La Chiesa, le cripte e l’ospite illustre
I fatti e le circostanze che determinano gli
avvenimenti storici sono, a volte, così complicati e controversi, che lasciano
ai posteri, più che l’ardua sentenza,
un misto di incredulità e mistero.
I seguenti avvenimenti, riletti e indagati, attraversano
gli ultimi tre secoli della storia recente di Centuripe. Contemporaneo, nonché
testimone diretto, di alcuni fatti di cui si farà cenno, fu lo storico
centuripino Filippo Ansaldi; egli, infatti li appuntò nella bozza del tomo II delle memorie storiche di Centuripe,
ma purtroppo morì il 25 luglio 1874, prima di poterli pubblicare.
Sono arrivati sino a noi, grazie al centuripino
Prospero Cacia che riuscì nell’incredibile impresa di rintracciare, dopo cento anni, il manoscritto
originale del tomo II, e, poi,
pubblicare nel 1981, in un unico volume arricchito e aggiornato con le sue note,
tutti gli scritti su Centuripe dell’Ansaldi.
Dalla storia
della città, da prima che venisse distrutta ad opera di Federico II nel 1233 e
poi da Carlo d’Angiò nel 1268, e poi dal lento ripopolamento del 1408 fino a
tutto il XVI secolo, niente trapela sui luoghi deputati alla sepoltura dei
morti.
Le vicende
hanno inizio nel secolo XVII: nel 1627 (gli abitanti a Centuripe sono 800) la
famiglia Moncada, proprietaria della contea, finanzia la costruzione della
Chiesa di Santa Maria la Stella (oggi Chiesa di Sant’Agostino) sui ruderi
dell’antico castello; passano appena quarant’anni e al popolo centuripino (ormai
prossimo ai 2000 individui) necessita un tempio più capiente per le
celebrazioni e i sacramenti. Per cui iniziano nel 1668 i lavori per la
costruzione della nuova Chiesa.
L’area prescelta per edificare la nuova costruzione, fu uno slargo che avanzando con un pendio leggero verso nord e con una più accentuata pendenza verso est ed ovest, era attraversato dall’unica stradina che, percorrendo il crinale della collina, raggiungeva il convento degli agostiniani nel punto più alto a sud.
Uno spazio urbano, peraltro, già occupato dai cospicui ruderi dell’antica città; difatti, ancora un secolo dopo la costruzione della chiesa, sono ancora visibili , e il pittore Jean Houel non può fare a meno di descriverli: “Dans le parvis on voit des débris de temples ce sont des tronçons de colonnes, dont les uns sont lisses, & les autres à cannelures pleines, selon la manière des Romains; un beau chapiteau d’ordre Ionique, de très-bon goût ; des portion d’architraves & de frises, qui sont éparses ça & là, & qui attestent par leur beaùté la magnificence dont cette ville a été autresois.” “Sul sacrato ho visto ruderi di templi: tronconi di colonne, sia lisci che a scanalature piene, secondo l’uso dei Romani; un bel capitello di ordine ionico, di buon gusto; pezzi di architravi e di fregi sono sparsi dappertutto e attestano, per la loro bellezza, la magnificenza di questa città in altri tempi”.
L’area prescelta per edificare la nuova costruzione, fu uno slargo che avanzando con un pendio leggero verso nord e con una più accentuata pendenza verso est ed ovest, era attraversato dall’unica stradina che, percorrendo il crinale della collina, raggiungeva il convento degli agostiniani nel punto più alto a sud.
