martedì 6 giugno 2017

Domenico Sestini - Gita a Centorbi, maggio 1776.


Domenico Sestini, archeologo e numismatico italiano (Firenze1750 - 1832) . 
https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Sestini


TOMO II - Lettera VI
    Nella quale l'autore relaziona di un nuovo viaggio che egli ha fatto da Catania ad Aragona, terre del principe Biscari, e alla città di Centorbi.
 da Catania, il 12 Maggio 1776

Signore,
 Circa un anno fa vi parlai di un viaggio che io feci ad Aragona, signoria del Principe  di  Biscari, con due architetti, per vedere le rovine di un acquedotto che portava l'acqua in alcuni campi di questa  terra, per irrigarli.  Sono  stato  invitato a  fare questo viaggio dallo stesso  Principe con il  quale  ho lasciato Catania all'alba, il 7 di questo mese.  Suo  figlio  maggiore, il suo  secondo figlio che è Ecclesiastico e suo fratello il Barone  di Recalcacci, si sono uniti a noi.
Viaggiare con i ricchi è, senza dubbio, la cosa più bella del mondo. Mi sono trovato completamente circondato da staffieri (lacchè) e altre persone in livrea, che ho quasi  avuto 
l'ambizione di dimenticare la mediocrità alla quale la sorte mi ha condannato.
Dopo aver fatto sette miglia, o due leghe e un terzo di Fancia,  siamo passati dal villaggio di Monister Bianco, che è il titolo del luogo principale di un Ducato. Abbiamo lasciato a sinistra un villaggio, chiamato Motta di San Anastasio, dove si vede su una roccia una fortezza  costruita  da Re Ruggero. Poi passammo da un villaggio molto grande, chiamato Mal passo, che ora è abbandonato,   non ho visto altro che muri di abitazioni, ancora rovinate in parte. E' stata la cattiva aria che ha allontanano gli abitanti da questo luogo; ma essi hanno portato con  loro  il  nome  della loro vecchia dimora, e si sono stabiliti sulla dorsale del Monte Gibel, e hanno dato il nome Malpasso al loro nuovo villaggio, che non è che a tre miglia o una lega dall’ex.
La campagna sembrava così  rinverdita, da questo grano di qualità  molto  fine  quasi  maturo, da cui era ricoperta. L'orzo comincia a prendere un colore dorato, e così che infatti in alcuni luoghi viene raccolto. Quando ci siamo avvicinati al castello di Paternò, ho trovato una grande quantità di questa pianta chiamata consolida regalis. Che è il symphitum officinale de Linnée, e che era   sul punto di sbocciare. Dopo aver raggiunto Paternò, ho visto dove cuocevano intonaco di calce che è tratto da alcune montagne che sono al di là del Fiume grande, o il grande fiume, posto presso Paternò. Ho trovato spesso fra quei pezzi di intonaco, talco, sostanza che è comunemente nota come lo specchio degli asini. Siamo arrivati ​​intorno all'ora di pranzo sulle terre di Aragona: trovando il tempo giusto, e dotato di appetito necessario per mettersi a tavola, non abbiamo pensato ad altro che alla cena. Io vi confesso in buona fede che ho riempito molto bene il mio ruolo, è forse una parte degli altri.
Dopo cena, Siamo andati a vedere le riparazioni che avevano  fatto all’acquedotto di cui vi avevo parlato all’inizio della mia lettera, che aveva per oggetto la ricostruzione del centro di una grande arcata sotto la quale passa un torrente.


Louis Jean Desprez - Acquerello e incisione, che raffigurano il medesimo acquedotto, per il Voyage pittoresque à Naples et en Sicilie posseduti dall'Abate di Saint-Non.  
  

La mattina seguente, non volevo perdere l’opportunità di andare a Centorbi, che altre volte  ho chiamato Centurupi, perché non avevo potuto vedere questa città che da lontano, durante il viaggio che feci l’anno scorso in queste contrade. Monsignor Biscari si è unito a noi; e una volta montati a cavallo, abbiamo guadato il fiume, che nominiamo Fiume Salso, o   fiume salato, e che Polibio chiamava Cyamastrum. Comincia a Realbuto; e poi si getta  nel Fiume grande, chiamato il Fiume d’Adernò, e ancora prima Adrano, affluisce infine nel Simeto. Questi due fiumi separano le terre del Principe di Biscari dai suoi vicini, formando una specie di penisola.

