La
collina e il federale
1
– La collina
La collina centuripina su cui sorge la chiesetta dedicata a San Nicola, rappresenta la parte terminale della città di Centuripe in direzione sud - ovest. Oggi si presenta in modo parecchio appariscente, per via della notevole struttura edilizia, sulla parte terminale, che nel corso dell’ultimo secolo si è sviluppata accanto e tutt’intorno alla chiesetta, celando quest’ultima alla vista.
Filippo Ansaldi ci fa sapere che la parte terminale della collina, sulla sommità, ospitava all’inizio dell’ottocento il camposanto, e che il quartiere era quindi stato nominato “del camposanto”. In un precedente post “La chiesa, le cripte e l’ospite illustre” abbiamo già avuto modo di vedere che Don Giovanni Luigi Moncada aveva fatto donazione al Comune di dieci salme di terre, tutt’attorno al monte su cui si innalza la chiesa di San Nicola. Aveva fatto costruire a proprie spese un Camposanto, contiguo a detta chiesa, del quale fu ordinata l'apertura il 1 ottobre 1817, e che quindi fu benedetto ed aperto il 15 marzo 1818; aveva fornito inoltre, per il funzionamento e la cura del camposanto, anche una rendita annuale. Nella planimetria redatta, qualche decennio più tardi dall’Architetto Bonaventura De Marco, per il catasto borbonico, si legge chiaramente dove si trova allocato a quei tempi il camposanto a Centuripe. Anche l’Ansaldi annota la posizione del camposanto nella sua bozza planimetrica dell’abitato centuripino allegato al testo del tomo secondo.
La planimetria catastale di fine ottocento,
infine, riassume le strutture edilizie che erano state realizzate accanto alla
chiesa di San Nicola e che nel tempo erano state utilizzate come camera
mortuaria, alloggio per il custode o spazi comunque di asservimento per le
attività cimiteriali e religiose. Ma, quando fu redatta questa mappa catastale,
il camposanto lì non era più in uso, era stato realizzato ed era entrato in
funzione l’attuale cimitero.
L’aspetto e l’interesse archeologico di questa collina viene segnalato più volte dall’Ansaldi già nei testi delle sue ricerche: “Rimarchevoli son pure gli avanzi, che si osservano nelle terre censite del Camposanto, dalla parte d'oriente allorché furono verso il 1820, dissodate per piantarle a vigne, si rinvennero avanzi di antiche fabbriche, che in parte tutt'ora si osservano, varii pezzi di musaico, e diverse reliquie di statue di marmo, e fra queste una testa e nove mani tutte sinistre, che furono vendute ad uno straniero.” Ed anche le ricerche archeologiche più recenti o i bisbiglii dei tombaroli hanno rivelato interessanti tracce sia di insediamenti antichi che di notevoli sepolcri nell’area di San Nicola o nelle pendici limitrofi e sottostanti.
Vista pittorica di Centuripe (Royal Inniskilling Fusiliers)
Le ultime tracce di eventi storici sulla collina appartengono alla seconda guerra mondiale. Questa collina denominata sulle carte militari “church 708” è stata una delle roccaforti centuripine del 3° Reggimento “Fallschirmjäger” tedesco, che, tra la fine di luglio e il 2 agosto ’43, ha tenuto sotto scacco, per giorni, l’area a sud della città e la rotabile che sale da Catenanuova, bloccando così l’avanzata di otto battaglioni della 38a brigata inglese; malgrado pochi giorni prima, il 28 e il 31 luglio, anche questa collina, come il resto della città, fosse stata letteralmente sbranata dai bombardamenti ad opera dei Martin a30 Baltimore della NATAF, devastando la città e prelevando un alto tributo di sangue innocente.
2 – Il federale
Pietrangelo
Mammano nasce a Centuripe il 4 maggio 1906, è l’unico figlio del Cav. Salvatore
e di Maria D’Amico; Salvatore in seguito sposerà, dopo la morte della prima
moglie, la di lei sorella Anna.
Il nonno,
Cav. Pietrangelo (1834-1911?), è un ricco proprietario terriero centuripino,
molto religioso, benvoluto e affabile con tutti. Alla sua morte le immense
sostanze saranno equamente divise tra tutti i suoi numerosi figli. Ma il nipote
Pietrangelo classe 1906, a quanto pare, è l’unico nipote ed erede di questa
ricca fortuna; infatti gli zii e le zie sono quasi tutti celibi o senza figli.