Uno spazio urbano, peraltro, già occupato dai cospicui ruderi dell’antica città; difatti, ancora un secolo dopo la costruzione della chiesa, sono ancora visibili , e il pittore Jean Houel non può fare a meno di descriverli: “Dans le parvis on voit des débris de temples ce sont des tronçons de colonnes, dont les uns sont lisses, & les autres à cannelures pleines, selon la manière des Romains; un beau chapiteau d’ordre Ionique, de très-bon goût ; des portion d’architraves & de frises, qui sont éparses ça & là, & qui attestent par leur beaùté la magnificence dont cette ville a été autresois.” “Sul sacrato ho visto ruderi di templi: tronconi di colonne, sia lisci che a scanalature piene, secondo l’uso dei Romani; un bel capitello di ordine ionico, di buon gusto; pezzi di architravi e di fregi sono sparsi dappertutto e attestano, per la loro bellezza, la magnificenza di questa città in altri tempi”.
La scelta progettuale ed esecutiva previde, piuttosto che creare un pianoro abbassando le quote più alte, di utilizzare i dislivelli del terreno per livellare il piano di calpestio della chiesa alla quota più alta, ottenendo così degli utili volumi tecnici: le cripte. Una planimetria di questi sotterranei probabilmente non è mai stata redatta, ma sappiamo che solitamente le cripte occupavano, nelle chiese, gli spazi sottostanti il transetto e gli altari maggiori, e potevano estendersi anche nelle navate; una cosa comunque è certa: per tutto il XVIII secolo le sepolture, a Centuripe, avverranno in quegli ambienti, tranne il periodo in cui saranno utilizzati, a Centuripe come nel resto della Sicilia, solo gli spiazzi esterni delle chiese, a seguito della controversia liparitana.
Occorre
registrare a questo punto due importanti avvenimenti:
1) il 15 marzo 1800 nasce a Centuripe Filippo
Ansaldi, che dedicherà gran parte della propria vita alla ricerca e raccolta
dei dati storici ed archeologici della
sua città natale, e sarà, a modo suo, un cronista del suo tempo;
2) il 12 giugno 1804 viene emanato l’editto napoleonico di Saint-Cloud, il quale stabilisce
nuove regole inerenti le sepolture, e tra l’altro, che non potranno più avere
luogo generalmente dentro alcuno degli edifici dove i cittadini si riuniscono
per la celebrazione dei loro culti, né dentro i recinti di città e borghi. Stabilisce,
inoltre, che vengano istituiti fuori dalle mura cittadine e in luoghi arieggiati
terreni consacrati alla inumazione dei morti. Tale editto fu poi esteso alle
provincie del Regno d’Italia Il 5 settembre 1806.
Don Giovanni Luigi Moncada Ruffo, nacque a Palermo il 22
aprile 1743, era figlio di Francesco Rodrigo Moncada e
di Donna Giuseppa Ruffo, ed era successore diretto di Gugliemo Raimondo VI
Moncada che aveva ottenuto il 4 ottobre del 1501 il privilegio di rifondare
Centuripe. Alla morte del padre, avvenuta in Palermo il 17 dicembre 1763, era
divenuto, in quanto unico figlio vivente su sei, il 9° Principe di Paternò, il titolare
di una trentina di altri titoli, nonché 13° Conte di Adernò e Conte e Signore
di Centuripe e Biancavilla. Aveva sposato in prime nozze, il 12 dicembre 1761,
Donna Agata Branciforte (morta quarantaduenne e dalla quale aveva avuto nove
figli), e in seconde nozze, il 19 ottobre 1793, Donna Giovanna Maria del Bosco
(dalla quale ebbe tre figli).
