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TOMO II - Lettera VI
Nella quale
l'autore relaziona di un nuovo viaggio che egli ha fatto da Catania ad Aragona,
terre del principe Biscari, e alla città di Centorbi.
da
Catania, il 12 Maggio 1776
Signore,
Circa un anno fa vi parlai di un viaggio che io feci
ad Aragona, signoria del Principe di Biscari, con due architetti, per vedere le rovine di un acquedotto che portava l'acqua in alcuni campi di questa terra, per
irrigarli. Sono stato invitato a fare questo viaggio dallo stesso
Principe con il quale ho lasciato Catania all'alba, il 7 di questo mese. Suo figlio maggiore, il suo secondo
figlio che è Ecclesiastico e suo fratello il Barone di Recalcacci, si sono
uniti a noi.
Viaggiare con i ricchi è, senza dubbio, la cosa più bella del mondo.
Mi sono trovato completamente circondato da staffieri (lacchè) e altre
persone in livrea, che ho quasi avuto
l'ambizione di dimenticare la mediocrità alla quale la sorte
mi ha condannato.
Dopo aver
fatto sette miglia, o due leghe e un terzo di Fancia, siamo passati dal villaggio di Monister Bianco, che è il titolo del
luogo principale di un Ducato. Abbiamo lasciato a sinistra un villaggio,
chiamato Motta di San Anastasio, dove si
vede su una roccia una fortezza costruita da Re Ruggero. Poi passammo da
un villaggio molto grande, chiamato Mal passo, che ora è abbandonato,
non ho visto altro che muri di
abitazioni, ancora rovinate in parte. E' stata la cattiva aria che ha
allontanano gli abitanti da questo luogo; ma essi hanno portato
con loro il nome della loro vecchia dimora, e si sono stabiliti sulla dorsale del Monte Gibel, e hanno dato
il nome Malpasso al loro nuovo villaggio, che non è che a tre miglia o una
lega dall’ex.
La campagna sembrava così
rinverdita, da questo grano di
qualità molto fine quasi maturo, da cui era ricoperta. L'orzo comincia a prendere un colore dorato, e così
che infatti in alcuni luoghi viene raccolto. Quando ci siamo
avvicinati al castello di Paternò, ho trovato una grande quantità
di questa pianta chiamata consolida
regalis. Che è il symphitum
officinale de Linnée, e che era sul punto di sbocciare. Dopo aver raggiunto Paternò, ho
visto dove cuocevano intonaco di calce che è tratto da alcune montagne che sono al di là del
Fiume grande, o il grande fiume, posto presso Paternò. Ho trovato spesso fra quei pezzi di intonaco, talco,
sostanza che è comunemente nota
come lo specchio degli asini. Siamo arrivati intorno all'ora di
pranzo sulle terre di Aragona:
trovando il tempo giusto, e dotato di appetito
necessario per mettersi a tavola, non abbiamo pensato ad altro che alla cena.
Io vi confesso in buona fede che ho riempito molto
bene il mio ruolo, è forse una parte degli altri.
Dopo cena, Siamo andati a vedere le riparazioni che avevano fatto all’acquedotto di cui vi avevo parlato
all’inizio della mia lettera, che aveva per oggetto la ricostruzione del centro
di una grande arcata sotto la quale passa un torrente.
Louis Jean Desprez - Acquerello e incisione, che raffigurano il medesimo acquedotto, per il Voyage pittoresque à Naples et en Sicilie posseduti dall'Abate di Saint-Non.
La mattina seguente, non volevo perdere l’opportunità
di andare a Centorbi, che altre volte
ho chiamato Centurupi, perché non avevo potuto vedere questa città che da
lontano, durante il viaggio che feci l’anno scorso in queste contrade. Monsignor Biscari si è unito a noi; e
una volta montati a cavallo, abbiamo guadato il fiume, che nominiamo Fiume Salso, o fiume
salato, e che Polibio chiamava Cyamastrum. Comincia a Realbuto; e poi si getta nel Fiume grande, chiamato il Fiume d’Adernò, e ancora prima Adrano, affluisce infine nel Simeto. Questi due fiumi separano le
terre del Principe di Biscari dai suoi vicini, formando una specie di penisola.
