Centuripensis
Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più. (Haruki Murakami)
venerdì 28 febbraio 2025
sabato 22 giugno 2024
Alla ricerca del Teatro perduto
Alla ricerca del Teatro
perduto
Uno dei temi relativi
all’antica Kentòripa, che da sempre suscita interesse, curiosità ed
interrogativi, tra gli addetti ai lavori e non, è il teatro greco della Centuripe
ellenistica. Questo piccolo contributo (chi scrive non si gioca alcuna carriera
accademica), serve solo a stimolare
eventuali ricerche che, applicando metodologie scientifiche, potrebbero
raggiungere risultati certi, utilizzando anche le moderne tecnologie non
invasive.
Ad oggi nessuno storico, nessun viaggiatore del Grand Tour, nessun conoscitore dei luoghi e della città, ha mai citato, seppur brevemente, la presenza di una pur minima traccia, sui versanti delle colline, su cui è adagiata la moderna Centuripe, di elementi di un teatro greco o romano. Jean Houel addirittura sosteneva ironizzando che mai e poi mai in una piccola città collinare come Centuripe, poteva insistere una costruzione di tale portata. Ma se ci pensiamo un attimo, proprio quella tesi non ha ragion d’essere; infatti i numerosi declivi, che circondano ancora la città, avevano le caratteristiche e le variabili adatte (alcuni meno scoscesi di altri) ad ospitare tali antiche strutture.
Nelle città di una certa magnificenza, e Centuripe lo era certamente, non poteva mancare quello spazio pubblico, utile per le rappresentazioni teatrali e anche per le assemblee pubbliche. La passione degli antichi centuripini per il teatro la stanno a testimoniare anche le maschere teatrali policrome in terracotta, rinvenute a Centuripe, la cui copiosità è seconda solo a Lipari e costituisce altro argomento appassionante, di cui si sono occupati numerosi studiosi.
Girovagando scherzosamente sulla
moderna cartografia sono stati individuati parecchi siti che, dal punto di
vista morfologico, per la pendenza del terreno e per le caratteristiche curve
di livello a ferro di cavallo, avrebbero potuto ospitare sui loro declivi un
bel teatro, rendendo così felici l’ideatore, il progettista, il costruttore e i fruitori.
L’aerofotogrammetria offre curve di
livello coinvolgenti ed affascinanti, che disegnano un territorio a volte
aspro, a volte sinuoso e morbido, ripido o con larghi terrazzamenti; curve armoniose
che celano chissà quali altri eccezionali ritrovamenti da svelare.
Tracce dell’antica città ellenistica
si trovano in tutte le vallate che circondano Centuripe; quartieri,
terrazzamenti, insediamenti tutti supportati da altrettante necropoli. Tali
tracce hanno fatto intuire, agli studiosi, che la città ellenistica doveva
estendersi parecchio e quindi contare numerosi abitanti che, probabilmente, non
erano costretti, come accade oggi, a recarsi altrove per assistere ad un dramma
o ad una commedia.
Ci si convince che, se un monumento di tale ampiezza non ha
lasciato alcuna traccia di se, ciò non deriva solo dal fatto che il dilavamento
della pendice ospitante lo abbia in parte ricoperto o distrutto, ma, molto più
probabile, che nuove costruzioni sorte
su di esso e su tutta l’area lo abbiano definitivamente occultato. Se
consideriamo inoltre la massiccia presenza di scavatori clandestini indigeni e
di importazione, che per oltre due secoli hanno devastato le pendici
centuripine con le loro “appassionanti ricerche” e mai nessuno di essi ha
segnalato gradoni curvilinei nelle loro buche, si rafforza la tesi del
probabile occultamento, involontario, attribuibile agli insediamenti dal XV
secolo in poi.
2.
Occultati e riscoperti
Con la fine dell’impero romano, è
ormai risaputo, parecchie strutture, che erano nate precedentemente ad esso o erano
state costruite per magnificare la
potenza dell’impero, sono state abbandonate per la cessazione di sanguinari usi
e costumi. Ad esempio, parecchi anfiteatri sono stati riutilizzati dall’uomo
per altri scopi; è il caso degli anfiteatri di Firenze, Lucca, Assisi,
Pollenzo, Venafro, tutti individuabili
dall’alto; occultati oggi in negozi, abitazioni, depositi, stalle ecc.. Alcuni,
addirittura, sono stati comprati e “smontati”, nel corso dei secoli, per
costruire chiese, palazzi o chissà cosa.
Il ritrovamento fortuito ed eccezionale del cosiddetto “anfiteatro che non c’era” di Volterra, rappresenta una singolarità; costruito all’interno di una valle è stato occultato dal fango dei dilavamenti e da madre natura. Oggi è in corso di definitiva escavazione.
E poi ci sono i teatri greci e
romani, abbandonati, dismessi, distrutti ed occultati all’interno dei quartieri
delle città. Queste strutture oggi molto apprezzate, laddove individuate e
liberate, vivono una seconda vita e costituiscono, a volte, quanto di più
prezioso possa celarsi nel moderno tessuto urbano.