Iscritto sin dal 1922 al fascio, aveva poi
percorso tutti i livelli di una irresistibile carriera all’interno del partito
fascista. Prima come segretario del gruppo universitario fascista, in seguito
segretario federale amministrativo; ma la sua personalità violenta e aggressiva
si manifestò come massimo esponente del fascismo catanese tanto da essere
definito “di gran lunga il peggiore di tutti i gerarchi” “l’implacabile custode
dell’ortodossia littoria”. Particolarmente fiero della sua enorme testa pelata
che lo faceva rassomigliare a Mussolini, aveva ricevuto l’incarico di segretario
federale l’8 gennaio 1937 in sostituzione del precedente segretario Zangàra
Vincenzo ed ebbe l’arroganza, addirittura, di prendere a calci l’ottantenne
senatore Gesualdo Libertini. Il terrore della via Etnea, schiaffeggiava senza
mezzi termini chi, al suo passaggio, non alzasse il braccio teso.
“Mai un
gerarca locale fu tanto temuto ed odiato. Le sue interferenze in tutta la
pubblica amministrazione creavano continui frizioni tra i vari organi della
stessa ed erano intollerabili. Uomo violento, manesco e corrotto, il suo
frequente ricorso a vie di fatto contro cittadini indifesi, l'esercizio di
potere illimitato e senza regole, la distribuzione capricciosa di cariche, di
favori e di prebende, lo rendevano inviso in tutti gli ambienti, compresi
quelli dello stesso P.N.F. Nella stanza accanto a quella del suo ufficio, nel
palazzo dei Chierici di piazza Duomo, dove aveva sede la federazione fascista,
teneva un letto dal quale dovevano passare le mogli dei postulanti, se davvero
questi volevano ottenere quello che chiedevano. Tutto ciò era ben noto in
città, ma io avevo una fonte privilegiata di informazione: un mio amico e
collega di università era impiegato amministrativo negli uffici della
federazione fascista e tutte le sere mi aggiornava sulle turpi vicende che si
svolgevano nella sede principale del P.N.F. catanese.” (Franco Pezzino -
Per non dimenticare)
Burocrate
in camicia nera, causò parecchi problemi alle istituzioni ecclesiastiche di
Acireale soprattutto per due questioni: gli asili gestiti da religiose e il distintivo di Azione
Cattolica. Dava con molta parsimonia l’ordine di cacciare via le suore,
sostituendole con alcune signorine della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Come
racconta padre Francesco Savia in una lettera indirizzata al vescovo:
“V.
Ecc. non ha bisogno di miei consigli, però, creda, sarebbe buono avvisare il
Santo Padre sul discorso anticlericale del federale a Linguaglossa che ha
incrinato l'accordo tra lo Stato e il Vaticano per avvisare il duce, il quale
son sicuro che se non lo manderà a riposo, gli darà una forte tirata di
orecchi. Passare sopra l'operato del federale nella nostra diocesi,
specialmente con la sostituzione delle suore negli asili di Linera e di
Acicatena, come mi ha riferito il mio parroco, sarebbe farlo diventare più
tracotante e nocivo alle nostre istituzioni cattoliche.”
Riguardo all'Azione Cattolica, il vescovo
raccontò che in alcune adunate il Segretario Federale, Pietrangelo Mammano, si
era permesso di dire che essa era "un
residuo del Partito Popolare", quindi bisognava "guardarsene e diffidarne": aggiunse
poi che la sede di Azione cattolica era stata prese di mira e si adoperavano
vari mezzi.
Un
accanimento particolare lo subì lo studente di giurisprudenza Michele
Pulvirenti, segretario della Giunta diocesana di Azione Cattolica, per un suo
scritto sul periodico diocesano la buona
novella, che il federale aveva
volutamente mal interpretato e che comporterà quasi la morte civile per il
giovane (senza tessera di partito era compromessa la carriera universitaria e
la partecipazione a pubblici concorsi). Chiaramente questo sopruso vendicativo
del cinico federale Mammana, nei confronti del fucino Pulvirenti, era palesemente
una violenza psicologica verso gli aderenti all'Azione Cattolica acese,
diffidati a non prendere iniziative negative verso il regime.