Ma po’ ch’io fui appiè d’un colle giunto.
Vale a dire appena sono arrivato ai piedi della collina, il mio asino è caduto, come si dice in Italia. Il mio cavallo è caduto quindi considerando che doveva stare per lungo tempo ai margini di un precipizio, da dove si riusciva a malapena a vedere il fondo:
A guardar la, era cosa obscura.
Questo difficile percorso è stato di quasi un miglio o un terzo di lega di lunghezza. Ma le cose sono andate meglio di quanto io avessi presunto; e ho avuto l’opportunità di vedere lungo la strada l’Achilaca de Linnée, e questa pianta viene chiamata Brassica Sylvestris perfogliata, e la Brassica arvensis de Linnée: quest’ultima era in quantità molto grandi. Ho visto un sacco di Teucrium Boeticum (Teucrium fruticans de Linnée), e una specie di Vulneraria rustica o piuttosto un Onobrichis (Antyllis vulneraria de Linnée). Ho raccolto tutte queste piante per la mia collezione, che aumenta notevolmente. Arrivammo infine, dopo alcune ore di cammino, sulla cima della montagna, isolata da tutti i lati, su cui sorge la città di Centorbi.
Le valli che vedevo sottostanti, erano tutte ben fornite, e qualcuna anche molto piacevole da vedere, considerando i vigneti di cui erano ricoperti, E sono tutti piantati con allineamenti alla distanza ordinaria di due braccia l'una dall'altra. E’ per questa ragione che la gente di questo paese è stata definita Summi  Aratores. A quanto pare  conservano ancora gli antichi diritti per il loro bel titolo.
Appena fummo scesi da cavallo, mentre molti abitanti di Centorbi venivano a complimentarsi con Monsignor l’abate di Biscari, abbiamo espresso il desiderio di vedere le antichità della loro antica città. Siamo stati condotti nella chiesa principale, che è servita da dodici canonici e da sei cappellani. Lì non abbiamo visto niente di notevole, tranne alcune colonne e qualche capitello e altri frammenti di marmo, resti della magnificenza degli antichi Centuripini: questi detriti sono stati incorporati nella facciata della chiesa.
Ci hanno portato a vedere un edificio chiamato volgarmente la Dogana, oppure la Douane. E’ una porta antica tra due pareti. Presumo sia stata una porta dell’antica città, che aveva conservato il nome di dogana, di cui vi ho appena detto,  dove esigevano piccole somme per il diritto d’ingresso. Vi è una porta tale a Catania, nominata della decima, porta della decima, per la stessa ragione.
A poca distanza da questo luogo, abbiamo rilevato resti di mura  molto  spesse, chiamate la  Panneria, ho pensato che siano la continuazione delle mura antiche della città; ma poi ho notato che queste mura potrebbero anche essere stati un tempo parte di alcuni edifici particolari,  addossati contro quelle stesse mura, come indicato da tracce di volte che non esistono più, credo di dover spiegare il nome panneria, che diamo oggi a queste rovine, facendo riferimento al nome latino pannerium, che indica il luogo dove vendevano il pane: e se per azzardo ho riscontrato il giusto, si potrà dire che sia stato il forno pubblico.
       Ho notato vicino a queste mura tombe antiche: le due bare di piombo che sono conservati nel museo del Principe di Biscari, a Catania, e di cui vi ho parlato l'anno scorso in una delle mie lettere, sono state scoperte qui.  Dopo aver visto diverse cose, siamo andati a esaminare qua e la diversi ruderi di edifici antichi, sia pubblici che privati, tutti erano costruiti di mattoni cotti, della lunghezza e della larghezza di un braccio o di due piedi è  mezzo.
        Fuori città, a una certa distanza, abbiamo notato  alla estremità di una valle, i resti di una torre, chiamata la torre di Corradino, che trascuriamo di visitare, perché l’ora di cena si avvicinava.  Alcuni dei principali abitanti di Centorbi, che avevano voluto dare segni del loro affetto a Monsignor Biscari, si sono uniti a noi, e hanno voluto accompagnarci fino al suo castello. Così hanno fatto procedere avanti due campieri, soldati della campagna, per una maggiore sicurezza.