Uno degli esempi più interessanti è
il teatro antico di Catania, che solo un secolo fa era ancora occupato da un intero
quartiere. La gran parte della cavea è stata riportata in luce durante gli anni
cinquanta del secolo scorso, quando
vennero compiuti, sotto la direzione di Guido Libertini, impegnativi lavori di
sbancamento.
A Cartagena, in Spagna, un quartiere bizantino aveva occupato l’area del teatro antico. Alla fine del secolo scorso sono stati avviati gli scavi per restituirlo alla collettività. Oggi rappresenta per la città un vero e proprio gioiello.
A Terracina, nel Lazio, il teatro romano, costruito però alla greca su una pendice, è venuto in luce durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale; era ricoperto da stratificazioni medievali e moderne che sono state rimosse in questi ultimi anni. Alla fine del 2023 è stato reinaugurato.
In altre località il teatro lo cercano da anni; a Messina, in particolare, tra la collina di Montepiselli e la collina del Cristo Re.
3. Una botta di teatro
Tucidide e Diodoro citano Centuripe
sempre in occasione di eventi bellici. Per almeno un secolo antagonista di
Siracusa, Centuripe si schiera sempre con i greci, infine sottomessa da
Timoleonte, nel 338 a.C., viene rifondata con nuovi coloni; alla morte di
Timoleonte, qualche anno dopo, la città cerca di riconquistare la propria
indipendenza da Siracusa appoggiando gli avversari di Agatocle, forse riuscendoci.
Con Gerone II, durante il III sec. a.C., i centuripini rivestono infine il
ruolo di alleati di Siracusa.
Questa pillola di
storia serve a capire, oltre al rapporto concorrenziale tra le due città,
perché sarà utilizzato a modello, nella ricerca del teatro di Centuripe, il
teatro greco di Siracusa. Non è accettabile che un antagonista abbia il teatro
più grande!
La cavea del teatro di
Siracusa, uno dei più grandi del mondo greco, aveva un diametro di 138,60 metri ed era in
origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella
roccia viva e divisi in 9 settori da scalinate. A metà altezza correva una
precinzione, il diazoma che la divideva in due settori. Le file superiori di gradini, oggi scomparse,
erano costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di
contenimento. L’inclinazione complessiva della cavea registrava una pendenza di
circa 20 gradi.
Nel caso centuripino,
tra le diverse opzioni suggerite dalla morfologia del territorio, per collocazione urbanistica, pendenza
dell’area, acustica, esposizione e accessibilità, una in particolare, oltre a
convincere più di altre, potrebbe intrinsecamente dimostrare come sia possibile
fare sparire un teatro greco.
L’elemento che, più di altri, ha favorito questa tesi è lo studio delle sezioni del declivio del quartiere moderno, che, al netto di case e muri di terrazzamento moderni, si attesta attorno ai 20 gradi di pendenza; guarda caso la medesima del teatro greco di Siracusa.
Se è vero che da
qualche parte bisognava pur cominciare, quale scelta migliore, se non il
quartiere centuripino recante nomi di poeti, letterati, drammaturghi, scrittori
e filosofi…
L’area della città tra la via Dante e il viale Leopardi, con dentro le vie Manzoni, Parini, Rapisardi, Pascoli, Alfieri, Mamiani, Macchiavelli, Moncada e vico Metastasio, ha un assetto urbanistico curvilineo che, apparentemente, sembra disegnato da naturali geometrie concentriche. Tutta la vallata che da via Dante scende giù per il declivio fin oltre il Viale Leopardi, al netto delle moderne costruzioni, dà piuttosto l’impressione di essere stata livellata e modellata per ottenere una cavea con il massimo della resa acustica e della capienza. Comunque è solo un’ipotesi.
Centuripe, che ha già tanto da offrire, e i centuripini, potrebbero perseguire la certezza che ci fosse anche qui, da qualche parte, il teatro antico, se non altro per confermare l’importanza della città nell’antichità e per pacificare gli animi di chi cerca ancora risposte.
Enzo Castiglione
domenica 5 marzo 2023
Damnatio memoriae Druso!
Damnatio memoriae Druso!
Tra
le sculture marmoree della ex collezione comunale del museo di Centuripe, con
numero d’inventario ka792, fa mostra di sé un busto marmoreo che, a differenza di altri ritratti, quasi tutti
provenienti dall’area degli augustali, è sempre rimasto a casa, a Centuripe. Gli
altri ritratti, vuoi per l’intraprendenza di alcuni centuripini, vuoi per
l’intraprendenza delle autorità, si sono dispersi in molteplici direzioni.
Qualcuno di essi ogni tanto ritorna, ma poi se ne parte di nuovo.
Questo ritratto, le cui dimensioni sono H:mt.0,39; L:mt.0,20; volto H:mt.0,25, invece è ormai da un secolo visionabile a Centuripe, forse perché parecchio rovinato e quindi non all’altezza(!) degli interessi più vari; infatti risulta difficile l’attribuzione certa ad un particolare personaggio. Ma siccome il presente testo non ha la pretesa di essere un contributo scientifico, cercheremo liberamente di formulare qualche ipotesi e capire se siamo di fronte ad un unicum.
