorte alla quale andarono incontro per volontà di Tiberio, abbiamo un numero irrisorio di ritratti. Sappiamo che i tratti somatici di Nerone Cesare, soprattutto il naso erano simili al padre, Germanico, e la faccia era decorata da una barba appena accennata sul perimetro del volto.

Uno splendido ritratto marmoreo in eccezionale stato di conservazione, attribuito a Druso Germanico, è esposto al Museo Nazionale di Copenhagen. Fu ceduto al re di Danimarca da Monsignor Capece Latro, arcivescovo di Taranto, ecclesiastico antiborbonico, che si concedeva il lusso del collezionismo. Provengono,  assieme ad un altro ritratto attribuito a Germanico, anch’esso in eccezionale stato di conservazione, da Taranto; furono rinvenuti con tutta probabilità nell’area dell’anfiteatro, che giace ancora sepolto. Non a caso, i due bei ritratti di principi, sono esposti a Copenhagen l’uno accanto all’altro.

Un altro busto, attribuito a Druso III, si trova a Grosseto presso il museo archeologico e d'arte della Maremma, proveniente dall’area archeologica di Roselle.

 I due ritratti di Copenhagen e di Grosseto, attribuiti entrambi allo stesso personaggio (Druso Germanico o Druso III), oltre a non somigliarsi per niente, sembrano descrivere personaggi in età più matura. Non bisogna dimenticare che gli ultimi tre anni di vita, per Druso III, sono stati una tribolazione; quindi gli eventuali ritratti, che lo rappresentino, dovrebbero risalire al 28-31 d.C. e dovrebbero descrivere il volto di un giovane poco più che ventenne.

Queste attribuzioni un po' forzate, sono la conferma della difficoltà di individuare il vero volto di questo sventurato giovane.

Dei due ritratti di Copenhagen, inoltre, quello attribuito a Germanico ha  le caratteristiche somatiche che lo avvicinano, vedi il naso, al volto di Agrippina Maggiore; quindi il ritratto di Copenhagen attribuito a Germanico potrebbe in realtà raffigurare non il padre ma il figlio Druso Terzo.  

Dall’accostamento e dal confronto tra il busto centuripino ka792 e questo ritratto di Germanico proveniente da Taranto, si può cogliere con evidenza che tratti e particolari sono interessanti per la similitudine delle fattezze e per le caratteristiche delle esecuzioni.

Anche Bonacasa sosteneva che il ritratto centuripino, per le caratteristiche e lo stile, poteva essere accomunato ai due ipotetici ritratti di Germanico a Copenhagen.

Da esperienze virtuali, procedendo con martellate digitali sul volto “tarantino” di Germanico e sottraendo da quel volto i medesimi tratti somatici che nel volto centuripino sono andati distrutti, se ne ricava una incredibile somiglianza; i tratti della bocca denotano la medesima espressione, la fronte la stessa ampiezza, i bulbi oculari la medesima forma, gli zigomi e la muscolatura facciale parlano la stessa lingua.  

Recenti tesi ritengono che la ritrattistica giulio-claudia centuripina sia indubbiamente contemporanea ai personaggi raffigurati e quindi da collocare alla prima metà del I secolo d.C.; se consideriamo le splendide condizioni nella quale sono arrivati sino a noi i ritratti “centuripini” di Augusto, Germanico e Druso Minore, come potrebbe spiegarsi, altrimenti, lo stato pietoso in cui è ridotto il ka792 ?

Sarebbe impensabile massacrare a martellate un ritratto a meno che non ci siano motivi di forma maggiore. Quindi se ne desume che il ritratto raffiguri Druso Terzo (o al limite un analogo destinatario di damnatio memoriae),  e che in seguito alla sua condanna a morte e l’impietoso accanimento postumo dell’imperatore Tiberio, il ritratto sia stato oggetto di particolari attenzioni (martellate) per cancellarne i tratti somatici e reimpiegato come pietrame da costruzione.

Incredibile comunque che, malgrado la cattiveria di cui è stato vittima, i detrattori e tutte le forme di disprezzo subite dalla persona raffigurata, questo ritratto sia ancora qui a raccontare la sua storia, ed essere testimone del suo tempo e dei nostri giorni.