Filippo
Ansaldi, che verificò “in diretta” alcuni avvenimenti, descrisse così il Moncada:
“Don Luigi Moncada Principe di
Paternò, padrone di questa contea, trovandosi nell'anno 1815 qui in Centuripe, mostrò ai Centuripini la sua magnanimità con vari atti che qui
giova indicare. Donò a
questo Comune il carcere,
che era di sua proprietà. Fece a proprie spese cavare, nell'ex feudo Criscinotto … un'acqua sorgiva, che venne chiamata acqua
nuova. Fece, similmente con proprio denaro, spianar perché allora impraticabile, la strada che conduce in Catenanova. … una donazione soscrisse di onze 100 all'anno in favore di questo medesimo Comune, per doversi
impiegare cioè: onze 60 per acconci e costruzioni di strade, onze 36 per pensioni annuali di un medico, di un chirurgo e di un
farmacista, per servizio de' poveri, ed onze 4 da pagarsi ad un servente addetto a girar le strade ed,
osservandosi de' guasti,
riferirlo alla Deputazione che … doveva curare la buona tenuta delle stesse e lo adempimento inoltre delle sue disposizioni. … lo stesso Principe di Paternò fece
donazione alla Comune di salme dieci misura legale terre, che all'intorno cingono il monte su cui la
chiesa di San Nicolo
s'innalza.
Fece similmente costruire a proprie
spese un Campo-santo, contiguo a detta chiesa di san Nicolò, del quale fu ordinata l'apertura col real rescritto del 1 ottobre 1817, e fu
benedetto ed in fatti aperto nel 15 marzo 1818. Egli, colle sue generosità, si era reso,
come abbiamo detto, benemerito a questa popolazione principalmente allorché qui volle per qualche tempo dimorare.
Ai funerali del Moncada,
Filippo Ansaldi dedica l’intero Capo VII del libro III del tomo II.
“Don Giovanni Luigi Moncada Ruffo ed Aragona,
Principe di Paternò, gentiluomo di camera di
Sua Maestà, cavaliere del real ordine di San Gennaro, grande di Spagna di prima classe, morì a Catania nel 27 agosto 1827, in età di ottantaquattro anni, ed il suo
cadavere, come egli stesso aveva
pria di morire ordinato, fu condotto in Centorbi, ond'esser sepolto nella chiesa del campo-santo, che egli aveva
fatto costruire non solo, ma anche
avea convenientemente fornito di un'annuale rendita. I Centuripini accolsero la mortale spoglia del
benefattor loro con tutti i contrassegni del più acerbo dolore. Ne celebrarono
i funerali in questa collegiata madre
chiesa, ove all'uopo fu eretto un magnifico tumulo e una orazione funebre fu dal canonico don Giuseppe
Dolei recitata e quindi, vestiti a lutto, processionalmente lo condussero al
campo-santo, nella cui
chiesa lo seppellirono.”
A distanza di
parecchi anni, la memoria di questo grande benefattore, era ancora talmente
viva che il canonico centuripino don Michele Stella nel 1841 né pubblicò un
elogio funebre, annotando inoltre: “...che
gli abitanti del nostro
Comune non potranno cancellare dai loro cuori le famiglie sollevate, i grandi debiti rilasciati,
gl'infelici soccorsi, l'intero Comune arricchito e protetto e che questo suolo deve a lui la sua
ristaurazione e la sua
floridezza.”
Finanziò e fece
costruire, dunque, il camposanto attiguo alla chiesa di San Nicolò, che consentì
ai centuripini, nel rispetto della legge, di porre fine ai seppellimenti in
chiesa.
Donna Maria Agata
Moncada, classe 1803, la più giovane dei figli di Gian Luigi, aveva intanto sposato
il 6 aprile del 1820 Carlo Filangieri, che era figlio del grande filosofo
illuminista Gaetano, e che divenne anche Presidente dei Ministri a Napoli nel
1859. L’unico maschio, dei quattro figli
nati da questo matrimonio, Gaetano Filangieri Jnr, dedicò completamente gli studi, alla raccolta, catalogazione e
conservazione di opere artistiche e storiche, soggiornò a lungo tra Parigi e le altre capitali
europee, e nel 1888 fondò a Napoli il
Museo Civico Filangieri, che poi donò alla città. Ereditò, tra l’altro, dal
padre i titoli di Principe di Satriano e Duca di
Taormina e fu vice Presidente della Società di Storia Patria, Consigliere della Consulta Araldica e Presidente
del Museo da lui fondato.