Le descrizioni degli studiosi, che sin qui si sono occupati del ritratto, accennano alle notevoli scheggiature e alle abrasioni che lo caratterizzano, ma mai è stata mossa una ipotesi sul perché della loro presenza.
Senza
girarci troppo intorno, quelle inferte sul ritratto marmoreo sembrano delle
vere e proprie martellate; un vero e proprio accanimento, su quel volto, a
furor di pesanti martellate. Non si spiega altrimenti la sparizione del naso,
della bocca, delle orecchie, del mento, dello zigomo sinistro, delle arcate
sopraccigliari e infine la sbozzatura della massa dei capelli; quasi per
rendere, da un lato, irriconoscibile quel volto e, dall’altro, perché no,
favorirne il riutilizzo in qualche nuova opera muraria. La parte posteriore del
ritratto, infatti, conserva indelebile una ampia traccia di legante o malta, a
testimonianza di quale sia stato l’utilizzo ultimo del manufatto, così rimodulato
e rabberciato.
Queste operazioni sembrano, di fatto, il
risultato conseguente a una “Damnatio memoriae”, di cui sia andata perfino persa la
traccia storica dagli annali.
Damnatio memoriae significa letteralmente "condanna della memoria", ed era nel
diritto romano una pena, riservata soprattutto ai traditori del Senato,
consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una
determinata persona, come se essa non fosse mai esistita. Molto in voga durante
il periodo imperiale; i beneficiari sono stati innumerevoli. Resta da capire chi fosse questo personaggio
e di cosa si sia reso colpevole per suscitare così tanto risentimento, odio e accanimento?
2 - Una gioiosa
dinastia imperiale
I
primi cinque imperatori romani provengono tutti dalla dinastia Giulio-Claudia:
Ottaviano Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone. Ma nel gioco delle
successioni, come in un risiko, rientrano una molteplice quantità di parenti e
di “potenti”, che a una prima lettura possono essere motivo di ubriacatura anagrafica;
poi infine diventa tutto romanzo d’appendice, color rosso sangue.
Incastrati
nella vicenda vi sono i tre Drusi: Druso Maggiore fratello di Tiberio, Druso
Minore figlio legittimo di Tiberio e Druso Terzo, secondo figlio maschio di
Germanico, a sua volta figlio di Druso Maggiore.
Ma
andiamo con ordine. Il 4 d.C. Germanico, ormai da tredici anni orfano del padre
Druso Maggiore, viene adottato, su disposizione di Augusto, da Tiberio,
diventando così il più serio candidato alla successione imperiale. Lo stesso
anno vede inoltre l’unione tra Germanico e Agrippina Maggiore, unione da cui sarebbero
nati nove figli, due deceduti appena nati, un altro deceduto da infante, e gli
altri: Nerone Cesare, Druso Terzo, Gaio Cesare conosciuto anche come Caligola,
Giulia Agrippina, Giulia Livilla e Giulia Drusilla.
Il 14 d.C. muore
Augusto e Tiberio, che ha già 56 anni, diventa il nuovo imperatore di Roma. Il
19 d.C. Germanico, che si trovava ad Antiochia, si ammala e muore, non prima di
aver confessato ad Agrippina Maggiore, la fedele moglie che lo seguiva sempre
nelle campagne al fronte, la propria convinzione che era stato fatto avvelenare
da Tiberio; probabilmente per favorire il figlio legittimo Druso Minore nella
successione al trono. Intanto, nel gioco politico delle successioni, avanza la
propria candidatura il potente prefetto Seiano, amico e consigliere di Tiberio,
che decide intanto di colpire il successore diretto Druso Minore corteggiandone la moglie Livilla fino a portarla all’adulterio e corrompendo
Ligdo lo schiavo fedele di Druso Minore che somministra al suo padrone un lento
veleno che lo porta infine alla morte nel 23 d.C.. L’imperatore Tiberio si trova
quindi costretto a cercare il proprio successore tra i figli di Germanico, ma
Seiano, assetato di potere, è ancora li pronto a colpire il prossimo erede.
Infatti
dal 26 d.C. tutta la famiglia di Germanico inizia ad essere perseguitata da
Seiano con la complicità del mandante Tiberio. Nel 27 d.C. Agrippina Maggiore e
Nerone Cesare (non il futuro imperatore), suo primogenito, sono accusati di
tramare contro Tiberio. Il prefetto Seiano riesce anche a convincere anche il
secondo figlio di Agrippina Maggiore, Druso Terzo, istigando la sua invidia
verso il fratello Nerone, favorito della madre Agrippina, a rivoltarsi contro di
essi.