                                                                                           Enzo Castiglione

Breve bibliografia:

-          Bonacasa Nicola – Ritratti Greci e Romani della Sicilia, 1964 – Palermo;

-          Boschung Dietrich - Gens Augusta, 2002;

-          Publio Cornelio Tacito - Annales

-          Gaio Svetonio Tranquillo – Vita dei Cesari III - Tiberio

-       Spinosa Antonio - Tiberio. L'imperatore che non amava Roma - Arnoldo Mondadori Editore 1985;

-        Portale Elisa Chiara, Un contributo “palermitano” al ciclo giulio-claudio di Centuripe – Mare Internum 2020 – Fabrizio Serra Editore;

-       Di Franco Luca - L’Arcivescovo Capece Latro e l’antico: collezionismo e ricerca antiquaria nella Taranto di fine Settecento – Atti Convegno 2019;

-        Fabbrini Laura – Il ritratto giovanile di Tiberio e la iconografia di Druso maggiore, 1964 - Bollettino d’Arte IV Serie;

venerdì 16 dicembre 2022

La collina e il federale

 

La collina e il federale


1 – La collina

La collina centuripina su cui sorge la chiesetta dedicata a San Nicola, rappresenta la parte terminale della città di Centuripe in direzione sud - ovest. Oggi si presenta in modo parecchio appariscente, per via della notevole struttura edilizia, sulla parte terminale, che nel corso dell’ultimo secolo  si è sviluppata accanto e tutt’intorno alla chiesetta, celando quest’ultima alla vista.

Filippo Ansaldi ci fa sapere che la parte terminale della collina, sulla sommità, ospitava  all’inizio dell’ottocento il camposanto, e che il quartiere era quindi stato nominato “del camposanto”. In un precedente post “La chiesa, le cripte e l’ospite illustre” abbiamo già avuto modo di vedere che Don Giovanni Luigi Moncada aveva fatto donazione al Comune di dieci salme di terre, tutt’attorno al monte su cui si innalza la chiesa di San Nicola. Aveva fatto costruire a proprie spese un Camposanto, contiguo a detta chiesa, del quale fu ordinata l'apertura il 1 ottobre 1817, e che quindi fu benedetto ed aperto il 15 marzo 1818; aveva fornito inoltre, per il funzionamento e la cura del camposanto, anche una rendita annuale. Nella planimetria redatta, qualche decennio più tardi dall’Architetto Bonaventura De Marco, per il catasto borbonico, si legge chiaramente dove si trova allocato a quei tempi il camposanto a Centuripe. Anche l’Ansaldi annota la posizione del camposanto nella sua bozza planimetrica dell’abitato centuripino allegato al testo del tomo secondo.

Arch. Bonaventura - Catasto borbonico

La planimetria catastale di fine ottocento, infine, riassume le strutture edilizie che erano state realizzate accanto alla chiesa di San Nicola e che nel tempo erano state utilizzate come camera mortuaria, alloggio per il custode o spazi comunque di asservimento per le attività cimiteriali e religiose. Ma, quando fu redatta questa mappa catastale, il camposanto lì non era più in uso, era stato realizzato ed era entrato in funzione l’attuale cimitero.

Panimetria catastale fine ottocento

L’aspetto e l’interesse archeologico di questa collina viene segnalato più volte dall’Ansaldi già nei testi delle sue ricerche: “Rimarchevoli son pure gli avanzi, che si osservano nelle terre censite del Camposanto, dalla parte d'oriente al­lorché furono verso il 1820, dissodate per piantarle a vigne, si rinven­nero avanzi di antiche fabbriche, che in parte tutt'ora si osservano, varii pezzi di musaico, e diverse reliquie di statue di marmo, e fra que­ste una testa e nove mani tutte sinistre, che furono vendute ad uno straniero.” Ed anche le ricerche archeologiche più recenti o i bisbiglii dei tombaroli hanno rivelato interessanti tracce sia di insediamenti antichi che di notevoli sepolcri nell’area di San Nicola o nelle pendici limitrofi e sottostanti.

                    

                            Vista pittorica di Centuripe (Royal Inniskilling Fusiliers) 

Le ultime tracce di eventi storici sulla collina appartengono alla seconda guerra mondiale. Questa collina denominata sulle carte militari “church 708” è stata una delle roccaforti centuripine del 3° Reggimento “Fallschirmjäger” tedesco, che, tra la fine di luglio e il 2 agosto ’43, ha tenuto sotto scacco, per giorni, l’area a sud della città e la rotabile che sale da Catenanuova, bloccando così l’avanzata di otto battaglioni della 38a brigata inglese; malgrado pochi giorni prima, il 28 e il 31 luglio, anche questa collina, come il resto della città, fosse stata letteralmente sbranata dai bombardamenti ad opera dei Martin a30 Baltimore della NATAF, devastando la città e prelevando un alto tributo di sangue innocente.