Ma po’ ch’io
fui appiè d’un colle giunto.
Vale a dire appena sono arrivato ai piedi
della collina, il mio asino è caduto, come si dice in Italia. Il mio cavallo è caduto quindi considerando
che doveva stare per lungo tempo ai margini di un precipizio, da dove si
riusciva a malapena a vedere il fondo:
A guardar la, era cosa obscura.
Questo difficile percorso è stato di quasi un miglio
o un terzo di lega di lunghezza. Ma le cose sono andate meglio di quanto io
avessi presunto; e ho avuto l’opportunità di vedere lungo la strada l’Achilaca de Linnée, e questa pianta
viene chiamata Brassica Sylvestris
perfogliata, e la Brassica arvensis
de Linnée: quest’ultima era in quantità molto grandi. Ho visto un sacco di
Teucrium Boeticum (Teucrium fruticans de
Linnée), e una specie di Vulneraria
rustica o piuttosto un Onobrichis
(Antyllis vulneraria de Linnée). Ho
raccolto tutte queste piante per la mia collezione, che aumenta notevolmente.
Arrivammo infine, dopo alcune ore di cammino, sulla cima della montagna,
isolata da tutti i lati, su cui sorge la città di Centorbi.
Le valli che vedevo sottostanti, erano tutte ben fornite,
e qualcuna anche molto piacevole da vedere, considerando i vigneti di cui erano
ricoperti, E sono tutti piantati
con allineamenti alla distanza ordinaria di due braccia l'una dall'altra. E’ per
questa ragione che la gente di questo paese è stata definita Summi Aratores. A quanto pare conservano ancora gli antichi diritti per il
loro bel titolo.
Appena fummo
scesi da cavallo, mentre molti abitanti di Centorbi
venivano a complimentarsi con Monsignor
l’abate di Biscari, abbiamo espresso il desiderio di vedere le antichità
della loro antica città. Siamo stati condotti nella chiesa principale, che è servita da dodici
canonici e da sei cappellani. Lì non abbiamo visto niente di notevole, tranne
alcune colonne e qualche capitello e altri frammenti di marmo, resti della
magnificenza degli antichi Centuripini: questi detriti sono stati incorporati nella facciata della chiesa.
Ci hanno
portato a vedere un edificio chiamato volgarmente la Dogana, oppure la Douane.
E’ una porta antica tra due pareti. Presumo sia stata una porta dell’antica
città, che aveva conservato il nome di dogana, di cui vi ho appena detto, dove esigevano piccole somme per il diritto
d’ingresso. Vi è una porta tale a Catania, nominata della decima, porta della decima, per la stessa ragione.
A poca
distanza da questo luogo, abbiamo rilevato resti di mura molto spesse,
chiamate la Panneria, ho pensato che siano la continuazione delle
mura antiche della città; ma poi ho notato che queste mura potrebbero anche
essere stati un tempo parte di alcuni edifici particolari, addossati contro quelle stesse mura, come
indicato da tracce di volte che non esistono più, credo di dover spiegare il
nome panneria, che diamo oggi a
queste rovine, facendo riferimento al nome latino pannerium, che indica il luogo dove vendevano il pane: e se per azzardo
ho riscontrato il giusto, si potrà dire che sia stato il forno pubblico.
Ho notato vicino a
queste mura tombe antiche: le due bare di piombo che sono conservati nel museo
del Principe di Biscari, a Catania, e di cui vi ho parlato l'anno
scorso in una delle mie lettere, sono state scoperte qui. Dopo aver visto diverse cose, siamo andati a esaminare
qua e la diversi ruderi di edifici antichi, sia pubblici che privati, tutti
erano costruiti di mattoni cotti, della lunghezza e della larghezza di un
braccio o di due piedi è mezzo.
Fuori città, a una
certa distanza, abbiamo notato alla estremità
di una valle, i resti di una torre, chiamata la torre di Corradino, che trascuriamo di visitare, perché l’ora di
cena si avvicinava. Alcuni dei
principali abitanti di Centorbi, che
avevano voluto dare segni del loro affetto a Monsignor Biscari, si sono uniti a noi, e hanno voluto
accompagnarci fino al suo castello. Così hanno fatto procedere avanti due campieri, soldati della campagna, per
una maggiore sicurezza.