Quindi, uomo di grandi
risorse economiche e di grande cultura, nel 1864 si interessò a fare innalzare una sontuosa lapide
nella navata sinistra, tra i primi due altari, della Chiesa Madre in Centuripe.
Gaetano, che aveva solo tre anni quando morì il nonno materno, adesso a quarant’anni,
con gli interessi che coltivava e le certezze che aveva, tutto poteva essere fuorché uno sprovveduto.
L’epitaffio, meditato, che fece incidere nella monumentale lapide, era dedicato
alla memoria della nonna Giovanna, della
madre Agata, morta due anni prima, e del nonno Gian Luigi Moncada Ruffo; ma,
piuttosto che solo alla memoria, l’indicazione per il nonno era molto più
precisa: QUI RIPOSA.
Può darsi che,
volendo dare più visibilità ai suoi cari, il Filangieri potrebbe aver voluto
apporre la lapide nella chiesa più importante, piuttosto che nella piccola ed
emarginata chiesetta di San Nicolò? Oppure, aveva semplicemente acquistato “il
diritto” a traslare e seppellire il nonno nella Madre Chiesa, dato che il
campo-santo di San Nicolò, dopo mezzo secolo, era ormai al limite della
capienza e già si pensava di costruire il nuovo cimitero?
L’Ansaldi, che
aveva già descritto i funerali del Moncada nel 1827, e aveva annotato anche la
posa di questa lapide nel 1864, non aggiunse spiegazione alcuna. E’ risaputo
che, malgrado l’editto di Saint Cloud,
nell’ottocento le famiglie più nobili abbiano conservato il privilegio
di sepoltura nelle chiese, e, può darsi, che l’Ansaldi non condividesse tali
privilegi, o semplicemente può essergli sfuggito che le spoglie mortali del Principe
siano poi state spostate da un’altra parte.
“Il
pavimento è con bel disegno formato di grandi lastre di pietra bianca. Di tale
pietra è pure in bel disegno costruito il suo prospetto.” Nel 1905 le pietre bianche, del pavimento
della Chiesa Madre, lasciano il posto alle lastre di un moderno pavimento in
marmo. Successivamente, nel 1992 le sottili lastre di marmo del 1905 vengono sostituite,
ma viene rimosso anche il sottostrato, per consolidare il nuovo pavimento. Ed ecco che l’antico cimitero riemerge
in tutta la sua drammatica spettralità, numerose cripte colme di resti umani affiorano
dappertutto: lungo la navata sinistra, sotto il transetto e sotto l’altare
dell’Immacolata.
Una coincidenza,
strana ma non tanto, salta subito fuori: una bara è sistemata con cura
proprio sotto la lapide del Principe, dentro vi sono i resti di un distinto
signore in abiti ottocenteschi. Indossa un vestito scuro di velluto o fustagno,
un copricapo cò giummu e un elegante
panciotto nero chiuso da piccoli bottoni, sopra una camicia chiusa da
cravattino.
Che siano i resti del Principe a riposare in quella bara non
vi è certezza assoluta; certo è, però, che presso la chiesetta di San Nicolò non
c’è nessuna traccia della sepoltura di Don Gian Luigi Moncada, l’unica lapide
riguarda un certo Epifanio Dolei. Voce di popolo, già un secolo fa, mormorava
che il Principe di Paternò fosse sepolto proprio nella Chiesa Madre, è, a
volte, la voce di popolo contiene più verità di qualsiasi cronista storico.
Attualmente, a Centuripe, una modesta via senza targa, è
intitolata sulla mappa ai Moncada; e, ad esclusione della lapide in chiesa
voluta dalla famiglia, il magnanimo benefattore Don Gian Luigi Moncada non fa più
parte della memoria storica collettiva. Ciò che elargì in vita, alla città e ai
suoi cittadini, non ha evitato che fosse, da ambedue, inesorabilmente dimenticato.
Enzo Castiglione
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