2 – Il federale

Pietrangelo Mammano nasce a Centuripe il 4 maggio 1906, è l’unico figlio del Cav. Salvatore e di Maria D’Amico; Salvatore in seguito sposerà, dopo la morte della prima moglie, la di lei sorella Anna.

Il nonno, Cav. Pietrangelo (1834-1911?), è un ricco proprietario terriero centuripino, molto religioso, benvoluto e affabile con tutti. Alla sua morte le immense sostanze saranno equamente divise tra tutti i suoi numerosi figli. Ma il nipote Pietrangelo classe 1906, a quanto pare, è l’unico nipote ed erede di questa ricca fortuna; infatti gli zii e le zie sono quasi tutti celibi o senza figli.

Iscritto sin dal 1922 al fascio, aveva poi percorso tutti i livelli di una irresistibile carriera all’interno del partito fascista. Prima come segretario del gruppo universitario fascista, in seguito segretario federale amministrativo; ma la sua personalità violenta e aggressiva si manifestò come massimo esponente del fascismo catanese tanto da essere definito “di gran lunga il peggiore di tutti i gerarchi” “l’implacabile custode dell’ortodossia littoria”. Particolarmente fiero della sua enorme testa pelata che lo faceva rassomigliare a Mussolini, aveva ricevuto l’incarico di segretario federale l’8 gennaio 1937 in sostituzione del precedente segretario Zangàra Vincenzo ed ebbe l’arroganza, addirittura, di prendere a calci l’ottantenne senatore Gesualdo Libertini. Il terrore della via Etnea, schiaffeggiava senza mezzi termini chi, al suo passaggio, non alzasse il braccio teso.

                                  Il segretario federale Pietrangelo Mammano, imitando gli 
                                  atteggiamenti del Duce, arringa i suoi camerati

Mai un gerarca locale fu tanto temuto ed odiato. Le sue interferenze in tutta la pubblica amministrazione creavano continui frizioni tra i vari organi della stessa ed erano intollerabili. Uomo violento, manesco e corrotto, il suo frequente ricorso a vie di fatto contro cittadini indifesi, l'esercizio di potere illimitato e senza regole, la distribuzione capricciosa di cariche, di favori e di prebende, lo rendevano inviso in tutti gli ambienti, compresi quelli dello stesso P.N.F. Nella stanza accanto a quella del suo ufficio, nel palazzo dei Chierici di piazza Duomo, dove aveva sede la federazione fascista, teneva un letto dal quale dovevano passare le mogli dei postulanti, se davvero questi volevano ottenere quello che chiedevano. Tutto ciò era ben noto in città, ma io avevo una fonte privilegiata di informazione: un mio amico e collega di università era impiegato amministrativo negli uffici della federazione fascista e tutte le sere mi aggiornava sulle turpi vicende che si svolgevano nella sede principale del P.N.F. catanese.” (Franco Pezzino - Per non dimenticare)

Burocrate in camicia nera, causò parecchi problemi alle istituzioni ecclesiastiche di Acireale soprattutto per due questioni: gli asili gestiti da religiose e il distintivo di Azione Cattolica. Dava con molta parsimonia l’ordine di cacciare via le suore, sostituendole con alcune signorine della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Come racconta padre Francesco Savia in una lettera indirizzata al vescovo:

“V. Ecc. non ha bisogno di miei consigli, però, creda, sarebbe buono avvisare il Santo Padre sul discorso anticlericale del federale a Linguaglossa che ha incrinato l'accordo tra lo Stato e il Vaticano per avvisare il duce, il quale son sicuro che se non lo manderà a riposo, gli darà una forte tirata di orecchi. Passare sopra l'operato del federale nella nostra diocesi, specialmente con la sostituzione delle suore negli asili di Linera e di Acicatena, come mi ha riferito il mio parroco, sarebbe farlo diventare più tracotante e nocivo alle nostre istituzioni cattoliche.”

 Riguardo all'Azione Cattolica, il vescovo raccontò che in alcune adunate il Segretario Federale, Pietrangelo Mammano, si era permesso di dire che essa era "un residuo del Partito Popolare", quindi bisognava "guardarsene e diffidarne": aggiunse poi che la sede di Azione cattolica era stata prese di mira e si adoperavano vari mezzi.

Un accanimento particolare lo subì lo studente di giurisprudenza Michele Pulvirenti, segretario della Giunta diocesana di Azione Cattolica, per un suo scritto sul periodico diocesano la buona novella,  che il federale aveva volutamente mal interpretato e che comporterà quasi la morte civile per il giovane (senza tessera di partito era compromessa la carriera universitaria e la partecipazione a pubblici concorsi). Chiaramente questo sopruso vendicativo del cinico federale Mammana, nei confronti del fucino Pulvirenti, era palesemente una violenza psicologica verso gli aderenti all'Azione Cattolica acese, diffidati a non prendere iniziative negative verso il regime.