Nel
29 Nerone e sua madre Agrippina Maggiore furono processati, imprigionati ed
esiliati. Nei primi mesi del 31 Nerone Cesare muore, forse suicidato da Seiano. Tiberio, nomina quindi
Druso Terzo suo erede, ma ciò non basta a
salvare il giovane dalla furia omicida del ministro, deciso a eliminare con
ogni mezzo tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei suoi
progetti. Seiano usa ancora una volta l'arma della corruzione, e la sua nuova
vittima è Emilia Lepida la moglie di Druso Terzo. Emilia, cedendo alle lusinghe
di Seiano, accusa il marito d'ogni misfatto e nefandezza, compreso un tentativo
di sommossa armata. Druso viene arrestato e condannato sotto pesanti
imputazioni, raccolte da alcune spie che avevano avuto l'incarico di seguire i
suoi movimenti, di ascoltare i suoi discorsi e di registrarli in un apposito
diario. C'erano in quel diario tutte le sue imprecazioni contro Tiberio, le
accuse feroci e l'invocazione agli dèi perché facessero pagare al mostro
(Tiberio) tutti i suoi delitti. Druso Terzo, nel 33, ancora imprigionato, nelle
cantine del palazzo imperiale sul
Palatino, viene lasciato senza cibo. Al nono giorno di digiuno, dopo aver
tentato di sopravvivere divorando perfino il crine del pagliericcio, la sua
fibra cede e non scampa alla morte. Dopo la sua morte Tiberio fa esporre il suo
corpo in pubblico e infierisce senza alcuna pietà contro il defunto, presentandolo
come un depravato sessuale, carico d'odio verso i suoi e pericoloso nemico
dello stato. Non si ha certezza della pronuncia di damnatio memoriae in quella
drammatica circostanza, ma la violenza e la cattiveria del gesto compiuto da
Tiberio suscitano qualche sospetto in proposito. Basti sapere, come racconta
Svetonio, che i resti del giovane furono talmente dispersi, che sarà un’impresa,
in seguito, poterli raccogliere. Bisogna considerare inoltre che qualche resoconto,
da parte degli storici, contemporanei alla vicenda, è andato perduto.
Sarà solo l’intervento illuminato e
coraggioso di Antonia Minore, vedova di Druso Maggiore e nonna di Druso Terzo, che
riuscirà nell’arduo compito di fare rinsavire il crudele sanguinario e ormai rimbambito
imperatore Tiberio, fare perseguire e condannare il disonesto e corrotto prefetto
Seiano, e salvare così l’ultimo figlio di Germanico, Caligola, da quella
insensata carneficina.
3 – Damnatio memoriae, Drusus!
Il busto ka792, che è attualmente esposto presso il museo di Centuripe,
potrebbe essere un ritratto di Druso Terzo, il figlio di Germanico, ucciso a soli
25 anni, con crudeltà e disprezzo da Tiberio, e di cui è difficile trovare confronti
e riscontri.
Nella ritrattistica romana Druso Maggiore è molto presente e ne
conosciamo l’acconciatura e le caratteristiche somatiche. Dei tre figli maschi
di Germanico, Nerone Cesare, Druso III e Caligola, sappiamo quasi tutto; ma
solo Caligola vanta un repertorio molto numeroso di ritratti scultorei. Difatti
fu il terzo imperatore, succedette a Tiberio, quindi i suoi ritratti sono
ovviamente numerosi. Degli altri due figli di Germanico, considerata anche la
sorte alla quale andarono incontro per volontà di Tiberio, abbiamo un numero
irrisorio di ritratti. Sappiamo che i tratti somatici di Nerone Cesare,
soprattutto il naso erano simili al padre, Germanico, e la faccia era decorata
da una barba appena accennata sul perimetro del volto.
Uno splendido ritratto marmoreo in eccezionale stato di conservazione, attribuito
a Druso Germanico, è esposto al Museo Nazionale di Copenhagen. Fu ceduto al re di
Danimarca da Monsignor Capece Latro, arcivescovo di Taranto, ecclesiastico
antiborbonico, che si concedeva il lusso del collezionismo. Provengono, assieme ad un altro ritratto attribuito a
Germanico, anch’esso in eccezionale stato di conservazione, da Taranto; furono
rinvenuti con tutta probabilità nell’area dell’anfiteatro, che giace ancora sepolto.
Non a caso, i due bei ritratti di principi, sono esposti a Copenhagen l’uno
accanto all’altro.
Un altro busto, attribuito a Druso III, si trova a Grosseto presso il museo
archeologico e d'arte della Maremma, proveniente dall’area archeologica di
Roselle.
I due ritratti di Copenhagen e di
Grosseto, attribuiti entrambi allo stesso personaggio (Druso Germanico o Druso
III), oltre a non somigliarsi per niente, sembrano descrivere personaggi in età
più matura. Non bisogna dimenticare che gli ultimi tre anni di vita, per Druso
III, sono stati una tribolazione; quindi gli eventuali ritratti, che lo
rappresentino, dovrebbero risalire al 28-31 d.C. e dovrebbero descrivere il
volto di un giovane poco più che ventenne.
Queste attribuzioni un po' forzate, sono la conferma della difficoltà di
individuare il vero volto di questo sventurato giovane.
Dei due ritratti di Copenhagen, inoltre, quello attribuito a Germanico ha
le caratteristiche somatiche che lo
avvicinano, vedi il naso, al volto di Agrippina Maggiore; quindi il ritratto di
Copenhagen attribuito a Germanico potrebbe in realtà raffigurare non il padre
ma il figlio Druso Terzo.
Dall’accostamento e dal confronto tra il busto centuripino ka792 e questo
ritratto di Germanico proveniente da Taranto, si può cogliere con evidenza che
tratti e particolari sono interessanti per la similitudine delle fattezze e per
le caratteristiche delle esecuzioni.