Il medico della città, uomo molto onesto, e con molte conoscenze, si è unito a noi; ma non ha parlato d’altro che di medicina per tutto il cammino, citando gli aforismi d’ippocrate: ho pensato che volesse interpretare il ruolo del suo antico collega Apuleius Celso, celebre medico. Quanto a noi che godiamo  di buona salute, e che non abbiamo alcuna malattia di natura ipocondriaca, da far guarire, potete ben supporre il piacere che ci ha procurato fino ad Aragona, dove ci ha accompagnato: ma è ripartito subito dopo con tutti gli altri.
Volevo destinare il resto della giornata ha una raccolta di piante, ma la pioggia mi ha costretto a rimanere in casa, dove mi sono divertito molto per le stravaganze di Ferrau, leggendo  il Ricciardetto.
Alle 9  di mattina, sono andato in un villaggio chiamato Carcaci, che è il titolo di un Ducato, e il cui territorio confina con la terra di Ragona. Non ho visto niente che fosse degno della minima attenzione. Mi trovavo    in serata nei pressi del luogo dove hanno riparato l'acquedotto, di cui vi ho già parlato, volevo raccogliere su qualche olivo mosche e coleotteri (meloe vessicatorius), sulla quale ho già voluto scrivere una lettera il primo marzo di quest’anno. Venerdì mattina,  10  corrente, siamo tornati tutti insieme alla ricostruzione dell'acquedotto.
Vedemmo nei pressi di tale contrada le rovine di un antico castello, che ho nominato il Castellaccio, per questa ragione. Era quadrato e affiancato ai suoi quattro angoli di torri rotonde, uguali a quelli che è possibile osservare in gran numero in Sicilia, e che si dice siano costruzioni Normanne. Le torri sono state costruite dai Normanni, dopo aver sconfitto i saraceni. L'architetto che avevamo portato con noi nel frattempo ha preso le misure dell’acquedotto, per fare un disegno di questo monumento alla magnificenza del Principe Biscari. Spero che un giorno lo vediate inciso, e la descrizione stampata. Poi siamo tornati a casa nostra, e, dopo cena, ripartimmo per tornare a Catania, dove siamo arrivati all'una di notte.
Ho già avuto l'onore di dirvi all'inizio di questa lettera che abbiamo fatto questo piccolo viaggio con un gran numero di domestici, e che, per questo motivo, non siamo stati privati delle comodità della vita. A  dire la verità, le cose sono andate bene, ma questi benefici non hanno contribuito a evitare un paio di disastri, o almeno un paio di inquietudini, e il gran numero di valletti ne è stato spesso la causa. Non voglio raccontarvi il pericolo che ho corso, per colpa delle nostre guide, di annegare attraversando il fiume che scorre sotto Paternò, perché una volta che il pericolo è passato, un piccolo tuffo diventa oggetto di scherzo.
       Ciò che più ci ha  colpiti ritornando a Catania, era il ricordo del pericolo che aveva corso il Principe dopo aver superato la barca di Paternò. La lettiera in cui si trovava con il signor Barone di Recalcacci, suo fratello, si rovesciò, e rotolò a lungo in un punto molto ripido, ma anche se, grazie a Dio, non  è successo niente a questi sfortunati signori,  la nostra paura non fu meno grande. Non eravamo ancora arrivati che altre piccole avventure ci attendevano durante il nostro viaggio; ma non sapendo ancora se saranno considerati come uno scherzo, o credute come verità, mi dispenso dal riferirvene. Tuttavia,  vi invito a continuarmi la vostra stima e amicizia. Certo dei miei sinceri sentimenti per voi.
(versione tradotta dal francese Enzo Castiglione)


   Il pregevole guazzo di Jean Houel  ritrae lo scenografico Acquedotto di Ragona alle falde dell’Etna, fatto costruire, tra il 1765 e il 1777, da Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari per portare l’acqua nel suo feudo. Fu distrutto nel 1785 dalle piene del Simeto.




   
 




  

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