Ma la vicenda relativa alla Banca Cattolica di Caltagirone supera qualunque immaginazione. Il Mammano e lo Zangàra furono attirati dagli eccellenti affari che grazie all’ammasso volontario gravitavano da quelle parti ed i tentativi, leciti ed illeciti, di metterci le mani sopra furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’obbiettivo dichiarato era quello di estirpare l’ultima radice di Don Luigi Sturzo da Caltagirone, l’effetto ottenuto invece fu quello di essere defenestrati dalle loro funzioni, in quanto avevano agito arbitrariamente e stupidamente, recando un grave danno non solo alla vecchia banca ma anche al regime. 

Mammano fu destituito dalla carica Il 19 dicembre del 1939, dopo il siluramento del segretario nazionale del P.N.F. Achille Starace. La caduta di Mammano fece tirare un sospiro di sollievo ai catanesi che della sua prepotenza proprio non ne potevano più. Il 25 gennaio 1940 gli veniva ritirata anche la tessera fascista, con la seguente motivazione: “Nell’esercizio delle sue funzioni che gli derivavano dalla sua carica politica, si rendeva immeritevole di militare nei ranghi del P.N.F.

Il 24 agosto 1942, Mammano rimase vittima di una disgrazia; durante un allarme aereo, si trovava nella sua autorimessa dove aveva accumulato riserve di benzina illegalmente accaparrata in violazione delle norme sul razionamento. L’accensione di un lume, a seguito degli oscuramenti, provocò un violento incendio che causò all’ex federale gravissimi ustioni. La morte lo colse qualche giorno dopo.

Il federale Mammano fu reso famoso, dopo la sua morte, dagli scritti di Vitaliano Brancati e principalmente dal racconto Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949, dove non è difficile cogliere nel federale Pietro Capàno  episodi di cui Pietrangelo Mammano  era stato protagonista. 


3 – L’ente morale

Sulla collina intanto gli angusti locali, adiacenti la chiesetta di San Nicola, dopo la dismissione del camposanto, erano stati utilizzati come aule scolastiche; nel 1932 diventano argomento di discussione per la creazione di un ospizio.

Negli anni precedenti, ai poveri e derelitti di Centuripe, aveva pensato mastro Luciano Cacia, un centuripino che della carità aveva fatto una propria missione di vita; egli aveva messo a loro disposizione gratuitamente un piccolo alloggio con un paio di stanze, di cui era proprietario. La missione civile di mastro Luciano aveva commosso e ispirato il Can. Antonino Mammana, che individuò, negli angusti locali del comune, presso la chiesa di San Nicola e nella fattibilità di fare gestire un ospizio per i poveri, alle suore bocconiste di Palermo, la possibilità di dare un aiuto significativo alle fatiche di mastro Luciano.

Ne parlò con il Podestà, Geom. Cav. Bonomo Giuseppe, che a sua volta, accogliendo la lodevole iniziativa, accettò di donare quei locali comunali e l’area dell’ex camposanto per la organizzazione di un ospizio di mendicità per i poveri. Era un primo piccolo ma significativo passo. Il 5 giugno 1932,  giunsero da Palermo quattro Suore Bocconiste, accompagnate dal Can. Mammana, che si insediarono nella modesta ed angusta casa; i primi poveri ad essere trasferiti a San Nicola e a  ricevere le loro cure furono proprio quelli di  mastro Luciano. Ad essi si aggiunsero presto altri mendicanti, uomini e donne. Gli anni immediatamente a seguire furono caratterizzati da mille difficoltà; gli spazi in quei locali erano insufficienti, il cibo e i mezzi di sussistenza scarseggiavano, mentre le richieste di assistenza e ricovero aumentavano.

La svolta sul futuro dell’umile ospizio arrivò subito dopo la fatidica data dell’agosto del ‘42. Un  tragico lutto, come abbiamo saputo, si era abbattuto sulla famiglia del cav. Salvatore Mammano. L'unico figlio, Pietrangelo, il federale, era morto tragicamente all'età di 36 anni. Tutta la famiglia Mammano era rimasta sconvolta dall'immatura scomparsa dell'unico erede d'immense sostanze. Si poneva il problema della successione delle proprietà e dei beni;  alla fine Prospero convinse i propri fratelli Salvatore, Antonino, e le proprie sorelle Rosaria, Antonietta e Graziella a donare tutti i loro beni all'Ospizio di S. Nicola in Centuripe.