Anche Bonacasa sosteneva che il ritratto centuripino, per le
caratteristiche e lo stile, poteva essere accomunato ai due ipotetici ritratti
di Germanico a Copenhagen.
Da esperienze virtuali, procedendo con martellate digitali sul volto
“tarantino” di Germanico e sottraendo da quel volto i medesimi tratti somatici
che nel volto centuripino sono andati distrutti, se ne ricava una incredibile
somiglianza; i tratti della bocca denotano la medesima espressione, la fronte
la stessa ampiezza, i bulbi oculari la medesima forma, gli zigomi e la
muscolatura facciale parlano la stessa lingua.
Recenti tesi ritengono che la
ritrattistica giulio-claudia centuripina sia indubbiamente contemporanea ai
personaggi raffigurati e quindi da collocare alla prima metà del I secolo d.C.;
se consideriamo le splendide condizioni nella quale sono arrivati sino a noi i
ritratti “centuripini” di Augusto, Germanico e Druso Minore, come potrebbe
spiegarsi, altrimenti, lo stato pietoso in cui è ridotto il ka792 ?
Sarebbe impensabile massacrare a
martellate un ritratto a meno che non ci siano motivi di forma maggiore. Quindi
se ne desume che il ritratto raffiguri Druso Terzo (o al limite un analogo
destinatario di damnatio memoriae), e
che in seguito alla sua condanna a morte e l’impietoso accanimento postumo
dell’imperatore Tiberio, il ritratto sia stato oggetto di particolari
attenzioni (martellate) per cancellarne i tratti somatici e reimpiegato come pietrame
da costruzione.
Incredibile
comunque che, malgrado la cattiveria di cui è stato vittima, i detrattori e
tutte le forme di disprezzo subite dalla persona raffigurata, questo ritratto
sia ancora qui a raccontare la sua storia, ed essere testimone del suo tempo e
dei nostri giorni.
Enzo Castiglione
Breve
bibliografia:
-
Bonacasa Nicola – Ritratti Greci e Romani della Sicilia, 1964 – Palermo;
-
Boschung Dietrich - Gens Augusta, 2002;
-
Publio Cornelio Tacito - Annales
-
Gaio Svetonio Tranquillo – Vita dei Cesari III - Tiberio
- Spinosa Antonio - Tiberio. L'imperatore che non amava Roma - Arnoldo Mondadori
Editore 1985;
- Portale Elisa Chiara, Un contributo “palermitano” al ciclo giulio-claudio di Centuripe –
Mare Internum 2020 – Fabrizio Serra Editore;
- Di Franco Luca - L’Arcivescovo Capece Latro e l’antico: collezionismo e ricerca antiquaria
nella Taranto di fine Settecento – Atti Convegno 2019;
- Fabbrini Laura – Il ritratto giovanile di Tiberio e la iconografia di Druso maggiore,
1964 - Bollettino d’Arte IV Serie;
venerdì 16 dicembre 2022
La collina e il federale
La
collina e il federale
1
– La collina
La collina centuripina su cui sorge la chiesetta dedicata a San Nicola, rappresenta la parte terminale della città di Centuripe in direzione sud - ovest. Oggi si presenta in modo parecchio appariscente, per via della notevole struttura edilizia, sulla parte terminale, che nel corso dell’ultimo secolo si è sviluppata accanto e tutt’intorno alla chiesetta, celando quest’ultima alla vista.
Filippo Ansaldi ci fa sapere che la parte terminale della collina, sulla sommità, ospitava all’inizio dell’ottocento il camposanto, e che il quartiere era quindi stato nominato “del camposanto”. In un precedente post “La chiesa, le cripte e l’ospite illustre” abbiamo già avuto modo di vedere che Don Giovanni Luigi Moncada aveva fatto donazione al Comune di dieci salme di terre, tutt’attorno al monte su cui si innalza la chiesa di San Nicola. Aveva fatto costruire a proprie spese un Camposanto, contiguo a detta chiesa, del quale fu ordinata l'apertura il 1 ottobre 1817, e che quindi fu benedetto ed aperto il 15 marzo 1818; aveva fornito inoltre, per il funzionamento e la cura del camposanto, anche una rendita annuale. Nella planimetria redatta, qualche decennio più tardi dall’Architetto Bonaventura De Marco, per il catasto borbonico, si legge chiaramente dove si trova allocato a quei tempi il camposanto a Centuripe. Anche l’Ansaldi annota la posizione del camposanto nella sua bozza planimetrica dell’abitato centuripino allegato al testo del tomo secondo.
La planimetria catastale di fine ottocento,
infine, riassume le strutture edilizie che erano state realizzate accanto alla
chiesa di San Nicola e che nel tempo erano state utilizzate come camera
mortuaria, alloggio per il custode o spazi comunque di asservimento per le
attività cimiteriali e religiose. Ma, quando fu redatta questa mappa catastale,
il camposanto lì non era più in uso, era stato realizzato ed era entrato in
funzione l’attuale cimitero.
