La "carta" di Guido
Guido Libertini, archeologo nato il 27 giugno 1888 a
Palermo e morto a Roma il 7 ottobre 1953, si laureò in Legge a Siena nel 1909 e
in Lettere a Firenze nel 1914, conseguì la libera docenza in Archeologia nel
1922; nel 1923 ottenne l'incarico nell'Università di Catania e, nel 1926, ne
divenne titolare per concorso. Divenne anche preside della Facoltà (1937-39 e 1944-47) e
rettore (1947-50).
Guido Libertini
Ricoprì
numerose cariche di grande prestigio: Direttore della Scuola italiana
archeologica di Atene, Professore
di Archeologia romana all'Università di Budapest, Direttore del Museo civico di
Catania, Presidente della Società di Storia Patria per la Sicilia orientale,
Presidente del Centro Studi di letteratura cristiana antica. Fu anche nominato,
con delibera di Giunta Municipale del 30 settembre 1951, Direttore
dell’Antiquarium di Centuripe.
Nel 1926 diede alle stampe una interessante monografia su Centuripe che colmava un vuoto di carattere scientifico. Venivano pubblicati, finalmente, i
monumenti dell’antica città assieme ad un opportuno studio topografico.
Per la compilazione del volume, Libertini, eseguì ulteriori indagini nella casa
ellenistica (già scavata nel 1907 ma ricoperta da frane negli anni successivi) nonché
saggi ed esplorazioni negli edifici termali dei bagni e dell’acqua amara, nel
mausoleo denominato dogana, nei muri della panneria e del fondo Castiglione e in
altri siti antichi. Inoltre incluse nella pubblicazione la trattazione dei
prodotti locali dei vasai e dei coroplasti fino ad allora in parte ignorati.
Recentemente
(2003) il volume è stato ristampato, a cura dell’amministrazione comunale, ma l’impaginazione
di alcune tavole grafiche, relative ai monumenti, differisce dalla versione originale.
Alla monografia Guido Libertini ritenne utile
e doveroso allegare una carta topografica della città e del
territorio circostante: prendeva vita la
seconda carta archeologica di Centuripe dopo quella redatta e pubblicata, come abbiamo visto, da Jean Houel circa 150
anni prima.
Riferendosi
alla carta topografica Libertini recitava testualmente in premessa:
“Molta
gratitudine debbo, infine, alla Commissione Reale per la provincia di Catania
che, dietro mia richiesta, ha fatto eseguire
dall’Ufficio Tecnico una carta topografica della città e immediate vicinanze la
quale rimedia alle deficienze di quella dello Stato Maggiore e permette una
chiara visione della distribuzione dei ruderi finora scoperti nell’area
occupata dall’antica Centuripe.”
La carta originale
ha una grammatura di 80 g/mq, le dimensioni sono 75,3X51 cm, la città e il
territorio circostante sono rappresentate in scala 1:4000, con curve di livello
equidistanti m. 20.
I siti di
interesse archeologico individuati e numerati dal Libertini, sulla carta, sono ventiquattro
più sette le aree indicate a necropoli. Scorrendo l’elenco dei 24 siti, appare
subito evidente che alcuni di essi non
sono più nelle condizioni in cui li aveva annotati il Libertini; i motivi sono
molteplici: sono stati distrutti da interessi pubblici o privati, sono stati ricoperti
o occlusi alla vista da strade e costruzioni moderne, o sono spariti sotto
crolli e dilavamenti, caduti dunque nell’oblio.
Di questi (
in rosso nell’elenco) diamo un rapido
cenno.
Con il n.1
si individua un muro di terrazzamento di costruzione isodoma addossato alla casa Biondi, da qui la denominazione.
Nel testo viene riferito, tra l’altro, che esso era alto non più di cinque
metri e costituito (nel 1926) da una ventina di filari e riferibile ad epoca
greca.
Nella mappa
il n. 1 corrisponde all’attuale via Caio Mario; dall’analisi degli elementi fotografici e morfologici, il muro è stato individuato. Esso, prospettando verso est, si trova a ridosso della terrazza che ospitava l’impianto termale di via Adriano, svolge, ancora oggi, la funzione di sostegno della strada pubblica e dell'abitazione privata, su di esso allocata, ed è occultato da ampliamenti d’abitazione oltre che da intonaco.
Il luogo del
ritrovamento di una statua loricata, indicato in mappa con il 22, sembra
appartenere all’area di cui questo muro era il contrafforte a monte.
Il n.2 era un muro argine con inclinazione a
scarpata costituito da parallelepipedi
di notevole entità che contrastava con i contigui muri delle fabbriche di epoca
imperiale, sottostanti la chiesa del crocefisso. A quanto pare è stato
distrutto fin dalle fondamenta perché intralciava il tracciato iniziale della
carreggiabile oggi strada provinciale n. 41.
Il n.4 era
un muro di terrazzamento simile a quelli che ancora oggi, per fortuna,
osserviamo in contrada Panneria e adiacente alle terme romane dell’acqua amara.