Le disposizioni testamentarie dei fratelli Mammano furono nella sostanza identiche; lasciarono la nuda proprietà dei loro beni immobili all'Ospizio di San Nicola, riservandosi per sé e per i propri congiunti, fino alla morte, l'usufrutto. Lo scopo di queste generose donazioni fu l'istituzione a San Nicola di una Pia Opera, intitolata  allo sfortunato federale:« Fondazione Pietrangelo Mammano - D'Amico ».

Il clero e la nuova classe politica improntata alla fede cristiana che, da quel federale, tante bastonate avevano ricevuto, a fronte del pesante fardello di disperazione dei congiunti del Mammano e soprattutto dei loro denari, avevano accettano subdolamente di tenersi a ricordo perenne proprio quel personaggio i cui comportamenti estremi furono non solo causa di danni morali, umiliazioni, dolore e disperazione per un numero infinito di uomini e donne, ma motivo perfino di una defenestrazione da quella organizzazione che lo aveva reso per anni potente e intoccabile. La nemesi della storia capovolta dalla nemesi del denaro.

Secondo i testamenti, le finalità della Fondazione dovevano essere l’ampliamento e gestione immediata e perpetua dell'attuale Ospizio di mendicità di Centuripe, la costruzione di un orfanotrofio, di un ospedale medico-chirurgico e di un asilo per incurabili deformi e deficienti di mente, in Centuripe.

La  Fondazione inoltre veniva affidata al Pio Ordine religioso, Serve dei Poveri, e Prospero Mammano veniva designato Presidente a vita dell'Amministrazione e Direttore tecnico per la costruzione dell'Orfanotrofio ed altro da eseguirsi dalla Fondazione.

Il Prefetto di Enna, allo scopo di rendere la Fondazione partecipe dei benefici assistenziali previsti dalla legge, nominò provvidenzialmente Commissario prefettizio, il 18 febbraio del 1946, il medesimo comm. geom. Prospero Mammano; fu realizzata la prima ala ad est del complesso edilizio e furono costruiti tre grandi saloni-dormitorio.

Catastale anni '60 - Ala est del complesso

Con decreto del 27 settembre 1950, n. 171, il Presidente della Regione, Franco Restivo, elevava ad Ente Morale la « Fondazione Pietrangelo Mammano - D’Amico », rinfrancando, in questo modo, anche il nome del federale di quell’integrità morale che esso non aveva coltivato in vita.

Negli anni a seguire, altre donazioni di aree, da parte del Comune, consentirono la edificazione degli altri locali ad ovest e a sud della terrazza, fino all’ottenimento del notevole  complesso edilizio che è possibile ammirare oggi. Paradossalmente le donazioni  del Principe di Paternò Giovanni Luigi Moncada al comune di Centuripe, perfino la sua tumulazione dentro la chiesetta di San Nicola, sono ormai svaniti. Però al comune rimane il compiacimento di due posti di minoranza nel consiglio di amministrazione della Fondazione.

L’ente morale, intanto, può darsi che continui a perseguire gli scopi prefissati dal lascito testamentario; ma dentro non ci sono più i poveri, non ci sono gli orfanelli, non c’è l’ospedale medico-chirurgico, non c’è mai stato; forse il federale, a sua insaputa, anche questa volta ha fatto una vittima.  

Enzo Castiglione


Breve Bibliografia di riferimento:

-       -   Ansaldi Filippo – Memorie storiche di Centuripe – Edigraf, 1981

-          -    Libertini Guido - Centuripe  - Città aperta,1926

-          -    Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.8 1940

-          -    Annali del fascismo – febbraio 1940

-          -    Vitaliano Brancati - Il bell’Antonio - Bompiani, 1949

-          -    Chilanti Felice  - Ma chi è questo Milazzo? – Parenti editore,1959

-          -    Mammana Salvatore – Cenni storici sulla Pia Opera, 1965

-          -    Gallo Concetto memorie 1974

-          -    Nicolosi Pietro - 50 anni di cronaca siciliana  - Flaccovio, 1975

-          -    Pezzino Franco - Per non dimenticare  - C.U.E.C.M., 1992

-          -     Saporita Felice – Eia, eia, eia, alalà! : Acireale nel ventennio fascista - Acireale : Accademia degli zelanti e dei dafnici, 2010

-          -    Milazzo Nino – Acireale nel ventennio fascista, 2010

-          -    Pagano Maria Chiara – Il fascio e la croce. Clero e classi dirigenti ad Acireale fra le due guerre – Lulu, 2012