L’aspetto e l’interesse archeologico di questa collina viene segnalato più volte dall’Ansaldi già nei testi delle sue ricerche: “Rimarchevoli son pure gli avanzi, che si osservano nelle terre censite del Camposanto, dalla parte d'oriente allorché furono verso il 1820, dissodate per piantarle a vigne, si rinvennero avanzi di antiche fabbriche, che in parte tutt'ora si osservano, varii pezzi di musaico, e diverse reliquie di statue di marmo, e fra queste una testa e nove mani tutte sinistre, che furono vendute ad uno straniero.” Ed anche le ricerche archeologiche più recenti o i bisbiglii dei tombaroli hanno rivelato interessanti tracce sia di insediamenti antichi che di notevoli sepolcri nell’area di San Nicola o nelle pendici limitrofi e sottostanti.
Vista pittorica di Centuripe (Royal Inniskilling Fusiliers)
Le ultime tracce di eventi storici sulla collina appartengono alla seconda guerra mondiale. Questa collina denominata sulle carte militari “church 708” è stata una delle roccaforti centuripine del 3° Reggimento “Fallschirmjäger” tedesco, che, tra la fine di luglio e il 2 agosto ’43, ha tenuto sotto scacco, per giorni, l’area a sud della città e la rotabile che sale da Catenanuova, bloccando così l’avanzata di otto battaglioni della 38a brigata inglese; malgrado pochi giorni prima, il 28 e il 31 luglio, anche questa collina, come il resto della città, fosse stata letteralmente sbranata dai bombardamenti ad opera dei Martin a30 Baltimore della NATAF, devastando la città e prelevando un alto tributo di sangue innocente.
2 – Il federale
Pietrangelo
Mammano nasce a Centuripe il 4 maggio 1906, è l’unico figlio del Cav. Salvatore
e di Maria D’Amico; Salvatore in seguito sposerà, dopo la morte della prima
moglie, la di lei sorella Anna.
Il nonno,
Cav. Pietrangelo (1834-1911?), è un ricco proprietario terriero centuripino,
molto religioso, benvoluto e affabile con tutti. Alla sua morte le immense
sostanze saranno equamente divise tra tutti i suoi numerosi figli. Ma il nipote
Pietrangelo classe 1906, a quanto pare, è l’unico nipote ed erede di questa
ricca fortuna; infatti gli zii e le zie sono quasi tutti celibi o senza figli.
Iscritto sin dal 1922 al fascio, aveva poi
percorso tutti i livelli di una irresistibile carriera all’interno del partito
fascista. Prima come segretario del gruppo universitario fascista, in seguito
segretario federale amministrativo; ma la sua personalità violenta e aggressiva
si manifestò come massimo esponente del fascismo catanese tanto da essere
definito “di gran lunga il peggiore di tutti i gerarchi” “l’implacabile custode
dell’ortodossia littoria”. Particolarmente fiero della sua enorme testa pelata
che lo faceva rassomigliare a Mussolini, aveva ricevuto l’incarico di segretario
federale l’8 gennaio 1937 in sostituzione del precedente segretario Zangàra
Vincenzo ed ebbe l’arroganza, addirittura, di prendere a calci l’ottantenne
senatore Gesualdo Libertini. Il terrore della via Etnea, schiaffeggiava senza
mezzi termini chi, al suo passaggio, non alzasse il braccio teso.
“Mai un
gerarca locale fu tanto temuto ed odiato. Le sue interferenze in tutta la
pubblica amministrazione creavano continui frizioni tra i vari organi della
stessa ed erano intollerabili. Uomo violento, manesco e corrotto, il suo
frequente ricorso a vie di fatto contro cittadini indifesi, l'esercizio di
potere illimitato e senza regole, la distribuzione capricciosa di cariche, di
favori e di prebende, lo rendevano inviso in tutti gli ambienti, compresi
quelli dello stesso P.N.F. Nella stanza accanto a quella del suo ufficio, nel
palazzo dei Chierici di piazza Duomo, dove aveva sede la federazione fascista,
teneva un letto dal quale dovevano passare le mogli dei postulanti, se davvero
questi volevano ottenere quello che chiedevano. Tutto ciò era ben noto in
città, ma io avevo una fonte privilegiata di informazione: un mio amico e
collega di università era impiegato amministrativo negli uffici della
federazione fascista e tutte le sere mi aggiornava sulle turpi vicende che si
svolgevano nella sede principale del P.N.F. catanese.” (Franco Pezzino -
Per non dimenticare)
Burocrate
in camicia nera, causò parecchi problemi alle istituzioni ecclesiastiche di
Acireale soprattutto per due questioni: gli asili gestiti da religiose e il distintivo di Azione
Cattolica. Dava con molta parsimonia l’ordine di cacciare via le suore,
sostituendole con alcune signorine della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Come
racconta padre Francesco Savia in una lettera indirizzata al vescovo:
“V.
Ecc. non ha bisogno di miei consigli, però, creda, sarebbe buono avvisare il
Santo Padre sul discorso anticlericale del federale a Linguaglossa che ha
incrinato l'accordo tra lo Stato e il Vaticano per avvisare il duce, il quale
son sicuro che se non lo manderà a riposo, gli darà una forte tirata di
orecchi. Passare sopra l'operato del federale nella nostra diocesi,
specialmente con la sostituzione delle suore negli asili di Linera e di
Acicatena, come mi ha riferito il mio parroco, sarebbe farlo diventare più
tracotante e nocivo alle nostre istituzioni cattoliche.”