Secondo il Libertini fu possibile osservarlo
per breve tempo nell’area sottostante la chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Il luogo corrisponde, approssimativamente, all’incrocio tra il viale lazio e la
via sicilia.
Al n.6 della
mappa corrispondevano grandi blocchi sulle falde orientali del colle
dell’Annunziata e dimostravano, secondo il Libertini, che quella piccola altura
fosse circondata alla base da un grosso muro.
Niente di
strano che quei grandi blocchi siano in parte stati riutilizzati nel riempimento
e consolidamento della scala moderna adagiata sul medesimo versante.
Con il n.7,
Libertini, indica i ruderi di antiche costruzioni che fanno parte della chiesa
di San’Agostino, e che facevano parte del contiguo convento. Nelle fondazioni
che emergevano in entrambi i lati della chiesa erano visibili grossi mattoni e un
tipo di legante attribuibile ad epoca romana, Un tratto di muro costituito,
invece, da pietre bianche riquadrate e ben connesse, fornito nella parte
inferiore di una base elegantemente sagomata e sporgente, doveva fare parte del
vecchio convento.
A questo proposito Filippo Ansaldi, nelle sue “Memorie Storiche di Centuripe” del 1871,
a pag. 160, così recita: “Si vedono anche oggi nelle fabbriche di esso
convento, specialmente nella parte più antica dello stesso, le pietre
riquadrate e lavorate poste in situazione inversa, che a quella probabilmente
appartenevano. Oltre ciò, grandi avanzi della medesima io scorgo tutt’ora in
piedi,formati di grosse riquadrate pietre, sebbene la maggior parte trovasi,
dalle novelle opere di costruzione occupata, e modellata a seconda del destino
che le si è voluto dare. Degno di considerazione è un avanzo di fabbrica della
stessa che guarda ponente. Esso è senza difficoltà molto pregevole, non solo
perché formato di pietre bianche riquadrate ben connesse, che formano un bel
prospetto colla sua solidissima base la quale va a terminare in un grosso e
proporzionato bordo, ma più ancora perché appartiene ad una alta antichità.
Quel che è allo scoperto ha la sua lunghezza di palmi venticinque e circa palmi
venti di altezza. A questo si unisce ad angolo retto altro muro che forma quasi
l’intera fabbrica del lato destro della chiesa del convento. E’ formato di
pietre,ordinarie non riquadrate, sino ad una certa altezza, e quindi prosegue
di mattoni nel suo prospetto. Esso guarda tramontana: è di una costruzione meno
robusta, e sembra essere stato costrutto in epoche diverse; ma certamente con
materiali di antiche fabbriche. Vi si osserva a bastante altezza una piccola apertura
o feritoja a bella posta fatta di pietre bianche in direzione perpendicolare,
onde lanciar da colà, senza proprio danno, i dardi”.
Nel 1972,
l’edificio che era stato prima convento degli agostiniani, poi carcere ed
infine casa comunale, veniva demolito, fino alle fondamenta. Il muro, di cui
alla foto, è stato inesorabilmente abbattuto; ciò ha consentito un incremento
della superficie utile, per il nuovo municipio, di un buon mezzo metro
quadrato.
Alle “cosiddette stalle antiche” , n.11 della
mappa, avevano già dedicato parte del loro tempo: Jean Houel, Paternò Castello
principe di Biscari, Filippo Ansaldi ed altri viaggiatori del XIX secolo. La
descrizione e l’interpretazione del
Libertini è però la più convincente: egli individua nelle cinque nicchie,
costituite da grandi blocchi di pietra, gli alloggiamenti per riporre
indumenti, che si osservano negli apoditeri
di alcune terme, ad esempio le stabiane di Pompei.
Già
all’epoca, gli ambienti, erano
incorporati in alcune modestissime abitazioni moderne che ancora oggi non ne
consentono la libera osservazione, ma rendono il sito archeologico,
involontariamente, ben protetto.
L’area
soprastante, le stalle antiche, è la via Palermo; da notare: gli allineamenti dell’intero quartiere, che copre e circonda i
ruderi, non tengono in alcuna considerazione l’asse della strada moderna, bensì
quello che resta del complesso termale, consentendone interessanti letture in
“trasparenza”.
Il tratto di
muro individuato con il n. 13, sulla cartina, è della medesima tipologia di
altri muri in pietra interrotti, in elevato, da fasce composte da triplici
filari di mattoni; questo muro però, all’estremità ovest forma un angolo e
prosegue poi sotto la costruzione moderna cui è addossato. Questa
caratteristica, più la presenza di lesene, fecero supporre al compilatore
dell’elenco degli edifici monumentali della provincia di Catania che si potesse
trattare di un mausoleo.
Oggi è
ancora visibile, sul muro, la traccia in mattoni della lesena più a ovest:
sembra avere le stesse caratteristiche della lesena, ancora visibile sulla
facciata sud/ovest, del mausoleo romano denominato “Corradino”.