Il medico della città, uomo molto onesto, e con molte conoscenze, si è
unito a noi; ma non ha parlato d’altro che di medicina per tutto il cammino,
citando gli aforismi d’ippocrate: ho pensato che
volesse interpretare il ruolo del suo antico collega Apuleius Celso, celebre medico. Quanto a noi che godiamo di buona salute, e che non abbiamo alcuna
malattia di natura ipocondriaca, da far guarire, potete ben supporre il piacere
che ci ha procurato fino ad Aragona,
dove ci ha accompagnato: ma è ripartito subito dopo con tutti gli altri.
Volevo
destinare il resto della giornata ha una raccolta di piante, ma la pioggia mi
ha costretto a rimanere in casa, dove mi sono divertito molto per le stravaganze
di Ferrau, leggendo il Ricciardetto.
Alle 9 di mattina, sono andato in
un villaggio chiamato Carcaci, che è
il titolo di un Ducato, e il cui territorio confina con la terra di Ragona. Non ho visto niente che fosse
degno della minima attenzione. Mi trovavo
in serata nei pressi del luogo
dove hanno riparato l'acquedotto, di cui vi ho già parlato, volevo raccogliere su
qualche olivo mosche e coleotteri (meloe
vessicatorius), sulla quale ho già voluto scrivere una lettera il primo
marzo di quest’anno. Venerdì mattina, 10
corrente, siamo tornati tutti insieme alla
ricostruzione dell'acquedotto.
Vedemmo nei pressi di tale contrada le rovine di un antico castello, che
ho nominato il Castellaccio, per
questa ragione. Era quadrato e affiancato ai suoi quattro angoli di torri
rotonde, uguali a quelli che è possibile osservare in gran numero in Sicilia, e che si
dice siano costruzioni Normanne. Le torri sono state costruite dai Normanni,
dopo aver sconfitto i saraceni. L'architetto che avevamo portato con noi nel
frattempo ha preso le misure dell’acquedotto, per fare un disegno di questo
monumento alla magnificenza del Principe Biscari. Spero che un giorno lo
vediate inciso, e la descrizione stampata. Poi siamo tornati a casa nostra, e,
dopo cena, ripartimmo per tornare a Catania, dove siamo arrivati all'una di
notte.
Ho già avuto l'onore di dirvi all'inizio di questa lettera che abbiamo
fatto questo piccolo viaggio con un gran numero di domestici, e che, per questo
motivo,
non siamo stati privati delle comodità della vita. A dire la verità, le cose sono andate bene, ma questi benefici
non hanno contribuito a evitare un paio di disastri, o almeno un paio
di inquietudini, e il gran numero di valletti ne è stato spesso la causa. Non
voglio raccontarvi il pericolo che ho corso, per colpa delle nostre guide, di
annegare attraversando il fiume che scorre sotto Paternò, perché una volta che
il pericolo è passato, un piccolo tuffo diventa oggetto di scherzo.
Ciò che più ci ha colpiti ritornando a Catania, era il ricordo del
pericolo che aveva corso il Principe dopo aver superato la barca di Paternò. La
lettiera in cui si trovava con il signor Barone di Recalcacci, suo fratello, si
rovesciò, e rotolò a lungo in un punto molto ripido, ma anche se, grazie a Dio,
non è successo niente a questi sfortunati signori,
la nostra paura non fu meno grande. Non
eravamo ancora arrivati che altre piccole avventure ci attendevano durante il
nostro viaggio; ma non sapendo ancora se saranno considerati come uno scherzo,
o credute come verità, mi dispenso dal riferirvene. Tuttavia, vi invito a continuarmi la vostra stima e
amicizia. Certo dei miei sinceri sentimenti per voi.
(versione tradotta dal francese Enzo Castiglione)
Il pregevole guazzo di Jean Houel ritrae lo scenografico Acquedotto di Ragona alle falde dell’Etna, fatto costruire, tra il 1765 e il 1777, da Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari per portare l’acqua nel suo feudo. Fu distrutto nel 1785 dalle piene del Simeto.
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