Riguardo all'Azione Cattolica, il vescovo
raccontò che in alcune adunate il Segretario Federale, Pietrangelo Mammano, si
era permesso di dire che essa era "un
residuo del Partito Popolare", quindi bisognava "guardarsene e diffidarne": aggiunse
poi che la sede di Azione cattolica era stata prese di mira e si adoperavano
vari mezzi.
Un
accanimento particolare lo subì lo studente di giurisprudenza Michele
Pulvirenti, segretario della Giunta diocesana di Azione Cattolica, per un suo
scritto sul periodico diocesano la buona
novella, che il federale aveva
volutamente mal interpretato e che comporterà quasi la morte civile per il
giovane (senza tessera di partito era compromessa la carriera universitaria e
la partecipazione a pubblici concorsi). Chiaramente questo sopruso vendicativo
del cinico federale Mammana, nei confronti del fucino Pulvirenti, era palesemente
una violenza psicologica verso gli aderenti all'Azione Cattolica acese,
diffidati a non prendere iniziative negative verso il regime.
Ma la vicenda relativa alla Banca Cattolica di Caltagirone supera qualunque immaginazione. Il Mammano e lo Zangàra furono attirati dagli eccellenti affari che grazie all’ammasso volontario gravitavano da quelle parti ed i tentativi, leciti ed illeciti, di metterci le mani sopra furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’obbiettivo dichiarato era quello di estirpare l’ultima radice di Don Luigi Sturzo da Caltagirone, l’effetto ottenuto invece fu quello di essere defenestrati dalle loro funzioni, in quanto avevano agito arbitrariamente e stupidamente, recando un grave danno non solo alla vecchia banca ma anche al regime.
Mammano fu destituito dalla carica Il 19 dicembre del
1939, dopo il siluramento del segretario nazionale del P.N.F. Achille Starace.
La caduta di Mammano fece tirare un sospiro di sollievo ai catanesi che della
sua prepotenza proprio non ne potevano più. Il 25 gennaio 1940 gli veniva
ritirata anche la tessera fascista, con la seguente motivazione: “Nell’esercizio
delle sue funzioni che gli derivavano dalla sua carica politica, si rendeva
immeritevole di militare nei ranghi del P.N.F.
Il 24
agosto 1942, Mammano rimase vittima di una disgrazia; durante un allarme aereo,
si trovava nella sua autorimessa dove aveva accumulato riserve di benzina
illegalmente accaparrata in violazione delle norme sul razionamento.
L’accensione di un lume, a seguito degli oscuramenti, provocò un violento
incendio che causò all’ex federale gravissimi ustioni. La morte lo colse
qualche giorno dopo.
Il federale Mammano fu reso famoso, dopo la sua morte, dagli scritti di Vitaliano Brancati e principalmente dal racconto Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949, dove non è difficile cogliere nel federale Pietro Capàno episodi di cui Pietrangelo Mammano era stato protagonista.
3 – L’ente morale
Sulla
collina intanto gli angusti locali, adiacenti la chiesetta di San Nicola, dopo
la dismissione del camposanto, erano stati utilizzati come aule scolastiche; nel
1932 diventano argomento di discussione per la creazione di un ospizio.
Negli anni
precedenti, ai poveri e derelitti di Centuripe, aveva pensato mastro Luciano
Cacia, un centuripino che della carità aveva fatto una propria missione di vita;
egli aveva messo a loro disposizione gratuitamente un piccolo alloggio con un
paio di stanze, di cui era proprietario. La missione civile di mastro Luciano
aveva commosso e ispirato il Can. Antonino Mammana, che individuò, negli
angusti locali del comune, presso la chiesa di San Nicola e nella fattibilità
di fare gestire un ospizio per i poveri, alle suore bocconiste di Palermo, la
possibilità di dare un aiuto significativo alle fatiche di mastro Luciano.
Ne parlò
con il Podestà, Geom. Cav. Bonomo Giuseppe, che a sua volta, accogliendo la lodevole
iniziativa, accettò di donare quei locali comunali e l’area dell’ex camposanto per
la organizzazione di un ospizio di mendicità per i poveri. Era un primo piccolo
ma significativo passo. Il 5 giugno 1932, giunsero da
Palermo quattro Suore Bocconiste, accompagnate dal Can. Mammana, che si
insediarono nella modesta ed angusta casa; i primi poveri ad essere trasferiti
a San Nicola e a ricevere le loro cure
furono proprio quelli di mastro Luciano.
Ad essi si aggiunsero presto altri mendicanti, uomini e donne. Gli anni
immediatamente a seguire furono caratterizzati da mille difficoltà; gli spazi in
quei locali erano insufficienti, il cibo e i mezzi di sussistenza scarseggiavano,
mentre le richieste di assistenza e ricovero aumentavano.