Filippo
Ansaldi a pag. 156 dell’opera citata scriveva: “I dintorni
della piccola chiesa nominata la Tribona sono sparsi di ruderi di antiche
fabbriche. Un avanzo di queste rimane tutt’ora in piedi sino all’altezza di
circa venti palmi, ed attualmente sostiene la casa di un agricoltore, della
quale fa parte. Alcuni anni sono trovossi sotto questo muro una gran quantità
di antichi mattoni, e fu inoltre scoperto un profondo antico sotterraneo, il
cui ingresso fu poi da terra ingombrato, come prima trovavasi”.
Nella foto
del Libertini, evidenziati in rosso, ciò che è stato demolito sulla sommità, e a
destra ciò che nuove costruzioni hanno occultato.
Come nella
situazione del sito precedente, le costruzioni di questo moderno quartiere e i
suoi allineamenti, sembrano essersi adattati più gli antichi ruderi, preesistenti in zona, che all’asse stradale
principale del viale Fiorenza. Probabilmente la sella tra Monte Porcello e Monte Calvario era
interessata, in epoca imperiale, da una invidiabile pianificazione urbanistica
che è riuscita a reggere l’urto dei secoli.
Delle stanze
antiche di via Fragalà, n.14 della carta, abbiamo pochissimi elementi per
risalire con precisione al sito. La novecentesca via Fragalà oggi è denominata via
Parma, ma la traccia, segnata dal Libertini sulla mappa, indica l’attuale via
Bologna.
Un ambiente
con tracce di muri antichi, archi murati, muri rimaneggiati in epoca antica e
con una cisterna, è stato individuato sotto il piano stradale di via Bologna,
in prossimità del punto segnato in mappa. Quindi possiamo supporre che
Libertini abbia erroneamente scambiato la via Fragalà con il vico Stradone, alias
via Bologna, e che tra l’ambiente individuato e le stanze citate dal Libertini,
potrebbero correre forti relazioni di parentela.
Alla casetta ellenistica, n.16 della carta
archeologica, Libertini ha dedicato uno
scavo archeologico, e, sulla monografia, una decina di interessanti pagine, una
tavola con rilievo tecnico, cinque tavole con le pitture parietali, di cui una
a colori.
Già la
Soprintendenza, nel 1907, vi aveva intrapreso scavi regolari, che aveva poi
cercato di tutelare con una tettoia, ma i successivi movimenti del terreno soprastante
ricoprirono lo scavo. Libertini esplorò, in funzione della pubblicazione, di
nuovo l’area nel 1925, ma i dilavamenti del terreno si ripeterono negli anni
successivi. Oggi niente è più visibile, si è persa ogni traccia dell’eccezionale
testimonianza archeologica.
Nel corso di questi ultimi anni è stata realizzata
una ricostruzione grafica della casetta ellenistica, per meglio capirne
l’entità, i volumi, la disposizione delle decorazioni e la morfologia dello
scavo. Ma solo un attento studio delle curve di livello moderne, confrontate
con le curve di livello di un secolo fa, e l’interfacciamento tra la sagoma
della casetta con le situazioni di sterro e rinterro subite dall’area, hanno finalmente
suggerito la collocazione cartografica e geografica di un sito che meriterebbe
dovute attenzioni per le caratteristiche archeologiche, artistiche e storiche
che gli appartengono.
Il posizionamento
aerofotogrammetrico suggerito, ovviamente, ha la difficoltà di stabilire precisioni
al centimetro. Cosa che si potrebbe superare con l'apporto tecnologico non invasivo del georadar e un conseguente saggio di scavo in
zona.
Infine, con
il n. 24 si individua l’antro con la stipe votiva dedicata a Kore, scoperta per
caso. Secondo il Libertini: “…risulterebbe che l’ingrottatura si
prolungava sotto la stradicciola che costeggia tutta quella parete rocciosa e
che questo tratto sarebbe rimasto quindi inesplorato”.
Oggi la
parete rocciosa è stata completamente ricoperta dall’attività edilizia; tale
frenetica attività non ha risparmiato neanche l’occupazione della stradicciola,
che si chiamava vico teatro e non è più transitabile.
Resta il
dubbio: la stipe è rimasta effettivamente inesplorata? O quelle che si sentono
in giro, sul resto del deposito, sono solo leggende metropolitane?
Ebbene, malgrado
Guido Libertini abbia fatto anche redigere, appositamente, una carta
topografica di Centuripe, nella quale ha segnato con cura i siti di interesse
archeologico: niente e nessuno è stato in grado di impedire che l’incuria, la
negligenza, l’ignoranza, il disinteresse e, quasi sempre, la mancanza di
scrupoli nell’opera devastatrice, rendessero (in parte) vano il nobile tentativo
di creare interesse, attenzione e sensibilità, nei confronti di quelle
antichità che hanno reso Centuripe famosa e unica, nel panorama archeologico
internazionale.
Enzo
Castiglione
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