Ma la vicenda relativa alla Banca Cattolica di Caltagirone supera qualunque immaginazione. Il Mammano e lo Zangàra furono attirati dagli eccellenti affari che grazie all’ammasso volontario gravitavano da quelle parti ed i tentativi, leciti ed illeciti, di metterci le mani sopra furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’obbiettivo dichiarato era quello di estirpare l’ultima radice di Don Luigi Sturzo da Caltagirone, l’effetto ottenuto invece fu quello di essere defenestrati dalle loro funzioni, in quanto avevano agito arbitrariamente e stupidamente, recando un grave danno non solo alla vecchia banca ma anche al regime.
Mammano fu destituito dalla carica Il 19 dicembre del
1939, dopo il siluramento del segretario nazionale del P.N.F. Achille Starace.
La caduta di Mammano fece tirare un sospiro di sollievo ai catanesi che della
sua prepotenza proprio non ne potevano più. Il 25 gennaio 1940 gli veniva
ritirata anche la tessera fascista, con la seguente motivazione: “Nell’esercizio
delle sue funzioni che gli derivavano dalla sua carica politica, si rendeva
immeritevole di militare nei ranghi del P.N.F.
Il 24
agosto 1942, Mammano rimase vittima di una disgrazia; durante un allarme aereo,
si trovava nella sua autorimessa dove aveva accumulato riserve di benzina
illegalmente accaparrata in violazione delle norme sul razionamento.
L’accensione di un lume, a seguito degli oscuramenti, provocò un violento
incendio che causò all’ex federale gravissimi ustioni. La morte lo colse
qualche giorno dopo.
Il federale Mammano fu reso famoso, dopo la sua morte, dagli scritti di Vitaliano Brancati e principalmente dal racconto Il bell’Antonio, pubblicato nel 1949, dove non è difficile cogliere nel federale Pietro Capàno episodi di cui Pietrangelo Mammano era stato protagonista.
3 – L’ente morale
Sulla
collina intanto gli angusti locali, adiacenti la chiesetta di San Nicola, dopo
la dismissione del camposanto, erano stati utilizzati come aule scolastiche; nel
1932 diventano argomento di discussione per la creazione di un ospizio.
Negli anni
precedenti, ai poveri e derelitti di Centuripe, aveva pensato mastro Luciano
Cacia, un centuripino che della carità aveva fatto una propria missione di vita;
egli aveva messo a loro disposizione gratuitamente un piccolo alloggio con un
paio di stanze, di cui era proprietario. La missione civile di mastro Luciano
aveva commosso e ispirato il Can. Antonino Mammana, che individuò, negli
angusti locali del comune, presso la chiesa di San Nicola e nella fattibilità
di fare gestire un ospizio per i poveri, alle suore bocconiste di Palermo, la
possibilità di dare un aiuto significativo alle fatiche di mastro Luciano.
Ne parlò
con il Podestà, Geom. Cav. Bonomo Giuseppe, che a sua volta, accogliendo la lodevole
iniziativa, accettò di donare quei locali comunali e l’area dell’ex camposanto per
la organizzazione di un ospizio di mendicità per i poveri. Era un primo piccolo
ma significativo passo. Il 5 giugno 1932, giunsero da
Palermo quattro Suore Bocconiste, accompagnate dal Can. Mammana, che si
insediarono nella modesta ed angusta casa; i primi poveri ad essere trasferiti
a San Nicola e a ricevere le loro cure
furono proprio quelli di mastro Luciano.
Ad essi si aggiunsero presto altri mendicanti, uomini e donne. Gli anni
immediatamente a seguire furono caratterizzati da mille difficoltà; gli spazi in
quei locali erano insufficienti, il cibo e i mezzi di sussistenza scarseggiavano,
mentre le richieste di assistenza e ricovero aumentavano.
La svolta
sul futuro dell’umile ospizio arrivò subito dopo la fatidica data dell’agosto
del ‘42. Un tragico lutto, come abbiamo
saputo, si era abbattuto sulla famiglia del cav. Salvatore Mammano. L'unico
figlio, Pietrangelo, il federale, era morto tragicamente all'età di 36 anni.
Tutta la famiglia Mammano era rimasta sconvolta dall'immatura scomparsa
dell'unico erede d'immense sostanze. Si poneva il problema della successione
delle proprietà e dei beni; alla fine
Prospero convinse i propri fratelli Salvatore, Antonino, e le proprie sorelle Rosaria,
Antonietta e Graziella a donare tutti i loro beni all'Ospizio di S. Nicola in
Centuripe.