La svolta
sul futuro dell’umile ospizio arrivò subito dopo la fatidica data dell’agosto
del ‘42. Un tragico lutto, come abbiamo
saputo, si era abbattuto sulla famiglia del cav. Salvatore Mammano. L'unico
figlio, Pietrangelo, il federale, era morto tragicamente all'età di 36 anni.
Tutta la famiglia Mammano era rimasta sconvolta dall'immatura scomparsa
dell'unico erede d'immense sostanze. Si poneva il problema della successione
delle proprietà e dei beni; alla fine
Prospero convinse i propri fratelli Salvatore, Antonino, e le proprie sorelle Rosaria,
Antonietta e Graziella a donare tutti i loro beni all'Ospizio di S. Nicola in
Centuripe.
Le
disposizioni testamentarie dei fratelli Mammano furono nella sostanza identiche;
lasciarono la nuda proprietà dei loro beni immobili all'Ospizio di San Nicola,
riservandosi per sé e per i propri congiunti, fino alla morte, l'usufrutto. Lo
scopo di queste generose donazioni fu l'istituzione a San Nicola di una Pia
Opera, intitolata allo sfortunato federale:« Fondazione Pietrangelo Mammano - D'Amico
».
Il clero e la nuova classe politica
improntata alla fede cristiana che, da quel federale, tante bastonate avevano
ricevuto, a fronte del pesante fardello di disperazione dei congiunti del
Mammano e soprattutto dei loro denari, avevano accettano subdolamente di
tenersi a ricordo perenne proprio quel personaggio i cui comportamenti estremi furono
non solo causa di danni morali, umiliazioni, dolore e disperazione per un
numero infinito di uomini e donne, ma motivo perfino di una defenestrazione da
quella organizzazione che lo aveva reso per anni potente e intoccabile. La
nemesi della storia capovolta dalla nemesi del denaro.
Secondo i testamenti,
le finalità della Fondazione dovevano essere l’ampliamento e gestione immediata e perpetua dell'attuale Ospizio di
mendicità di Centuripe, la costruzione di un orfanotrofio, di un ospedale
medico-chirurgico e di un asilo per incurabili deformi e deficienti di mente,
in Centuripe.
La Fondazione inoltre veniva affidata al Pio Ordine religioso, Serve dei Poveri,
e Prospero Mammano veniva designato Presidente a vita dell'Amministrazione e
Direttore tecnico per la costruzione
dell'Orfanotrofio ed altro da eseguirsi dalla Fondazione.
Il Prefetto di Enna, allo scopo di rendere la Fondazione
partecipe dei benefici assistenziali previsti dalla legge, nominò provvidenzialmente Commissario
prefettizio, il 18 febbraio del 1946, il medesimo comm. geom. Prospero Mammano;
fu realizzata la prima ala ad est del complesso edilizio e furono costruiti tre
grandi saloni-dormitorio.
Con
decreto del 27 settembre 1950, n. 171, il Presidente della Regione, Franco
Restivo, elevava ad Ente Morale la « Fondazione Pietrangelo Mammano - D’Amico »,
rinfrancando, in questo modo, anche il nome del federale di quell’integrità
morale che esso non aveva coltivato in vita.
Negli anni
a seguire, altre donazioni di aree, da parte del Comune, consentirono la
edificazione degli altri locali ad ovest e a sud della terrazza, fino
all’ottenimento del notevole complesso
edilizio che è possibile ammirare oggi. Paradossalmente le
donazioni del Principe di Paternò Giovanni
Luigi Moncada al comune di Centuripe, perfino la sua tumulazione dentro la
chiesetta di San Nicola, sono ormai svaniti. Però al comune rimane il compiacimento
di due posti di minoranza nel consiglio di amministrazione della Fondazione.
L’ente morale, intanto, può darsi che continui a perseguire gli scopi prefissati dal lascito testamentario; ma dentro non ci sono più i poveri, non ci sono gli orfanelli, non c’è l’ospedale medico-chirurgico, non c’è mai stato; forse il federale, a sua insaputa, anche questa volta ha fatto una vittima.
Enzo Castiglione
Breve Bibliografia di
riferimento:
- - Ansaldi Filippo – Memorie storiche di
Centuripe – Edigraf, 1981
- - Libertini Guido - Centuripe - Città aperta,1926
- - Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.8
1940
- - Annali del fascismo – febbraio 1940
- - Vitaliano Brancati - Il bell’Antonio -
Bompiani, 1949
- - Chilanti Felice - Ma chi è questo Milazzo? – Parenti
editore,1959
- - Mammana Salvatore – Cenni storici sulla Pia
Opera, 1965
- - Gallo Concetto memorie 1974
- - Nicolosi Pietro - 50 anni di cronaca
siciliana - Flaccovio, 1975
- - Pezzino Franco - Per non dimenticare - C.U.E.C.M., 1992
- - Saporita Felice – Eia, eia, eia, alalà! : Acireale nel ventennio fascista - Acireale : Accademia degli zelanti e dei dafnici, 2010
- - Milazzo Nino – Acireale nel ventennio fascista, 2010
- - Pagano Maria Chiara – Il fascio e la croce. Clero e classi dirigenti ad Acireale fra le due guerre – Lulu, 2012