Le
disposizioni testamentarie dei fratelli Mammano furono nella sostanza identiche;
lasciarono la nuda proprietà dei loro beni immobili all'Ospizio di San Nicola,
riservandosi per sé e per i propri congiunti, fino alla morte, l'usufrutto. Lo
scopo di queste generose donazioni fu l'istituzione a San Nicola di una Pia
Opera, intitolata allo sfortunato federale:« Fondazione Pietrangelo Mammano - D'Amico
».
Il clero e la nuova classe politica
improntata alla fede cristiana che, da quel federale, tante bastonate avevano
ricevuto, a fronte del pesante fardello di disperazione dei congiunti del
Mammano e soprattutto dei loro denari, avevano accettano subdolamente di
tenersi a ricordo perenne proprio quel personaggio i cui comportamenti estremi furono
non solo causa di danni morali, umiliazioni, dolore e disperazione per un
numero infinito di uomini e donne, ma motivo perfino di una defenestrazione da
quella organizzazione che lo aveva reso per anni potente e intoccabile. La
nemesi della storia capovolta dalla nemesi del denaro.
Secondo i testamenti,
le finalità della Fondazione dovevano essere l’ampliamento e gestione immediata e perpetua dell'attuale Ospizio di
mendicità di Centuripe, la costruzione di un orfanotrofio, di un ospedale
medico-chirurgico e di un asilo per incurabili deformi e deficienti di mente,
in Centuripe.
La Fondazione inoltre veniva affidata al Pio Ordine religioso, Serve dei Poveri,
e Prospero Mammano veniva designato Presidente a vita dell'Amministrazione e
Direttore tecnico per la costruzione
dell'Orfanotrofio ed altro da eseguirsi dalla Fondazione.
Il Prefetto di Enna, allo scopo di rendere la Fondazione
partecipe dei benefici assistenziali previsti dalla legge, nominò provvidenzialmente Commissario
prefettizio, il 18 febbraio del 1946, il medesimo comm. geom. Prospero Mammano;
fu realizzata la prima ala ad est del complesso edilizio e furono costruiti tre
grandi saloni-dormitorio.
Con
decreto del 27 settembre 1950, n. 171, il Presidente della Regione, Franco
Restivo, elevava ad Ente Morale la « Fondazione Pietrangelo Mammano - D’Amico »,
rinfrancando, in questo modo, anche il nome del federale di quell’integrità
morale che esso non aveva coltivato in vita.
Negli anni
a seguire, altre donazioni di aree, da parte del Comune, consentirono la
edificazione degli altri locali ad ovest e a sud della terrazza, fino
all’ottenimento del notevole complesso
edilizio che è possibile ammirare oggi. Paradossalmente le
donazioni del Principe di Paternò Giovanni
Luigi Moncada al comune di Centuripe, perfino la sua tumulazione dentro la
chiesetta di San Nicola, sono ormai svaniti. Però al comune rimane il compiacimento
di due posti di minoranza nel consiglio di amministrazione della Fondazione.
L’ente morale, intanto, può darsi che continui a perseguire gli scopi prefissati dal lascito testamentario; ma dentro non ci sono più i poveri, non ci sono gli orfanelli, non c’è l’ospedale medico-chirurgico, non c’è mai stato; forse il federale, a sua insaputa, anche questa volta ha fatto una vittima.
Enzo Castiglione
Breve Bibliografia di
riferimento:
- - Ansaldi Filippo – Memorie storiche di
Centuripe – Edigraf, 1981
- - Libertini Guido - Centuripe - Città aperta,1926
- - Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.8
1940
- - Annali del fascismo – febbraio 1940
- - Vitaliano Brancati - Il bell’Antonio -
Bompiani, 1949
- - Chilanti Felice - Ma chi è questo Milazzo? – Parenti
editore,1959
- - Mammana Salvatore – Cenni storici sulla Pia
Opera, 1965
- - Gallo Concetto memorie 1974
- - Nicolosi Pietro - 50 anni di cronaca
siciliana - Flaccovio, 1975
- - Pezzino Franco - Per non dimenticare - C.U.E.C.M., 1992
- - Saporita Felice – Eia, eia, eia, alalà! : Acireale nel ventennio fascista - Acireale : Accademia degli zelanti e dei dafnici, 2010
- - Milazzo Nino – Acireale nel ventennio fascista, 2010
- - Pagano Maria Chiara – Il fascio e la croce. Clero e classi dirigenti ad Acireale fra le due guerre – Lulu, 2012